Corte Costituzionale, sentenza 24 luglio 2025 n. 128
PRINCIPIO DI DIRITTO
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 420-quater, comma 4, del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale ordinario di Grosseto
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe (reg. ord. n. 152 e n. 163 del 2024) il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Grosseto ha sollevato d’ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 420-quater, comma 4, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato contenga l’avviso della sua facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa.
1.1.– Il rimettente espone che: è stato chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di rinvio a giudizio di R. L. in relazione ai reati di bancarotta fallimentare (reg. ord. n. 152 del 2024), e di A. A. in relazione al reato di maltrattamenti in famiglia (reg. ord. n. 163 del 2024); la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare ha avuto in entrambi i casi esito negativo, stante l’irreperibilità degli imputati; per tale motivo è stata disposta la notifica personale ai medesimi, tramite la polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 420-bis, comma 5, cod. proc. pen.; tuttavia, avendo le ricerche avuto esito negativo e non ricorrendo i presupposti per la celebrazione del processo in assenza, andrebbe pronunciata sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo da parte degli imputati.
1.2.– Il giudice a quo denuncia la norma di cui all’art. 420-quater, comma 4, cod. proc. pen., per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., poiché, disciplinando il contenuto di una sentenza «del tutto sui generis», priva di contenuto decisorio e connotata invece dalla vocatio in iudicium dell’imputato per il caso che questi venga rintracciato e venga disposta la ripresa del processo, non contiene l’avviso della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa, come è invece previsto dall’art. 419, comma 3-bis, cod. proc. pen., per l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare notificato all’imputato immediatamente reperibile.
Tanto premesso, il diverso trattamento normativo riservato dagli artt. 419, comma 3-bis, e 420-quater, comma 4, cod. proc. pen., in merito alla previsione dell’avviso della facoltà di accedere alla giustizia riparativa configurerebbe, ad avviso del rimettente, «una ingiustificata disparità di trattamento di situazioni sostanzialmente identiche», poiché non vi sarebbero differenze sostanziali tra la posizione dell’imputato che, dopo l’iniziale irreperibilità, venga reperito durante le ricerche dalla polizia giudiziaria e quella dell’imputato nei cui confronti vada ab origine a buon fine la notifica dell’avviso ex art. 419 cod. proc. pen.
Ne conseguirebbe un diverso trattamento normativo delle due fattispecie, idoneo a pregiudicare l’imputato inizialmente irreperibile, il quale, a differenza di quello che riceve l’avviso ex art. 419, comma 3-bis, cod. proc. pen., «non è posto subito nelle condizioni di valutare se accedere o meno al programma di giustizia riparativa, con conseguente pregiudizio del suo diritto di pianificare con anticipo la propria strategia processuale». Tanto, in violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost.
2.– In via preliminare, deve essere disposta la riunione dei giudizi perché siano decisi con unica sentenza, avendo le relative questioni di legittimità costituzionale a oggetto la medesima disposizione, prospettando le medesime censure ed evocando parametri coincidenti (tra le tante, sentenze n. 171 del 2024 e n. 220 del 2023).
3.– Le questioni di legittimità costituzionale sopra descritte non sono fondate.
3.1.– Occorre, ai fini di una compiuta argomentazione, evidenziare che l’art. 420-quater cod. proc. pen., nell’attuale formulazione oggetto di censura, è stato modificato dall’art. 23, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 150 del 2022 (cosiddetta “riforma Cartabia”). Con la legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), era stato eliminato l’istituto della contumacia ed era stata contemplata l’assenza quale unica situazione codificata, processualmente rilevante, in cui l’imputato non risulta presente all’udienza preliminare; in tale quadro, l’art. 420-quater cod. proc. pen. disciplinava la «[s]ospensione del processo per assenza dell’imputato», nel caso in cui non ricorressero i presupposti per procedere in assenza e le ulteriori ricerche dell’imputato disposte dal giudice avessero dato esito negativo. La soluzione della sospensione, che lasciava in una condizione di incertezza tutti i processi nei quali non era possibile procedere in assenza, è stata sostituita dall’introduzione della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo, allo scopo di ottenere la deflazione del contenzioso e un recupero dell’efficienza della giurisdizione. Nel nuovo regime, infatti, la pronuncia definisce il procedimento evitando ch’esso rimanga pendente e che il giudice debba disporre ogni anno nuove ricerche dell’imputato.
