Corte di Cassazione, Sezioni Unite civile, Ordinanza 03 aprile 2025, n. 8810
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il recupero della “spesa di giustizia sopportata per l’adempimento dell’obbligo di versamento del contributo”, anche nella forma della prenotazione a debito, è azione tesa alla realizzazione del diritto, proprio della parte vincitrice, alla piena soddisfazione di quanto riconosciutogli, il che comprende anche il diritto alla ripetizione dei “costi” del giudizio. In tale ottica ed in questa fase, al pari dell’attività della parte privata, l’attività dell’amministrazione pubblica che ha adempiuto solo virtualmente al versamento del contributo, si traduce in una mera procedura di recupero di una spesa, secondo le regole della soccombenza, e non di un “tributo” stabilito e determinato ex lege.
Pertanto, il petitum sostanziale è rivolto al recupero di un credito, una “spesa di giustizia”, virtualmente sostenuta nella forma della prenotazione a debito, che dunque, per l’ipotesi di contestazione della sua sussistenza, va recuperata nelle forme dell’azione civilistica tra soggetti che a tal fine si affrontano in posizione paritetica. La questione del recupero del contributo va quindi composta con il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Nel sollevare regolamento di giurisdizione, il Tar Umbro, riassumendo la questione e rilevando come la controversia introdotta dal Ministero dell’Istruzione abbia ad oggetto la pretesa di recupero dalla controparte dell’importo del contributo unificato prenotato a debito -secondo quanto previsto e consentito dall’art. 11, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115-, ha ritenuto che la lite non involge l’esercizio di poteri autoritativi da parte di uno del controvertenti, cui corrisponda nell’altro una posizione di soggezione, ma rapporti paritetici, entro i quali i litiganti controvertono sulla individuazione del soggetto sul quale debba gravare definitivamente l’onere economico del contributo unificato.
- La questione del recupero del contributo va composta con il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario.
2.1. Deve intanto chiarirsi che le controversie vertenti sull’accertamento della debenza del contributo unificato rientrano nella giurisdizione del giudice tributario.
2.2. La giurisprudenza di questa Corte è ampiamente consolidata sulla natura di entrata tributaria del contributo (Sez. U, 5 maggio 2011, n. 9840; 17 aprile 2012, n. 5994; cfr. anche 29 ottobre 2020, n. 23877; 8 giugno 2022, n. 18552; 22 febbraio 2021, n. 4731). Anche la Corte Costituzionale, con sentenza 11 febbraio 2005 n. 73, ne ha riconosciuto la natura tributaria, identificando in esso le caratteristiche essenziali del tributo e cioè la doverosità della prestazione e il collegamento di questa ad una pubblica spesa, quale è quella per il servizio giudiziario. D’altronde, anche in riferimento al cd. raddoppio del contributo, si è opportunamente affermato che il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del comma 1-quater dell’art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002 , non ha natura sanzionatoria, ma di tributo giudiziario, in quanto presuppone l’obbligo di versamento del “primo” contributo unificato, così partecipando della sua stessa natura di fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale. Esso inoltre assolve all’ulteriore funzione della fiscalità di disincentivare una superflua richiesta di prestazioni giudiziarie (Sez. U, 17 luglio 2023, n. 20621).
2.3. A favore della natura tributaria del contributo depone tanto l’art. 14 del D.P.R. n. 115 del 2002 , quanto la disciplina regolante la sua riscossione (247 e segg. D.P.R. 115 del 2002 ), e, ancora, la disciplina che indica le ipotesi di esenzione (art. 10 del medesimo D.P.R.).
2.4. La prima delle norme, in particolare, individua il soggetto obbligato al tributo, disponendo che “La parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l’assegnazione o la vendita dei beni pignorati, è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato”. Il soggetto obbligato di fronte al fisco, dunque, non è il soccombente in sé, ma chi il ricorso lo introduce o chi si costituisce per primo e nei confronti del quale, pertanto, per l’ipotesi di omesso o insufficiente o ritardato pagamento, secondo quanto prevede l’art. 16 della medesima disciplina, l’ufficio incaricato della gestione della riscossione del tributo procede al recupero, ex art. 247. A ciò il suddetto ufficio – quello presso il magistrato dove è depositato l’atto – provvede con l’invito al pagamento e cioè nelle forme e modalità prescritte dall’art. 248 del D.P.R. 115 del 2002.
