Corte di Cassazione, Sez. III Civile, ordinanza interlocutoria 20 gennaio 2025 n. 1284
QUESTIONE RIMESSA
Tutto quanto precede rende dunque evidente che la disamina dei temi fin qui descritti, in ulteriore e più compiuto sviluppo delle tematiche già in quella sede affrontate, competa alle Sezioni Unite di questa Corte, trattandosi comunque di questioni di massima di particolare importanza, quand’anche da affrontare, in ipotesi, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., nell’interesse della legge. In particolare, si tratta di valutare:
1) se, in riferimento al principio affermato dalla recente sentenza Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2023, n. 33954, Rv. 669447-01, avuto riguardo alla residualità dell’azione di arricchimento senza causa ex art. 2042 c.c. ed ove non risulti opportuna la definizione della nozione di “giusta causa” in carenza della quale è data l’azione in parola, l’ipotesi di nullità del contratto della P.A. per difetto di forma scritta rientri o meno nelle cause di nullità per violazione di norme imperative o per contrarietà all’ordine pubblico, qualificate ostative all’ammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c.;
2) se, ancora in riferimento al suddetto principio, il giudizio sull’ammissibilità dell’azione possa essere declinato diversamente, in caso di declaratoria di nullità del contratto per difetto di forma scritta, qualora, come nella specie, il soggetto “impoverito” sia la stessa P.A. e non la sua controparte privata;
3) se, infine e sempre in riferimento al suddetto principio, ove al quesito di cui sub 1) si risponda nel senso dell’ammissibilità dell’azione, abbia rilievo la circostanza che il contratto dichiarato nullo abbia ad oggetto prestazioni di dare, stante quanto previsto – quale possibile azione alternativa, offerta dall’ordinamento già sul piano astratto – dagli artt. 2033 ss. c.c. in tema di ripetizione d’indebito oggettivo.
TESTO RILEVANTE DELLE DECISIONE
- – Con atto di citazione del 21.3.2015, R.L.E., quale titolare della ditta individuale “(OMISSIS)”, propose opposizione ex artt. 3 r.d. n. 639/1910 e 32 d.lgs. n. 150/2011 avverso una ingiunzione emessa dal Comune di (OMISSIS) per il pagamento della somma di € 107.804,94, per la riscossione del canone acqua per gli anni 2008, 2009, 2010 e 2011. Costituitosi, l’opposto Comune di (OMISSIS) chiese il rigetto della opposizione ed in via subordinata, in caso di accoglimento, la condanna al pagamento della somma secondo le quantità indicate in fattura, ex art. 2041 c.c.
Il Tribunale di Campobasso, con sentenza n. 572 del 2017, accolse l’opposizione ed annullò l’ingiunzione.
Il Comune propose quindi gravame e la Corte d’appello di Campobasso, disposto il mutamento del rito, con sentenza n. 121 del 2020 confermò l’annullamento dell’ingiunzione ma, in riforma della sentenza del Tribunale, accolse la domanda riconvenzionale e condannò la parte appellata al pagamento di € 102.603,67, sulla base delle quantità indicate in fattura: e ciò ai sensi dell’art. 2041 c.c.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione R.L.E., quale titolare della ditta individuale “(OMISSIS)”, in forza di tre motivi, cui resiste con controricorso il Comune di (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Con ordinanza interlocutoria n. 6780/2024, questa Corte ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo, per la trattazione in pubblica udienza, in relazione a rilevanti questioni nomofilattiche poste dal ricorso, vertenti in particolare: 1) sulla possibilità o meno di configurare – al lume del recente insegnamento di Cass., Sez. Un., n. 33954/2023 – la sussidiarietà dell’azione ex art. 2041 c.c., stante l’intervenuta declaratoria di nullità del contratto; 2) sulle modalità con cui, venendo meno il contratto, sia possibile accertare e misurare il depauperamento dell’ente erogatore e il contestuale arricchimento dell’utilizzatore, ed in particolare se sia possibile utilizzare il contatore.
Fissata l’odierna udienza pubblica, il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta, chiedendo il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato ulteriore memoria.
- – Preliminarmente, rileva il Collegio che deve affrontarsi il tema della ammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c. in relazione al profilo della sussidiarietà, a seguito della declaratoria di nullità del contratto di somministrazione per cui è processo.