Tuttavia, quella prevista dall’art. 420-quater cod. proc. pen. è una pronuncia sui generis, con un contenuto complesso: oltre al contenuto generico tipico delle sentenze (l’intestazione, l’indicazione dell’autorità giudiziaria, l’imputazione, il dispositivo), essa esibisce anche un contenuto specifico, con l’indicazione dell’esito delle notifiche e delle ricerche effettuate, della data fino alla quale le ricerche finalizzate a rintracciare la persona destinataria della sentenza dovranno continuare, di una serie di avvertimenti sulla riapertura del processo, sul suo luogo e sulla sua data. Si tratta dunque di una sentenza in rito, che prescinde da ogni accertamento di merito. La sentenza è inappellabile e ha un’efficacia preclusiva limitata, in quanto destinata a essere revocata, sia pure entro determinati limiti temporali ivi indicati, quando la persona nei cui confronti è stata emessa viene rintracciata (art. 420-sexies cod. proc. pen.). La pronuncia della sentenza determina la sospensione della prescrizione (art. 159, ultimo comma, cod. pen., come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera i, numero 2, del d.lgs. n. 150 del 2022), ancorché non possa superarsi il doppio dei termini di prescrizione previsti dall’art. 157 cod. pen.
3.2.– Di particolare rilievo, ai fini del sindacato rimesso a questa Corte, appare altresì la vicenda normativa della “giustizia riparativa”: la “riforma Cartabia” ne ha infatti disegnato una disciplina organica, provvedendo altresì a una serie di interpolazioni al codice penale, al codice di procedura penale, alle sue norme di attuazione e coordinamento e ad alcune previsioni extra-codicistiche.
Quanto alla natura della giustizia riparativa, si è condivisibilmente evidenziato che il sistema ruota intorno a una logica binaria: per i reati perseguibili a querela rimettibile la giustizia riparativa può configurarsi come vera e propria alternativa alla giustizia penale, poiché l’esito riparativo conduce alla non proposizione della querela o alla sua remissione, espressa o tacita (giusta quanto previsto dal nuovo art. 152, terzo comma, cod. pen.); per le altre fattispecie criminose, invece, la giustizia riparativa si colloca in una posizione di complementarità rispetto a quella contenziosa, nel senso che può svilupparsi parallelamente al procedimento penale, rispetto al quale è garantita una ferrea impermeabilità di quanto dichiarato nel corso della mediazione, mentre l’esito riparativo potrà tendenzialmente rilevare soltanto ai fini della commisurazione della pena e in bonam partem.
Ebbene, proprio la morfologia della giustizia riparativa e il profilo relativo al rapporto di alternatività/complementarità rispetto alla giustizia penale comporta che la fase, del tutto eventuale, della riparazione non possa configurarsi come un procedimento incidentale o parallelo che si sovrappone a quello di cognizione: rispetto al procedimento penale sono diversi gli attori (non essendo, ad esempio, prevista la partecipazione del pubblico ministero) e lo stesso oggetto; non è prevista la presenza del difensore; non è richiesto alcun accertamento incidentale e sommario della responsabilità dell’imputato, posto che il programma di giustizia riparativa non postula affatto l’accertamento di una responsabilità penale.
In altri termini, può concordarsi con chi osserva che la giustizia riparativa si configura come un post factum destinato a svilupparsi fuori del processo penale, come un’esperienza giuridicamente rilevante che tuttavia si concretizza indipendentemente da questo.