2.5. il suddetto ufficio è dunque quello che rispetto al “contribuente” si pone nella posizione di riscossore del tributo. Pertanto, per l’ipotesi di controversia, nel giudizio intrapreso dal contribuente in conseguenza dell’impugnazione dell’invito al pagamento del contributo unificato, la legittimazione processuale passiva spetta alla cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario che ebbe ad emettere l’atto ex art. 248 del D.P.R. n. 115 del 2002, con la conseguenza che la legittimazione processuale passiva deve essere esclusa nei confronti di qualsiasi altro soggetto (Cass., 18 ottobre 2024, n. 27064). Ad un tempo, da ciò discende che l’invito al pagamento del contributo unificato non versato ex art. 248 D.P.R. n. 115 del 2002 costituisce l’unico atto liquidatorio dell’imposta, previsto dalla legge, con cui viene comunicata al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, sicché, a prescindere dalla denominazione, va qualificato come avviso di accertamento o di liquidazione, la cui impugnazione non è facoltativa, ma necessaria ex art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, pena la cristallizzazione dell’obbligazione, che non può più essere contestata nel successivo giudizio avente ad oggetto la cartella di pagamento (Cass., 15 dicembre 2021, n. 40233).
2.6. Deve sussistere dunque, una pretesa pubblica rivolta nei confronti dell’obbligato al versamento del contributo unificato, cui l’obbligato non abbia adempiuto o abbia adempiuto parzialmente, oppure ritenga che la fattispecie rientri tra quelle per le quali l’art. 10 cit. non sia assoggettata al contributo perché esente. In queste ipotesi la giurisdizione appartiene al giudice tributario.
- È appena il caso di evidenziare che questo contenzioso può insorgere in concreto nei soli confronti dei soggetti tenuti all’effettivo versamento del contributo (tra i quali anche vari enti pubblici). Ciò perché, sebbene l’art. 14 cit. preveda che soggetto obbligato al versamento del contributo sia colui che iscrive una causa o che per primo si è costituito, l’amministrazione pubblica e gli eventuali enti pubblici ammessi a tale regime, trovandosi in quella posizione, vi adempiono virtualmente, mediante le forme della prenotazione a debito e con annotazione ai sensi dell’art. 280 D.P.R. n. 115 cit.
3.1. Questo non incide sulla identificazione del soggetto tenuto a provvedervi, ma sulle modalità d’adempimento, traducendosi, in luogo del versamento, in una annotazione a futura memoria di una voce di spesa. In conseguenza, l’astratto inadempimento non può attingere nel concreto l’amministrazione pubblica, attuandosi altrimenti una inutile partita di giro e d’altronde non avendo senso la previsione di un pagamento in favore di sé stesso.
3.2. Tuttavia, in capo all’Amministrazione vittoriosa e al pari di qualunque parte vittoriosa, insorge il diritto al recupero del contributo in danno della parte processuale soccombente.
3.3. La peculiarità è che il soggetto privato vittorioso (o l’ente pubblico vittorioso escluso dalla forma della prenotazione a debito), che ha già sostenuto “la spesa” del contributo unificato, ha il diritto di recuperare, tra le spese processuali, anche quella del contributo versato all’erario.
3.4. Invece, la parte pubblica, che al contributo vi ha adempiuto virtualmente, deve recuperarlo dal soccombente, ma per “trasferire” all’erario l’importo che risultava solo annotato sul registro delle spese (art. 280 D.P.R. n. 115 del 2002 ). Ciò che la “parte” processuale Pubblica amministrazione non ha pagato prima, verserà all’erario dopo, e ovviamente nei limiti di quanto recuperato dal soccombente.
3.5. In entrambe le ipotesi si tratta pur sempre di mero recupero di spese, perché non ci si trova dinanzi all’esercizio di un potere autoritativo.
- Il recupero della “spesa di giustizia sopportata per l’adempimento dell’obbligo di versamento del contributo”, anche nella forma della prenotazione a debito, è dunque azione tesa semplicemente alla realizzazione del diritto, proprio della parte vincitrice, alla piena soddisfazione di quanto riconosciutogli, il che comprende anche il diritto alla ripetizione dei “costi” del giudizio. In tale ottica ed in questa fase, al pari dell’attività della parte privata (o dell’ente pubblico non ammesso alla prenotazione a debito), l’attività dell’amministrazione pubblica che ha adempiuto solo virtualmente al versamento del contributo, si traduce in una mera procedura di recupero di una spesa, secondo le regole della soccombenza, e non di un “tributo” stabilito e determinato ex lege.
4.1. Né può ritenersi che la segreteria o la cancelleria dell’ufficio giudiziario competente, nell’invitare l’amministrazione vincitrice a recuperare dalla parte soccombente l’importo corrispondente al contributo unificato, investano di poteri autoritativi l’amministrazione deputata. L’attività tesa alla riscossione del corrispondente importo può fruire delle azioni tipiche della esecuzione, anche forzata, senza che esse si accompagnino a forme speciali, tanto meno senza che sia prevista la comminazione di sanzioni. Questo chiarisce perché in questa ipotesi il rapporto tra le parti in causa è semplicemente paritetico e regolato dalle norme civilistiche.
4.2. Non si fa più questione di adempimento di una obbligazione fiscale, perché quella è stata ormai definita tra amministrazione della giustizia e parte processuale del giudizio conclusosi e la cui statuizione sia passata in giudicato; si fa invece questione di recupero delle spese sostenute dal vincitore, e tra esse delle “spese di giustizia”.