La Corte molisana, nel delibare la domanda subordinata proposta dal Comune di (OMISSIS), ha osservato che la stessa è da considerare “ammissibile perché l’azione tipica ha dato esito negativo per carenza ab origine dell’azione stessa derivante da un difetto del titolo posto a suo fondamento”.
Occorre in proposito osservare che, dal tenore complessivo del ricorso, il profilo in questione può dirsi ancora “vivo”, nel senso di non definito con pronuncia non attinta da censura e, dunque, esaminabile da questa Corte, perché il R.L.E. s’è comunque doluto della statuizione sulla ritenuta ammissibilità dell’azione ex art. 2041 c.c., specificamente col terzo motivo (seppure, come si vedrà, per un profilo diverso), ma più in generale negando che la declaratoria di nullità del contratto, confermata dalla Corte d’appello, possa considerarsi alla stregua di una vicenda sostanzialmente irrilevante, per l’esito complessivo del giudizio.
Quanto alle doglianze specificamente proposte col terzo motivo, in particolare, può fin d’ora osservarsi che, a seguire fino in fondo la tesi ivi propugnata, l’applicazione analogica dell’art. 35 del d.lgs. n. 77/1995 (rectius, dell’art. 191, comma 4, d.lgs. n. 267/2000, c.d. TUEL) al caso della erogazione di beni e servizi da parte dell’ente locale, a parte l’ardua configurabilità di una identità di ratio e l’insufficienza del richiamo generico ad una non meglio definita parità di trattamento, condurrebbe all’assurdo per cui, per effetto della violazione delle norme di contabilità degli enti locali, il rapporto obbligatorio verrebbe in essere tra il solo funzionario dell’ente e il privato, con il primo in qualità di unico creditore, in luogo dell’ente stesso: insomma, la tesi (pertanto non condivisibile) finirebbe con l’incentivare la violazione della norma suddetta da parte del funzionario dell’ente e, per di più, pro domo sua, segno evidente che non può affatto discutersi di identità di ratio rispetto alla fattispecie della acquisizione di beni e servizi, come invece opinato dal ricorrente.
2.1 – Tuttavia, la questione più generale può essere utilmente scrutinata in questa sede, richiamando quanto già in parte anticipato, giacché è noto che questa Corte di legittimità ben può accogliere il ricorso per una ragione di diritto anche diversa da quella prospettata dal ricorrente, sempre che essa sia fondata sui fatti come prospettati dalle parti (v. Cass. n. 18775/2017; Cass. n. 20994/2018; Cass. n. 2811/2020; Cass. n. 5611/2021; Cass. n. 26991/2021; Cass. n. 18421/2022) e sul punto non si sia formato il giudicato interno (Cass. n. 4272/2021).
Proprio per quanto già detto, i fatti rilevanti sono incontroversi tra le parti: segnatamente, è indiscusso che il Comune molisano abbia fornito il servizio idrico alla ditta individuale del ricorrente per gli anni in parola, benché in assenza di contratto stipulato per iscritto, dunque dichiarato nullo per difetto di forma; inoltre, sul tema dell’ammissibilità dell’azione, non s’è affatto formato il giudicato interno.
Sussistono dunque tutte le condizioni affinché le doglianze del ricorrente possano essere considerate sotto il profilo giuridico specificamente illustrato dal ricorrente con la prima memoria, ma da ricondursi nel perimetro dei vizi in origine proposti.
Non senza dire che – anticipandosi sin d’ora l’esito della presente decisione, con la richiesta di rimessione del ricorso alle Sezioni Unite – qualora il Massimo Consesso non dovesse condividere tale impostazione, parrebbero sussistere valide ragioni per comunque pronunciare, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.c..
- – Ora, non occorre qui richiamare con dovizia di particolari la motivazione della più volte citata Cass., Sez. Un., n. 33954/2023, che il Collegio condivide senz’altro nei suoi snodi essenziali e nei suoi presupposti, che – nella scelta tra il corno della sussidiarietà “in astratto” e quello della sussidiarietà “in concreto”, sollecitata dall’ordinanza di rimessione – hanno condotto il Massimo Consesso all’adozione di quella che, in dottrina, è stata efficacemente definita come “sussidiarietà in astratto temperata”.
Anche per comodità espositiva, tuttavia, può qui farsi riferimento alla condivisa affermazione delle Sezioni Unite per cui “[l]’azione di ingiustificato arricchimento è un rimedio restitutorio mirante a neutralizzare lo squilibrio determinatosi, in conseguenza di diversi atti o fatti giuridici, tra le sfere patrimoniali di due soggetti, nei limiti […] dell’arricchimento che non sia sorretto da una “giusta causa” […]”.
