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*Processo – Obbligazioni e contratti – Frazionamento del credito ed abuso del diritto di azione

by Francesca Senia - Avvocato del Foro di Ragusa
14 Dicembre 2022
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, III Sezione Civile, sentenza 14 novembre 2022, n. 33443

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)

  1. Il ricorso va accolto, nei termini di seguito precisati.

6.1. In via preliminare deve rilevarsi che il ricorso – recante firma digitale del legale che lo ha predisposto – è stato notificato alla Filorimo (rimasta, come detto, intimata) nelle forme telematiche.

Ciò premesso, deve altresì rilevarsi che esso reca un’attestazione, anch’essa firmata digitalmente, della conformità della copia analogica depositata all’originale digitale notificato, ed una successiva attestazione – questa, invece, recante firma autografa del difensore – della conformità, agli originali digitali, della relata di notificazione e delle ricevute dei messaggi “pec” di accettazione e consegna. Orbene, la prima di tali circostanze, ovvero il difetto di sottoscrizione autografa dell’attestazione di conformità relativa al ricorso, potrebbe indurre a dubitare della procedibilità dello stesso, alla stregua del principio secondo cui “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della I. n. 53 del 1994 o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli ex art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 82 del 2005.

Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio. (Principio enunciato ai sensi dell’art. 363, comma 3, c.p.c.)” (Cass. Sez. Un., sent. 24 settembre 2018, n. 22438, in particolare con la massima Rv. 650462-01). 5 Corte di Cassazione – copia non ufficiale Il dubbio, tuttavia, deve essere superato – secondo questo collegio – in ragione della successiva asseverazione (recante, invece, firma autografa del difensore), e ciò sebbene essa concerna la relata di notificazione e i messaggi “pec”, dovendo ritenersi la stessa espressiva di quella “volontà asseverativa «composita»”, alla quale questa Corte ha già dato rilievo, ancorché con riferimento al caso dell’asseverazione della conformità all’originale digitale della copia analogica della sentenza notificata in via telematica (cfr. Cass. Sez. 6-3, ord. 18 marzo 2021, 7610, Rv. 660928-01).

6.2. Tanto chiarito, il ricorso va accolto, giacché i motivi primo e secondo – suscettibili di trattazione congiunta, data la loro connessione – sono fondati.

6.2.1. Nel procedere al loro scrutinio occorre muovere dalla constatazione che, in “materia di titolo esecutivo di formazione giudiziale, specificamente nei rapporti tra sentenza di primo grado e sentenza d’appello, la giurisprudenza di questa Corte attribuisce alla sentenza d’appello, salvo i casi di inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità dell’appello (e, quindi, quelli in cui l’appello sia definito in rito e non sia esaminato nel merito con la realizzazione dell’effetto devolutivo di gravame sul merito), l’efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma che in quello di conferma di essa” (così, da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 13 novembre 2018, n. 29021, Rv. 651659-01). “L’effetto sostitutivo della sentenza d’appello, la quale confermi integralmente o riformi parzialmente la decisione di primo grado, comporta” – si legge ancora nel testé citato arresto di questa Corte – “che, ove l’esecuzione non sia ancora iniziata, essa dovrà intraprendersi sulla base della pronuncia di secondo Corte di Cassazione – copia non ufficiale grado, mentre, se l’esecuzione sia già stata promossa in virtù del primo titolo esecutivo, la stessa proseguirà sulla base delle statuizioni ivi contenute che abbiano trovato conferma in sede di impugnazione” (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 29021 del 2018, cit.).

Ne consegue, quindi, che, “ai fini della corretta introduzione della esecuzione promossa quando già sia stata pubblicata la sentenza di appello, il titolo esecutivo da notificare prima o congiuntamente al precetto ai fini della validità di quest’ultimo è costituito in ogni caso dalla sentenza di appello e non dalla sentenza di primo grado, anche quando il dispositivo della sentenza di appello contenga esclusivamente il rigetto dell’appello e l’integrale conferma della sentenza di primo grado”, giacché, in questo caso, “l’esigenza di chiarezza del contenuto delle obbligazioni a carico della parte soccombente è comunque soddisfatta in quanto contenuto primario del precetto a pena di nullità è l’indicazione del contenuto dell’obbligo risultante dal titolo” (cfr., ancora una volta in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 29021 del 2018, cit.).

