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Home Diritto Amministrativo

** Processo – Giudice penale, accertamento e vincolatività nel giudizio amministrativo

by Redazione
11 Dicembre 2023
in Diritto Amministrativo
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Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 10 novembre 2023, n. 9665

PRINCIPIO DI DIRITTO

Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell’accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale. Non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti ad esso estranei, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale […] Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile o dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. VI, 20/01/2022, n. 358; 15/2/2021, n. 1350; 23/11/2017, n. 5473; 28/7/2016, n. 3403; Sez. V, 17/3/2021, n. 2285).

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

[…] L’appellante contesta la erroneità del rilievo del giudice di primo grado secondo cui la sentenza penale n. 344/2006 sarebbe stata valutata come elemento dimostrativo della tardiva realizzazione delle opere abusive, atteso che di tale valutazione non vi è traccia nei provvedimenti di diniego impugnati. 1.1 Il motivo è infondato. Quanto ai rapporti generali tra giudizio penale e giudizio amministrativo, questo Collegio ha già avuto occasione di affermare (Cons. Stato, sez. VI, 03/11/2022, n. 9656) che regola, almeno tendenziale, è quella dell’autonomia e della separazione, fermo il disposto di cui all’art. 654 c.p.p., secondo cui il giudicato penale non determina un vincolo assoluto all’amministrazione per l’accertamento dei fatti rilevanti nell’attività di vigilanza edilizia. Né la sentenza penale di condanna può condizionare in modo inderogabile il giudizio amministrativo, tanto più quando la pubblica amministrazione non si sia, come nella fattispecie, costituita parte civile nel processo penale. Il carattere vincolante, nei riguardi del giudizio amministrativo, dell’accertamento compiuto dal giudice penale, è in ogni caso subordinato alla ricorrenza di presupposti rigorosi. Sotto il profilo soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale. Non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti ad esso estranei, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale (nella fattispecie imputato era il sig. Ba. Pi.). Sotto il profilo oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile o dell’amministrazione (Cons. Stato, Sez. VI, 20/01/2022, n. 358; 15/2/2021, n. 1350; 23/11/2017, n. 5473; 28/7/2016, n. 3403; Sez. V, 17/3/2021, n. 2285). Tuttavia, tale ricostruzione – in linea con le deduzioni di parte appellante – non viene scalfita nel caso di specie, dal momento che pur non vincolando l’accertamento del giudice penale in ordine alla risalenza dell’abuso (rispetto al 1977) esso ha rappresentato per l’amministrazione resistente un mero principio di prova circa la mancata ultimazione dei lavori entro il 31.03.2003, ai fini del diniego di condono. Tale principio di prova, da un lato, è stato corroborato da altri elementi istruttori (si veda, in particolare, la relazione tecnica prot. U.T.C. 1220 del 10.12.2004) raccolti dall’Amministrazione e, dall’altro, non sconfessato da prove di segno opposto che era onere del privato interessato fornire per ottenere il richiesto condono edilizio. Ne deriva pertanto l’utilizzabilità, non isolata né vincolante, della contestata sentenza penale n. 344/2006. 2. Con il secondo motivo di appello si lamenta: error in iudicando – violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c. – violazione e falsa applicazione art. 32 d.l. 269 del 2003 – violazione e falsa applicazione art. 654 c.p.p. – erroneità dei presupposti – difetto di istruttoria – difetto di motivazione – eccesso di potere – sviamento. L’appellante sostiene che nella sentenza impugnata la legittimità del richiamo alla sentenza del Tribunale Penale di Napoli sia stata esaminata solo sotto il profilo formale, assurgendo a mero indice di congruità formale della motivazione del provvedimento di diniego. È stata del tutto omessa la valutazione sostanziale della sua idoneità a legittimare il rigetto della istanza di condono, contestata nel secondo motivo di ricorso. In particola, la sig.ra Troise rileva che nella sentenza di primo grado è stata esclusivamente accertata la realizzazione delle opere in data successiva al 30.01.1977. Tuttavia, tale circostanza non esclude in alcun modo che le stesse possano essere state realizzate prima del 31.03.2003, come dichiarato dalla appellante nelle dichiarazioni sostitutive allegate alle istanze di condono. 2.1 Il motivo è manifestamente infondato. Con riferimento al regime dell’onere della prova dell’ultimazione dei lavori entro il termine previsto dalla legge per accedere al condono, per pacifica giurisprudenza spetta a colui che richiede il condono edilizio l’onere di provare che l’opera sia stata realizzata in epoca utile per fruire dei benefici, essendo l’unico soggetto in grado di procurarsi la documentazione da cui desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista. (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 16/03/2020, n.1890).

[Omissis]

L’appellante deduce l’inidoneità del mero richiamo per relationem alla relazione tecnica del 10.12.2004 ad adempiere agli oneri motivazionali stabiliti dall’art. 3 L. 241/90, nonché l’omessa verifica istruttoria da parte dell’Amministrazione circa quanto attestato dalla ricorrente nella prodotta dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà. 3.1 Il motivo è infondato. Il provvedimento amministrativo, preceduto da esaurienti atti istruttori, può ritenersi adeguatamente motivato per relationem anche con il mero richiamo a tali atti, in quanto in tal modo l’autorità emanante esplicita l’intenzione di fare propri gli esiti dell’istruttoria condotta, ponendoli a base della determinazione adottata; in tal modo, la motivazione è esaustiva perché dal complesso degli atti del procedimento sono evincibili le ragioni giuridiche che supportano la decisione, in modo da consentire, non solo al destinatario di contrastarle con gli strumenti offerti dall’ordinamento, ma anche al giudice amministrativo, ove investito della relativa controversia, di sindacarne la fondatezza (Cons. Stato, sez. V, 09/01/2023, n. 265). [Omissis] per giurisprudenza costante, in materia di condono edilizio, l’onere della prova circa l’effettiva ultimazione delle opere entro la data utile prevista dalla legge grava integralmente sulla parte privata, senza possibilità alcuna di inversione, dovendosi negare rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate. […] In definitiva, sul richiedente un condono edilizio grava l’onere della prova, “pieno”, di provare la data di ultimazione delle opere, in modo da non lasciare alcun dubbio al riguardo, trattandosi di elemento essenziale per l’ammissibilità dell’istanza di condono (Cons. Stato, sez. VI, 16/05/2022, n. 3841). Ne deriva, pertanto, la legittimità del provvedimento di diniego in esame motivato per relationem, ai sensi dell’art. 3, comma 3, l. n. 241/1990, in quanto preceduto e giustificato da atti istruttori in esso espressamente richiamati, resi disponibili dall’Amministrazione alla parte incisa dall’esercizio del potere pubblico (in senso analogo, Cons. Stato, sez. VI, 16/11/2022, n. 10044).

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