Il codice civile del 1942, si prosegue, ha “voluto introdurre un rimedio di carattere generale, avente però natura sussidiaria alla stregua di norma di chiusura dell’ordinamento, attivabile in tutti quei casi in cui l’arricchimento di un soggetto in danno di altro soggetto non sia “corretto” da specifiche disposizioni di legge” (par. 4).
Assai significativo è poi l’ulteriore sviluppo della motivazione, sul tema specifico della sussidiarietà, laddove (par. 6) si evidenzia che “la volontà che è alla base dell’introduzione dell’art. 2042 c.c. […] è quella di preservare la certezza del diritto ed evitare elusioni della norma, ammettendo che si possa agire con l’azione di arricchimento anche nei casi in cui la domanda principale non sia stata coltivata o sia andata perduta per il comportamento colpevole del titolare […] e, quindi, con riferimento ai casi di più frequente applicazione, per la prescrizione ovvero per la decadenza”, sicché la “regola della sussidiarietà impone di affermare che, se l’impoverito dispone di altre difese, l’azione di arricchimento non può essere esercitata, e ciò vale anche se le altre difese, già pertinenti al soggetto, siano andate perdute […]”.
Ancora, ai fini dell’indagine che occupa, assai rilevante è quell’ulteriore passaggio in cui (ibidem) si afferma che “resta preclusa la possibilità di agire ex art. 2041 c.c., anche in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico (conf. ex multis, Cass. n. 10427/2002; Cass. n. 14085/2010)”.
3.1 – Con riferimento a tale ultima questione – che nel caso in esame viene specificamente in rilievo – il ripetuto arresto nomofilattico richiama a conforto anche la precedente sentenza n. 22404/2018, resa dalle stesse Sezioni Unite sul diverso tema dell’ammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c. proposta solo con la memoria di cui al previgente art. 183, comma 6, n. 1, c.p.c., in via subordinata rispetto alla domanda su titolo contrattuale rivelatosi nullo, per inferirne che la “ammissibilità della domanda in via subordinata sul piano processuale sottende a monte l’ammissibilità anche della medesima sul piano sostanziale […]”.
Centrale, ai fini di quanto si dirà oltre, si rivela anche il seguente ragionamento sviluppato dal Massimo Consesso, sul tema in discorso: “Occorre quindi distinguere tra le ipotesi in cui il rigetto derivi dal riconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti la domanda cd. principale [come nel caso di contratto nullo, n.d.e.], da quelli in cui derivi dall’inerzia dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse.
Nella prima ipotesi il rigetto per accertamento della carenza ab origine del titolo fondante la domanda cd. principale comporta che quello che appariva un concorso da risolvere ex art. 2042 c.c. in favore della domanda principale si rivela essere in realtà un concorso solo apparente, in quanto deve escludersi la stessa ricorrenza di un diritto suscettibile di essere dedotto in giudizio con la conseguente improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c.
Viceversa, il rigetto della domanda, correlato al mancato assolvimento dell’onere della prova in relazione alla sussistenza del pregiudizio, non esclude che il diverso titolo sussista e che quindi sia preclusa la domanda fondata sulla clausola residuale. Se la domanda principale è correlata ad una pretesa scaturente da un contratto, di cui si lamenta l’esecuzione in maniera difforme da quanto pattuito, chiedendosi il ristoro del pregiudizio subito e si accerta che il contratto era affetto da nullità, lo spostamento contrattuale si palesa privo di una giusta causa e legittima quindi la proposizione, anche in via subordinata nel medesimo giudizio, dell’azione di arricchimento.
Se viceversa, incontestata o dimostrata l’esistenza del contratto, il rigetto sia derivato dalla mancata prova da parte del contraente del danno derivante dall’altrui condotta inadempiente, la domanda di arricchimento resta preclusa in ragione della clausola di cui all’art. 2042 c.c.”.
Il che – avuto riguardo alla vicenda per cui è processo – dovrebbe condurre de plano (ove si ritenga che la nullità del contratto non dipenda, nella specie, da violazione di norme imperative) al giudizio di ammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c. proposta, in subordine, dal Comune di (OMISSIS), come appunto ritenuto dalla Corte territoriale.