4.3. Ciò vale anche quando a procedere al recupero sia l’amministrazione pubblica vittoriosa. In altri termini in queste ipotesi la questione non è quella dell’adempimento di una obbligazione tributaria, ma di chi, all’esito del giudizio, sia tenuto a sopportare la “spesa” del contributo, intesa quale voce di costo del processo, allo stesso modo che per altre voci, come l’imposta di registro e l’imposta ipotecaria e catastale.
4.4. Nell’ipotesi di condanna di una parte alla rifusione delle spese in favore della parte pubblica, tali spese sono recuperate dall’amministrazione, come da qualunque parte processuale vittoriosa.
4.5. Né deve trarre in inganno la circostanza che, per le ipotesi di versamento del contributo nella forma della prenotazione a debito, risultando vincitrice l’amministrazione pubblica, l’ufficio dell’amministrazione della giustizia ” inviti” la P.A. a recuperare il tributo prenotato a debito. Ciò, come già accennato, è mera conseguenza di quanto prescritto dall’art. 158 D.P.R. 115 del 2002, secondo cui “le spese prenotate a debito e anticipate dall’erario sono recuperate dall’amministrazione insieme alle altre spese anticipate, in caso di condanna dell’altra parte alla rifusione delle spese in proprio favore”.
4.6. In questo contesto l’amministrazione pubblica, parte vincitrice del processo, non fa altro che procedere al recupero di quella “spesa di giustizia”, cui la medesima ha provveduto nella forma della prenotazione a debito e che ora va a recuperare come qualunque soggetto farebbe in danno della controparte soccombente. Anzi, a tal fine, la previsione conferma che l’attività si traduce nella messa in esecuzione di un titolo giudiziario, per assicurare, direttamente o implicitamente, la condanna della parte antagonista alla sopportazione della predetta spesa di giustizia.
4.7. Si tratta dunque di un’azione che involge aspetti meramente patrimoniali, circoscritti alla fase esecutiva del titolo giudiziario, senza l’emersione dell’esercizio di poteri pubblici autoritativi.
4.8. La ricostruzione torna utile anche per negare rilevanza alla prospettazione con cui il giudice tributario si è spogliato della giurisdizione. Il giudice tributario ha inteso individuare quella del giudice amministrativo sull’assunto che la controversia afferiva all’atto (amministrativo) di diniego del pagamento, con cui l’Organo straordinario di liquidazione del Comune di Terni, in stato di dissesto, aveva negato il debito corrispondente all’importo del contributo unificato. Come ha invece sostenuto il giudice amministrativo che ha sollevato questo regolamento, oggetto della controversia non è l’atto impositivo, ma il diritto al recupero della spesa che il Ministero dell’Istruzione ha inteso attivare nei confronti della controparte soccombente.
4.9. D’altronde, con consolidato indirizzo interpretativo, questa Corte ha affermato che la giurisdizione si determina sulla base della domanda, e che, quanto al riparto tra giudice ordinario e amministrativo, non ha rilevanza la prospettazione della parte, ma il cd. petitum sostanziale, da identificarsi non solo e non tanto in funzione della concreta statuizione chiesta al giudice, ma sulla base della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti dedotti a fondamento della pretesa fatta valere con l’atto introduttivo della lite e sul rapporto giuridico di cui sono espressione (già Sez. U, 8 maggio 2007, n. 10374; 25 giugno 2010, n. 15323; tra le più recenti, ex multis, Sez. U, 24 gennaio 2024, n. 2368; 23 febbraio 2023, n. 5668; 27 luglio 2022, n. 23436; 21 settembre 2021, n. 25480; 8 luglio 2020, n. 14231; 15 settembre 2017, n. 21522).
4.10. Nel caso di specie il petitum sostanziale è rivolto al recupero di un credito, una “spesa di giustizia”, virtualmente sostenuta nella forma della prenotazione a debito, che dunque, per l’ipotesi di contestazione della sua sussistenza, va recuperata nelle forme dell’azione civilistica tra soggetti che a tal fine si affrontano in posizione paritetica. […]
4.11. Si tratta di una fattispecie certo non sovrapponibile, ma molto vicina a quella relativa alle spese di giustizia anticipate dall’erario, per le quali si è già affermato che ai sensi dell’art. 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, i ricorsi avverso gli atti con cui l’Amministrazione chiede il pagamento delle spese di giustizia anticipate dall’erario non rientrano nella giurisdizione del giudice tributario ma in quella del giudice ordinario (Sez. U, 8 febbraio 2008, n. 3008; 11 ottobre 2016, n. 20427; cfr. anche Sez. U, 17 gennaio 2017, n. 959; 31 luglio 2017, n. 18979).
4.12. Deve pertanto dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario, dinanzi al quale il processo va riassunto nei termini di legge dalla parte interessata.