Invero, si tratta di attività extraprocessuale priva di carattere giurisdizionale: non a caso viene definita, normativamente, come un programma (e non come un procedimento, almeno nell’accezione processual-penalistica del termine), condotto da un soggetto – il mediatore – che non è chiamato in alcun modo a ius dicere e ha l’obiettivo del tutto diverso da quelli perseguiti nel procedimento penale, di “curare” le conseguenze derivanti dal reato.
Il profilo della disciplina dell’informazione sull’accesso va dunque scrutinato sul presupposto che non si tratta di un procedimento speciale ovvero di un procedimento incidentale o complementare, non essendo ancorato al processo penale, cui semplicemente si affianca.
La disposizione generale, a tal proposito, è l’art. 47, comma 1, del d.lgs. n. 150 del 2022, ove si stabilisce che l’autorità giudiziaria deve informare, in ogni stato e grado del procedimento, la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa. Inoltre, tale decreto legislativo contiene molteplici norme introduttive di oneri informativi in capo all’autorità giudiziaria procedente: la persona sottoposta alle indagini viene avvisata della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa già in sede di adempimenti esecutivi delle misure cautelari (art. 293, comma 1, lettera i-bis, cod. proc. pen.) e precautelari (art. 386, comma 1, lettera i-bis, cod. proc. pen.) nonché con l’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. e con il decreto di fissazione dell’udienza di cui all’art. 447, comma 1, cod. proc. pen.; nei confronti dell’imputato un’informazione è prevista nel decreto penale di condanna (art. 460, comma 1, lettera h-bis, cod. proc. pen.); il recente intervento correttivo di cui al d.lgs. n. 31 del 2024 ha opportunamente esteso la doverosità dell’informazione anche al provvedimento che dispone il giudizio immediato (art. 456, comma 2-bis, cod. proc. pen.); dopo la condanna, un’informazione è contenuta nell’ordine di esecuzione (artt. 656, comma 5, e 660, comma 3, cod. proc. pen.). Infine, è prevista una serie di avvisi che vanno dati tanto all’indagato, prima, e imputato, poi, quanto alla persona offesa: si allude all’informazione di garanzia (art. 369, comma 1-ter, cod. proc. pen.), all’avviso di fissazione dell’udienza a seguito della richiesta di archiviazione (art. 409, comma 2, cod. proc. pen.), all’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (art. 419, comma 3-bis, cod. proc. pen.), al decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma 1, lettera d-bis, cod. proc. pen.) e al decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552, comma 1, lettera h-bis, cod. proc. pen.).
4.– Ciò posto quanto alla natura della sentenza di non doversi procedere ex art. 420-quater cod. proc. pen. e della cosiddetta giustizia riparativa, tre appaiono i profili maggiormente significativi: la natura della giustizia riparativa; i limiti del sindacato di costituzionalità nella materia processuale; la comparazione con l’omessa previsione degli avvisi concernenti la facoltà di accesso a un rito alternativo.
4.1.– Il primo aspetto, concernente la natura di programma extraprocessuale e non di procedimento incidentale della giustizia riparativa, appare assorbente, in quanto ne discende anche la valutazione degli altri profili.
Come si è già rilevato (supra, punto 3.2.), il rapporto di alternatività/complementarità della giustizia riparativa rispetto alla giustizia penale comporta che la prima non si configuri come un procedimento incidentale o parallelo rispetto al procedimento penale di cognizione, diversi essendone gli attori, in parte, le finalità, l’oggetto. La giustizia riparativa – si è già accennato – si configura come un post factum che si sviluppa fuori del processo penale che resta largamente impermeabile ai contenuti della riparazione, salvo che, in caso di esito positivo, in relazione ai profili latamente commisurativi della pena, ai sensi dell’art. 133 cod. pen. secondo quanto stabilito dall’art. 58 d.lgs. n. 150 del 2022. La disciplina della giustizia riparativa non richiede, infatti, alcun accertamento incidentale e sommario della responsabilità dell’imputato, proprio perché il relativo programma non postula affatto l’accertamento di una responsabilità penale.