- – Senonché, la vicenda che occupa appare esemplare di come il percorso motivazionale suddetto, rispetto al titolo contrattuale nullo, meriti quantomeno un approfondimento, perché residuano sullo sfondo non pochi aspetti controversi, pur dopo l’autorevole arresto delle Sezioni Unite del 2023.
Nella specie, anzitutto, la P.A. assume il ruolo di soggetto “impoverito”, contrariamente all’id quod plerumque accidit, nel contenzioso ordinario.
È cioè inusuale che sia la stessa P.A. ad agire ex art. 2041 c.c., giacché essa, nelle controversie in cui si pone il tema della ammissibilità della domanda in parola nei rapporti con privati, è normalmente soggetto convenuto; e non occorre evidenziare più di tanto che i precedenti che hanno riguardato il tema del rapporto tra declaratoria di nullità dei contratti della P.A. per difetto di forma e ammissibilità della domanda di arricchimento senza causa hanno generalmente visto protagonista, ex latere actoris (se non si erra), il soggetto privato.
Pare dunque intuitiva, al Collegio, l’esigenza di verificare se quanto precede possa influenzare, ed eventualmente in che termini, le suddette valutazioni, posto che – benché sia “molto frequente nella prassi” (così le Sezioni Unite del 2023) la valutazione di ammissibilità della domanda stessa nel caso di nullità dei contratti della P.A. – la prospettiva della giurisprudenza richiamata dalle stesse Sezioni Unite, al riguardo, è stata generalmente (e pressoché univocamente) volta alle azioni subite dalla stessa P.A., non anche all’ipotesi contraria.
4.1.1 – Occorre poi considerare che il giudizio di nullità del contratto della P.A., stipulato iure privatorum, per difetto di forma scritta (nella specie, per violazione dell’art. 17 del r.d. n. 2440/1923), per quanto integrante una ipotesi di difetto del titolo ab origine, come pure ritenuto dalla Corte molisana, ben difficilmente può ascriversi alla violazione di norma non imperativa, trattandosi di regole in tema di evidenza pubblica, che costituiscono espressione del principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, ex art. 97 Cost.
Si vuole cioè dire che, nel caso di violazione delle disposizioni in tema di contabilità degli enti pubblici, tali da determinare addirittura la previsione della massima sanzione in ambito contrattuale, id est la nullità ex art. 1418 c.c., tanto discende da disposizioni (nella specie, dall’art. 17 cit.) poste a tutela dell’ente e della generalità dei consociati, “quale principio generale finalizzato al controllo istituzionale e della collettività sull’operato dell’ente pubblico (territoriale) e, quindi, funzionale all’esigenza di assicurare l’imparzialità ed il buon andamento della pubblica amministrazione” (così, ribadendo consolidato principio, la recente Cass., Sez. Un., n. 9775/2022, ma anche Cass., Sez. Un., ord. n. 13749/2023; tra innumerevoli altre, a contrario, Cass., Sez. Un., n. 20684/2018); pertanto, consimili disposizioni non possono che essere caratterizzate da imperatività e inderogabilità.
Non sembra, dunque, affatto peregrino quanto prospettato dal ricorrente, posto che la declaratoria della nullità del contratto non pare poter assumere, di per sé, una valenza neutra – ai limiti dell’innocuità – per l’esito complessivo della causa.
Pertanto, posto che la stessa sentenza n. 33954/2023 esclude l’accesso all’azione di arricchimento senza causa laddove il contratto difetti ab origine perché affetto da nullità per violazione di norma imperativa (o di ordine pubblico), il perdurante giudizio di ammissibilità di azioni in vicende come quelle per cui è processo, pure espresso dal Massimo Consesso, parrebbe necessitare di un ulteriore chiarimento nomofilattico, al fine di verificare se e perché da tale nullità – idonea a precludere comunque l’azione di ingiustificato arricchimento – possa escludersi quella derivante dalla violazione di norme a tutela di esigenze pubblicistiche di ordinata gestione della P.A. e della stessa spesa pubblica.