6.2.2. I rilievi che precedono, pertanto, consentono di ritenere che, sebbene l’odierna ricorrente non abbia riprodotto – nel presente atto di impugnazione – il contenuto della sentenza d’appello, posta dalla Filorimo a fondamento del suo (primo) atto di precetto, tale circostanza non comporti le conseguenze di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., non potendo sussistere dubbi sulla portata del credito azionato in via esecutiva dalla stessa, anche in relazione alle spese del primo grado di giudizio. Difatti, come sopra rilevato, anche nel caso di pronuncia d’appello confermativa di quella resa in prime cure “l’esigenza di chiarezza del contenuto delle obbligazioni a carico della parte soccombente è comunque soddisfatta in quanto contenuto primario del precetto a pena di nullità è l’indicazione del contenuto dell’obbligo risultante dal titolo”.

6.2.3. Tanto premesso, osserva la Corte, i primi due motivi del presente ricorso meritano accoglimento, visto che – come già affermato da questa Corte – “ben può estendersi anche al processo esecutivo il principio del divieto di frazionamento de[ credito originariamente unitario in più parti, ove tanto comporti un’indebita maggiorazione dell’aggravio per il debitore, in quanto non giustificata da particolari esigenze di effettiva tutela del credito”, risultando “evidente l’identità di ratio in ordine all’applicazione, pure in ambito processuale e nel contesto dei canoni costituzionalizzati del giusto processo, del principio di buona fede, allo stato già affermato per il processo di cognizione” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 9 aprile 2013, n. 8576, Rv. 625875-01).

Su tali basi si è ritenuto, dunque, che la “notifica di ulteriore precetto fondato sullo stesso titolo esecutivo deve, pertanto, ritenersi espressione di una condotta concretante abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, la quale, nel caso considerato, bene avrebbe potuto tutelare il suo interesse sostanziale con la notifica di un solo atto di precetto per tutte le voci di credito ritenute dovute” (così, in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 15 marzo 2013, n. 6664, Rv. 625608).

Fondata è, pertanto, la doglianza proposta dall’odierna ricorrente, nel lamentare che – sebbene la sentenza, resa all’esito della fase di appello del giudizio che l’aveva vista contrapposta alla Fibrina, fosse confermativa di quella pronunciata in prime cure – la creditrice, dopo aver richiesto precetto quanto alle spese del secondo grado di giudizio, con nuovo atto ex art. 480 cod. proc. civ., le intimava (ad onta, tra l’altro, dell’avvenuta corresponsione di quanto richiesto) il pagamento delle spese di lite relative al primo grado di giudizio.

Si tratta, infatti, di condotta che integra abusivo frazionamento del credito e, con esso, degli strumenti processuali. Manifestamente illogica è, inoltre, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata che, pur riconoscendo l’avvenuta duplicazione degli atti di precetto, esclude che alcun “onere aggiuntivo” abbia sopportato la debitrice esecutata Pagano.

  1. I motivi primo e secondo di ricorso, conclude la Corte, vanno quindi accolti, con assorbimento del terzo; e la sentenza va cassata in relazione, con rinvio al Tribunale di Messina, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito (oltre che sulle spese di lite), alla stregua del seguente principio di diritto: “integra abusivo frazionamento del credito il contegno del creditore esecutante, il quale – dopo avere intimato al debitore esecutato, con un primo atto di precetto, il pagamento delle spese legali liquidate per il giudizio di appello conclusosi con la conferma della decisione adottata in prime cure – intimi, con successivo atto di precetto, il pagamento delle spese legali liquidate in primo grado, richiedendo pure ulteriori spese e competenze relative a tale secondo atto di precetto”.

 

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