Quanto alla evidenziazione di una disparità di trattamento con la previsione dell’avviso in favore dell’imputato reperibile, va osservato che, se la giustizia riparativa non è un procedimento speciale, incidentale (non riguardando la medesima regiudicanda del processo penale) o complementare, ma un programma di attività extraprocessuale, non procedimentale in senso processual-penalistico, né giurisdizionale, il cui esito riparativo può assumere rilevanza ai fini dell’attenuazione, della commisurazione o della concessione della sospensione condizionale della pena, l’omessa previsione normativa in uno specifico momento processuale (quello della sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen.) dell’avviso della facoltà di accedervi non può essere ritenuta idonea a violare il principio di eguaglianza e con esso il diritto di difesa, poiché si è al di fuori del «procedimento» penale e quindi dell’ambito di applicazione dell’art. 24 Cost., anche nella dimensione della cosiddetta autodifesa (sulla quale molto ha argomentato il rimettente).
4.2.– Già dalle considerazioni che precedono deriva la necessità di dichiarare non fondate le sollevate questioni di legittimità costituzionale. Vanno nondimeno rammentati ad abundantiam, ai fini del controllo di ragionevolezza, anche i limiti del sindacato di costituzionalità in materia processuale.
La giurisprudenza di questa Corte ha sovente ribadito che «in tema di disciplina del processo e di conformazione degli istituti processuali il legislatore dispone di un’ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute (ex plurimis: sentenze n. 17 del 2011; n. 229 e n. 50 del 2010; n. 221 del 2008; ordinanze n. 43 del 2010, n. 134 del 2009, n. 67 del 2007)» (ordinanza n. 141 del 2011); ha altresì evidenziato che l’astratta possibilità di una diversa disciplina legislativa sul punto non sarebbe necessariamente più razionale di quella censurata né, comunque, sarebbe costituzionalmente obbligata (ordinanza n. 43 del 2010).
Per vero, questo principio è fatto in genere valere nella prospettiva dell’inammissibilità delle questioni che comportano un’invasione nel campo della discrezionalità del legislatore, ma esso vale anche come sollecitazione a uno scrutinio particolarmente prudente della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della scelta legislativa.
La soglia dell’irragionevolezza manifesta non è qui superata, poiché la scelta del legislatore di non inserire l’avviso della facoltà di accesso alla giustizia riparativa tra i contenuti della sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen. è giustificata da ciò che: è già prevista una serie di ipotesi in cui tale avviso viene dato, tanto all’indagato, prima, e all’imputato, poi, quanto alla persona offesa, con l’informazione di garanzia (art. 369, comma 1-ter, cod. proc. pen.), con l’avviso di fissazione dell’udienza a seguito della richiesta di archiviazione (art. 409, comma 2, cod. proc. pen.), con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen.), con l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (art. 419, comma 3-bis, cod. proc. pen.), con il decreto che dispone il giudizio (art. 429, comma 1, lettera d-bis, cod. proc. pen.) e con il decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552, comma 1, lettera h-bis, cod. proc. pen.); nella fase che qui viene in rilievo, compresa tra l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare (art. 419 cod. proc. pen.) e l’eventuale decreto di rinvio a giudizio (art. 429 cod. proc. pen.), l’imputato, sia pur irreperibile, dovrebbe già aver ricevuto l’avviso con altri atti notificati nella precedente fase delle indagini preliminari (per esempio, con l’informazione di garanzia o con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari) e comunque lo riceverebbe in sede di rinvio a giudizio (salvo che non venga pronunciata sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen.); l’omessa previsione dell’avviso nella sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen., in ogni caso, non compromette in alcun modo la facoltà dell’imputato di accedere alla giustizia riparativa, non essendo previsti termini perentori o scadenze.
4.3.– Né si potrebbe equiparare l’omessa previsione dell’avviso della possibilità di accesso alla giustizia riparativa all’omessa previsione dell’avviso concernente la facoltà di accedere a un rito alternativo, cui – pure – il rimettente rapidamente allude.