4.1.2 – Per quanto già detto, infatti, posto che la declaratoria di nullità del contratto dovrebbe di regola lasciare spazio indiscriminato all’ammissibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento, perché il titolo sarebbe carente ab origine, la limitazione affermata dalle stesse Sezioni Unite, laddove se ne nega l’esperibilità nel caso in cui la nullità stessa discenda dalla violazione di norma imperativa o sia contraria all’ordine pubblico, pare postulare la sussistenza di un ulteriore elemento, ossia un giudizio di disvalore, o di incompatibilità di fondo con l’ordinamento, circa la pretesa attorea avanzata principaliter, come ad es. nel caso in cui il contratto su cui essa sia strutturata sia affetto da causa illecita, o costituisca il mezzo per eludere una norma imperativa, o sussista un motivo illecito comune alle parti, secondo quanto previsto dagli artt. 1343-1345 c.c.; di ciò, per vero, pare potersi scorgere una eco nella stessa motivazione della sentenza n. 33954/2023, laddove si fa riferimento, come s’è visto, ad una “nullità [che] derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative”.
Tuttavia, è stato al riguardo acutamente osservato da autorevole dottrina, nel corso dell’ampio dibattito succeduto alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2023, che i precedenti giurisprudenziali da queste richiamati non paiono del tutto in termini con la regola affermata sul piano generale (nel senso, lo si ripete, della esclusione dell’ammissibilità dell’azione ex art. 2041 c.c. ove il contratto sia stato dichiarato nullo per contrarietà a norme imperative o all’ordine pubblico), come dimostra il fatto che Cass. n. 13203/2023 afferma, incidentalmente (in fattispecie di assenza tout court di titolo contrattuale), che “il rigetto della domanda contrattuale, per nullità del relativo titolo, non consent[e] di agire con l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.” nel caso emerga “l’esigenza di evitare la frode alla legge e comunque l’aggiramento di norme indisponibili, poste a tutela di interessi generali”; mentre Cass. n. 10427/2002 – in tema di contratto di agenzia nullo per contrarietà a norma imperativa, in quanto stipulato con soggetto non iscritto nel relativo albo – nel riconoscere in siffatte ipotesi l’ammissibilità dell’azione in discorso, afferma invece che “Nessuna distinzione […] può farsi tra il contratto semplicemente illegale, perché, come nella specie, contrario ad una norma imperativa […] e il contratto nullo per illiceità della causa dovuta a contrarietà a norme imperative o all’ordine pubblico, ai sensi degli artt. 1418, comma 2, e 1343 c.c., in quanto sarebbe preclusiva dell’azione generale di arricchimento solo la nullità del contratto per illiceità della causa dovuta a contrarietà al buon costume […]”.
4.1.3 – L’importanza della questione, anche per le sue ricadute pratiche ed in relazione alla consolidata interpretazione di generalizzata ammissibilità di un’azione di ingiustificato arricchimento proprio nei casi di nullità dei contratti con la P.A. per difetto di forma scritta ad substantiam, merita quindi un ulteriore approfondimento ed un univoco chiarimento nomofilattico, anche perché essa non è scollegata dal tema della definizione della nozione di “giusta causa” dell’arricchimento, che le Sezioni Unite, con l’arresto più volte citato, hanno invece premesso di non affrontare, in quanto esulante dal tema specificamente oggetto della decisione.
Pare infatti al Collegio che, come anche sostenuto da autorevole dottrina, l’indagine sul perimetro della sussidiarietà dell’azione in discorso – anche nella specifica prospettiva qui in rilievo – non possa compiutamente affrontarsi senza prima interrogarsi sulla portata di tutti gli elementi integrativi dell’azione stessa, compresa ovviamente la nozione di “giusta causa” (è stato anche acutamente affermato come non paia “possibile analizzare […] l’art. 2042 c.c. prescindendo dall’essenza stessa dell’art. 2041 c.c.”). Tanto consentirebbe all’interprete di individuare, con apprezzabile costrutto, la linea di confine della questione in discorso, onde anche evitare il rischio di percorrere soluzioni non del tutto convincenti, come meglio si dirà tra breve.
4.2 – Ancora sul tema della nullità del contratto e della conseguente proponibilità dell’azione ex art. 2041 c.c., la giurisprudenza pure richiamata dalle Sezioni Unite al riguardo – e da esse ribadita – non pare poi aver compiutamente affrontato una ulteriore questione, ossia quella delle normali conseguenze che discendono dalla declaratoria della nullità.
Come è noto, a seguito della dichiarazione della nullità del contratto già eseguito, anche parzialmente, sorgono a carico delle parti le obbligazioni restitutorie, regolate dalla disciplina sulla ripetizione d’indebito (da ultimo, e per tutte, Cass. n. 27390/2023), salvi i casi, individuati dal legislatore, di irripetibilità delle prestazioni (v., ad es., la previsione dell’art. 2035 c.c.).