A tale ultimo riguardo, la giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenze n. 19 del 2020 e n. 201 del 2016) che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni processuali che non prevedevano gli avvisi per l’accesso ai riti alternativi ha motivato sulla base di due presupposti, entrambi assenti nella fattispecie in esame: l’esistenza di un rito alternativo, con contenuto premiale; la previsione di un termine perentorio per la richiesta di ammissione, con perdita irrimediabile della facoltà di presentarla nell’ipotesi della sua inosservanza.
Invero, appare assorbente, come già si è evidenziato, la considerazione che la giustizia riparativa non è un rito alternativo per la definizione della responsabilità penale (anche nella limitata ipotesi dei reati procedibili a querela rimettibile, nella quale l’estinzione consegue non all’opzione riparativa in sé, bensì alla valutabilità dell’esito riparativo quale elemento di fatto ai fini della remissione tacita della querela).
In ogni caso, anche ove così non fosse, resta comunque il dato normativo che non si prevede alcun termine perentorio o scadenza processuale per la richiesta di ammissione da parte dell’imputato, tant’è che il programma può essere avviato «[i]n ogni stato e grado del procedimento» (art. 129-bis, comma 1, cod. proc. pen.), e anche nella fase dell’esecuzione o dopo l’esecuzione della pena.
5.– Va altresì rilevato che le censure prospettate dal giudice rimettente sono significativamente argomentate anche sul presupposto della sussistenza della sanzione processuale della nullità in caso di omesso avviso della facoltà di accesso alla giustizia riparativa.
Tuttavia, premesso che il tema della nullità è, qui, secondario, non si può mancare di osservare che la giurisprudenza, formatasi in riferimento ad atti diversi dalla sentenza ex art. 420-quater cod. proc. pen., sul punto non è unanime e che parte di essa segue l’opzione interpretativa che esclude la nullità, ancora una volta in considerazione della natura non procedimentale del programma di giustizia riparativa e dell’assenza nel dato normativo della previsione di nullità speciali o generali (non riguardando l’«intervento» dell’imputato inteso quale sua consapevole partecipazione al processo penale).
L’omessa previsione dell’avviso, anche considerando i molteplici momenti informativi che scandiscono l’intero procedimento penale e l’assenza di termini perentori o di scadenze processuali per l’accesso, rientra nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore e comunque non supera la soglia della manifesta irragionevolezza.
6.– Peraltro, la natura di mero post factum della giustizia riparativa e, soprattutto, dell’eventuale esito positivo, appare elemento tale da contribuire a evidenziare la non fondatezza delle questioni per un ulteriore profilo: l’esito riparativo, infatti, può incidere su attenuanti, commisurazione della pena o concessione di benefici, ma nell’ambito dell’esercizio dei medesimi poteri discrezionali assegnati al giudice ai fini, proprio, del riconoscimento della circostanza attenuante della riparazione o del risarcimento del danno (art. 62, numero 6, primo periodo, cod. pen.). In altri termini: l’esito riparativo può essere assunto dal giudice quale “elemento di fatto” successivo al fatto-reato ai fini dell’esercizio della discrezionalità nella commisurazione (art. 133 cod. pen.), nell’attenuazione (art. 62 cod. pen.) o nella sospensione (art. 163 cod. pen.) della pena e rientra nella base cognitiva e valutativa allo stesso modo dell’“elemento di fatto” dell’avvenuto risarcimento.
In tal senso, non sarebbe ipotizzabile sostenere (né una questione del genere è stata posta) l’obbligatorietà di un avviso sui potenziali effetti attenuanti (o anche commisurativi) di una circostanza quale quella, strutturalmente analoga all’esito riparativo, dell’intervenuto risarcimento del danno.
7.– Alla luce delle considerazioni che precedono le questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe e descritte in narrativa devono essere dichiarate non fondate.