Già in astratto, dunque, appare problematica – e non agevolmente condivisibile – l’affermazione per cui, proposta in via principale una domanda ex contractu e dichiarata la nullità del titolo, la parte attrice non abbia a disposizione nessun altro rimedio per ottenere il ristoro del proprio depauperamento (consistente nel valore delle prestazioni già rese), senza aver (in ipotesi) ottenuto il pagamento del corrispettivo (come esattamente avvenuto nel caso che occupa).
Insomma, considerazioni sistematiche pressoché scontate inducono a ritenere che chi agisca in forza di titolo contrattuale per l’adempimento ex art. 1453 c.c., ove il contratto si riveli nullo e, dunque, improduttivo di effetti, per ottenere il riallineamento della propria posizione patrimoniale e la neutralizzazione degli effetti del contratto nullo ha di regola a disposizione l’azione di ripetizione di indebito, ex art. 2033 ss. c.c., che relega (anzi, mantiene) il rimedio di cui all’art. 2041 c.c. in posizione sussidiaria, appunto come previsto dall’art. 2042 c.c.: dal che dovrebbe de plano inferirsene l’inammissibilità.
Tutto ciò, benché sia ampiamente ricevuto, anche in dottrina, il convincimento per cui le disposizioni sull’indebito oggettivo non siano altro che specifica espressione del principio generale dell’ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c., muovendosi detta azione nell’ampia categoria dei rimedi restitutori; i quali regolano anche il caso dell’impossibilità della restituzione della cosa determinata ricevuta, all’art. 2037 c.c., quale potrebbe configurarsi nel caso di forniture continuate o periodiche di beni di consumo.
Ma se anche la soluzione prospettata può dirsi dubbia allorché la prestazione principale dell’impoverito consista in un facere (nel senso della non esperibilità dell’azione di ripetizione d’indebito, in tal caso, v. Cass. n. 6747/2014; conf. Cass. n. 9052/2010; contra, le più risalenti Cass. n. 6245/1981 e Cass. n. 2029/1982), non così può dirsi allorché la prestazione stessa consista in un dare, ancorché di cose fungibili e per di più continuata o periodica, come è inequivoco nella specie, trattandosi di contratto di somministrazione di acqua (nullo, appunto, perché amorfo).
Quanto precede assume valenza emblematica rispetto alla vicenda in esame, in cui l’alternativa tra rimedio restitutorio “puro” e quello dell’arricchimento ingiustificato si pone a fronte di una omissione principalmente imputabile all’ente pubblico; il Comune, richiesto della fornitura del servizio idrico dall’utente, omette di compiere quanto necessario per regimentare la fornitura stessa nell’alveo della legge, mediante stipulazione di contratto per iscritto (adempimento di cui, all’evidenza, non poteva che essere esso stesso promotore), ed eroga senz’altro il servizio, così violando la disciplina imperativa, posta – come s’è visto – a tutela sia dell’ente, che della collettività.
- – Reputa il Collegio che la disamina che precede e la rilevanza delle problematiche affrontate trovino la loro “cartina tornasole” in una recente sentenza di questa Corte (Cass., Sez. L, n. 7178/2024, Rv. 670452-01), così massimata: “L’esecuzione della prestazione – nella specie l’ideazione di un software – sulla base di un contratto con la P.A., nullo per mancanza della forma scritta o per violazione delle norme che regolano la procedura finalizzata alla sua conclusione, legittima il prestatore a proporre l’azione di ingiustificato arricchimento …”.
Tralasciando quanto non di specifico interesse ai fini che occupano, detto arresto si segnala perché, muovendosi sul punto dichiaratamente nell’egida di Cass., Sez. Un., n. 33954/2023, afferma (in motivazione, pp. 13-14) che quest’ultima “si riferisce, quando parla di illiceità dei contratti, alle ipotesi nelle quali il diritto alla prestazione non è riconosciuto a priori dall’ordinamento e non alle nullità derivanti dal mancato rispetto delle norme in tema di evidenza pubblica concernenti i contratti della P.A.
D’altronde, è consolidata la giurisprudenza che, in presenza di vizi formali della procedura volta alla stipula di un contratto di prestazione d’opera, ammette, in astratto, l’azione ex art. 2041 c.c. (Cass., Sez. 3, n. 9809 del 9 aprile 2019; Cass., Sez. 6-1, n. 351 del 10 gennaio 2017; Cass., Sez. 3, n. 3905 del 18 febbraio 2010).
Lo stesso esame della giurisprudenza richiamata dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. 3, n. 13203 del 15 maggio 2023; Cass., Sez. 2, n. 14085 dell’11 giugno 2010; Cass., Sez. 3, n. 10427 del 18 luglio 2002) suffraga questo esito, atteso che, nelle fattispecie sottese a dette pronunce, veniva in rilievo una nullità assoluta (Cass., Sez. 2, n. 21495 del 12 ottobre 2007; Cass., Sez. 2, n. 3021 del 15 febbraio 2005) disposta per l’esigenza di evitare la frode alla legge e, comunque, l’aggiramento di norme indisponibili, poste a tutela di interessi generali.
Nel caso in esame, invece, l’azione di cui all’art. 2041 c.c. è l’unico rimedio esperibile da parte del ricorrente per ottenere, seppure in parte, il compenso al quale ritiene di avere diritto (ancora Cass., Sez. 3, n. 13203 del 15 maggio 2023)”.
5.1 – Senonché – fermo restando che la controversia così decisa attiene ad azione proposta da privato contro la P.A. e considerato anche che la dichiarazione di nullità del contratto ex art. 17 r.d. n. 2440/1923 determina anch’essa una nullità assoluta, posto che non ne è dubbia la rilevabilità d’ufficio (per tutte, Cass. n. 25631/2017) – la citata pronuncia non chiarisce il perché, a fronte delle finalità istituzionali cui detta disposizione è tesa, la violazione delle norme in tema di evidenza pubblica (o, almeno, di quelle che comportano la nullità del contratto) non integri essa stessa l’ipotesi di violazione di norme imperative, tale da escludere che (proprio in ragione delle suddette finalità, e per usare le parole della stessa Cass. n. 7178/2024), in siffatte ipotesi, “il diritto alla prestazione non [sia] riconosciuto a priori dall’ordinamento”.
Pare infatti evidente che, ad ammettere l’azione ex art. 2041 c.c. in tali casi, il rischio che tanto determini comunque “l’aggiramento di norme indisponibili, poste a tutela di interessi generali” (così, ancora, il citato arresto) sia immanente e non altrimenti evitabile.
- – Tutto quanto precede rende dunque evidente che la disamina dei temi fin qui descritti, in ulteriore e più compiuto sviluppo delle tematiche già in quella sede affrontate, competa alle Sezioni Unite di questa Corte, trattandosi comunque di questioni di massima di particolare importanza, quand’anche da affrontare, in ipotesi, ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c., nell’interesse della legge. In particolare, si tratta di valutare:
1) se, in riferimento al principio affermato dalla recente sentenza Cass., Sez. Un., 5 dicembre 2023, n. 33954, Rv. 669447-01, avuto riguardo alla residualità dell’azione di arricchimento senza causa ex art. 2042 c.c. ed ove non risulti opportuna la definizione della nozione di “giusta causa” in carenza della quale è data l’azione in parola, l’ipotesi di nullità del contratto della P.A. per difetto di forma scritta rientri o meno nelle cause di nullità per violazione di norme imperative o per contrarietà all’ordine pubblico, qualificate ostative all’ammissibilità della domanda ex art. 2041 c.c.;
2) se, ancora in riferimento al suddetto principio, il giudizio sull’ammissibilità dell’azione possa essere declinato diversamente, in caso di declaratoria di nullità del contratto per difetto di forma scritta, qualora, come nella specie, il soggetto “impoverito” sia la stessa P.A. e non la sua controparte privata;
3) se, infine e sempre in riferimento al suddetto principio, ove al quesito di cui sub 1) si risponda nel senso dell’ammissibilità dell’azione, abbia rilievo la circostanza che il contratto dichiarato nullo abbia ad oggetto prestazioni di dare, stante quanto previsto – quale possibile azione alternativa, offerta dall’ordinamento già sul piano astratto – dagli artt. 2033 ss. c.c. in tema di ripetizione d’indebito oggettivo.
- – In definitiva, il Collegio reputa necessario rimettere gli atti alla Prima Presidente, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., affinché valuti l’opportunità di assegnare la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite.