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*Professioni – Ritardi nella giustizia, la sanzione irrogata ai Magistrati va proporzionata sulla base del carico di lavoro arretrato.

by Federico Alessi
10 Novembre 2025
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sez. Unite, sent., 04.11.2025, n. 29145

PRINCIPIO DI DIRITTO

           In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, qualora i ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali si protraggono per un tempo considerevole rispetto alla soglia di illiceità considerata dal legislatore, tanto più seria, specifica, rigorosa e pregnante deve essere la relativa giustificazione, necessariamente comprensiva della prova che, in tutto il lasso di tempo interessato, non sarebbero stati possibili diversi comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro, o che, comunque, essi non avrebbero potuto in alcun modo evitare il grave ritardo o almeno ridurne l’abnorme dilatazione.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. Alla ricorrente è stato contestato l’illecito disciplinare di cui agli articoli 1, comma 1, e 2, comma 1, lett. q), del d.lgs. n. 109 del 2006, per aver mancato ai doveri di diligenza e laboriosità con reiterati, gravi ed ingiustificati ritardi nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni. […]

Con tale comportamento pregiudicando gravemente il diritto delle parti ad ottenere la definizione in tempi ragionevoli del processo, secondo quanto previsto dall’art. 111, comma secondo, Cost., e 6, par. 1, CEDU. Notizie circostanziate dei fatti acquisite dal giorno 8 giugno 2021 al giorno 16 giugno 2021, nel corso dell’ispezione ordinaria al Tribunale di Nocera Inferiore.

  1. La Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha dichiarato la ricorrente responsabile dell’illecito disciplinare a lei ascritto e, per l’effetto, le ha irrogato la sanzione della perdita di anzianità di mesi due.
  2. Prima di esaminare i motivi di ricorso, va premesso che, come più volte affermato da queste Sezioni Unite (ex aliis, Cass., S.U., n. 24283 del 2024), il ricorso per cassazione contro le sentenze della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura è soggetto alla normativa processuale penale quanto alla fase di proposizione, per cui il vizio di motivazione è deducibile ai sensi dell’art. 606, cod. proc. pen., come modificato con l’art. 8 della l. n. 46 del 2006, e, dunque, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, specificamente indicati nel ricorso. Il sindacato della Corte di cassazione sulle decisioni della Sezione disciplinare del CSM è così limitato al controllo della congruità, adeguatezza e logicità della motivazione, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché è estraneo al sindacato di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali, pur dopo la modifica dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. introdotta dalla legge n. 46 del 2006. Coerentemente, quindi, con la giurisprudenza penale di questa Corte, secondo cui la cognizione del Giudice di legittimità è funzionale a verificare la compatibilità della motivazione della decisione con il senso comune e con i limiti di un apprezzamento plausibile, non rientrando tra le sue competenze lo stabilire se il giudice di merito abbia proposto la migliore ricostruzione dei fatti, né condividerne la giustificazione, il vizio di manifesta illogicità della decisione, in cui sarebbe incorsa la Sezione disciplinare del CSM, può sollecitare la Suprema Corte esclusivamente a verificare se il giudice di merito abbia esaminato gli elementi e le deduzioni posti a sua disposizione ed abbia fatto corretto uso di regole logiche, massime di esperienza e criteri legali di valutazione, così da offrire razionale spiegazione dell’opzione decisionale fatta rispetto alle diverse tesi difensive, restando, invece, preclusa la possibilità di opporre alla valutazione dei fatti contenuta nella decisione una diversa loro ricostruzione. […]
  3. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione del principio generale di garanzia del favor rei (art. 25, Cost. e art. 2, cod. pen.) per l’omessa applicazione della causa di estinzione degli illeciti disciplinari (capi f, g, h, ed i) di cui all’art. 3-ter, del d.lgs. 23 febbraio 2006 n. 109, con conseguente omessa applicazione dell’art. 3-bis dello stesso d.lgs. n.109 del 2006, in relazione all’art. 606, comma 1, lettere b) ed e), cod. proc. Pen. La ricorrente ricorda che la Sezione disciplinare del CSM ha affermato che “Parimenti destituita di fondamento risulta la richiesta di applicazione del beneficio dell’estinzione dell’illecito ai sensi dell’art. 3-ter, evocata dalla difesa con riferimento ai soli ritardi di cui alle lettere f), g), h) ed i) dell’incolpazione stante l’avvenuto deposito di tutti provvedimenti previsti nei piani di rientro di cui al decreto n. 118/2021 ed al successivo decreto di proroga n. 5/22. Si è infatti palesemente al di fuori dell’ipotesi disciplinata dalla norma che prevede l’estinzione unicamente per il caso di attuazione del piano di smaltimento dell’arretrato adottato ai sensi dell’art. 37 comma 5-bis d.l.98/2011, all’epoca non ancora vigente, in quanto introdotto con l’art. 14, comma 1, lett. c) della legge 17 giugno 2022 n. 71. Peraltro i piani di rientro invocati dalla dott.ssa da un lato, si riferivano solo ad una parte dell’arretrato (il primo non contemplando le ordinanze) e, dall’altro, non sono stati pienamente rispettati, atteso che il secondo avrebbe dovuto portare “all’esaurimento” dell’arretrato, come in esso previsto, esaurimento che, come da attestazione della cancelleria prodotta con la memoria difensiva data 22 maggio 2024, è invece avvenuto circa due anni dopo la vigenza del piano di rientro prorogato con il decreto n. 5/22 (la detta certificazione, datata 15 maggio 2024, attesta che “non risultano fascicoli in attesa di scioglimento di riserva della dott.ssa per procedura pendenti sul ruolo della Seconda Sezione civile”)”. Assume la ricorrente che l’art. 3-ter, comma 1, del d.lgs. 109 del 2006, ha natura giuridica di norma sostanziale ed è pertanto sottratto all’applicazione del principio tempus regit actum, dovendo trovare applicazione fino al momento ultimo della decisione. Inoltre, la suddetta disposizione avrebbe potuto trovare applicazione per alcuni profili fattuali dell’incolpazione, per cui erano stati rispettati i piani di smaltimento. Pertanto, a fronte del deposito nei due mesi successivi a ciascuno dei due decreti che predisponevano piani di rientro (n.181/2021 del 21 settembre 2021 e n. 5/2022 del 25 gennaio 2022) ed anche in epoca di poco successiva, del numero di provvedimenti indicati nei decreti stessi, provvedimenti ricompresi alle lettere f), g), h) ed i) dell’incolpazione, non vi era motivo per ritenere inapplicabile ad essi la causa estintiva dell’illecito. La ricorrente rileva, quindi, come la mancata applicazione della causa di estinzione ha riverberato i suoi effetti sulla valutazione della restante parte dell’incolpazione, così viziando anche la motivazione inerente all’ulteriore parte dell’incolpazione. 4.1. Il motivo non è fondato. L’art. 3-ter del d.lgs. n. 109 del 2006, introdotto dall’art. 11, comma 1, lett. d), della legge 17 giugno 2022, n. 71 (la cui efficacia decorre dal 21 giugno 2022, ai sensi di quanto disposto dall’art. 43, comma 1, della medesima legge n. 71/2022), dispone che l’illecito disciplinare previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera q), è estinto quando il piano di smaltimento, adottato ai sensi dell’articolo 37, comma 5-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, è stato rispettato. Considerata la data di commissione degli illeciti per i quali è intervenuta la condanna disciplinare, emerge con evidenza come la norma non sia applicabile ratione temporis, secondo i principi già affermati da queste Sezioni Unite con la sentenza n. 4974 del 2025, ai quali si intende dare continuità, che ha ribadito, con riguardo alla suddetta disposizione, che non trova applicazione il principio della lex mitior in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati. La costante giurisprudenza di questa Corte, da ultimo con la citata sentenza n. 4974 del 2025, ha negato l’invocata estensione.  […] Si è posto in evidenza come il problema dell’estensione, anche alla luce della CEDU, del principio della retroattività della lex mitior all’ambito delle sanzioni amministrative – categoria in cui rientrano le sanzioni disciplinari – globalmente considerate, è stato esaminato dalla sentenza C. Cost. n. 193 del 2016, nella quale si è osservato “come la giurisprudenza di Strasburgo non abbia “mai avuto ad oggetto il sistema delle sanzioni amministrative complessivamente considerato, bensì singole e specifiche discipline sanzionatorie, ed in particolare quelle che, pur qualificandosi come amministrative ai sensi dell’ordinamento interno, siano idonee ad acquisire caratteristiche <<punitive>> alla luce dell’ordinamento convenzionale”. Non esiste, quindi, alcun “vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative”. Infatti, la questione dell’ascrivibilità di tali sanzioni all’ambito “sostanzialmente penale” è già stata vagliato dalla giurisprudenza, che ha sempre optato per la soluzione negativa. Come si ribadisce nella sentenza Cass., S.U., n. 4974 del 2025 (richiamando Cass., S.U., n. 22407 del 2018): in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, essendo l’illecito riconducibile al “genus” di quelli amministrativi, non trova applicazione il principio del “favor rei”, di cui all’art. 2 c.p., in forza del quale, in deroga al principio “tempus regit actum”, l’eventuale “abolitio criminis” opera retroattivamente. L’inapplicabilità in radice, ratione temporis, della norma invocata priva di rilevanza il profilo di censura relativo alla prospettata attuazione dei piani di smaltimento, pur rilevandosi che del progressivo smaltimento la Sezione disciplinare del CSM ha tenuto conto nella quantificazione della sanzione.
  4. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata la nullità della sentenza nella valutazione di un fatto specifico non contestato: violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 109 del 2006, in relazione agli artt. 606, comma 1, lett. B), ed E) – 522 -526 cod. proc. pen. Ricorda la ricorrente che nella rubrica della sentenza disciplinare si legge “Notizie circostanziate dei fatti acquisite dal giorno 8 giugno 2021 al giorno 16 giugno 2021, nel corso dell’ispezione ordinaria al Tribunale di Nocera Inferiore”. In coerenza con ciò nei nove capi di incolpazione non si fa riferimento ad alcun esposto presentato da privati per ritardi nella trattazione delle cause. Tuttavia, nella parte dello svolgimento del procedimento della sentenza disciplinare si legge “Il presente procedimento disciplinare trae origine dalla riunione, da parte della Procura Generale della Corte di cassazione in data 9 giugno 2022, di due procedimenti a carico della dott.ssa presso il Tribunale di Nocera Inferiore. Il primo procedimento pre-disciplinare (iscritto al n. 339/2021/SD2/C) nasceva da un esposto della signora  trattazione del procedimento civile R.G. n. 4365/2013 […] Il secondo procedimento disciplinare, invece, trae origine dalla Relazione dell’Ispettorato Generale del 6 maggio 2022, cui è seguito l’esercizio dell’azione disciplinare da parte del Ministro della Giustizia in data 6 giugno 2022”. Ad avviso della ricorrente, poiché tale affermazione non può ampliare l’ambito dell’incolpazione, illegittimamente la Sezione disciplinare del CSM ha motivato l’irrogazione della sanzione inflitta con riguardo all’esposto della signora […] Quindi la ricorrente lamenta che illegittimamente la sentenza impugnata, nel motivare l’irrogazione della sanzione disciplinare, ha fatto riferimento all’esposto, non essendo tale fatto ricompreso nell’incolpazione elevata dalla Procura Generale in data 17/6/2022; tali fatti, quindi, avrebbero dovuto ritenersi implicitamente archiviati, con conseguente loro inutilizzabilità nel procedimento. […] 5.1. Il motivo non è fondato.  Nel procedimento disciplinare a carico di magistrati, la discordanza tra accusa e condanna sussiste soltanto quando è operata una trasformazione o sostituzione degli elementi costitutivi dell’addebito, ma non anche se gli elementi essenziali della contestazione formale restino immutati nel passaggio dalla contestazione all’accertamento dell’illecito, variando solo elementi secondari e di contorno, ovvero quando l’affermazione di responsabilità si fondi su diverse possibili alternative condotte colpose, ciascuna delle quali dotata di efficienza causale rispetto all’evento, sempre che l’incolpato abbia comunque avuto modo di difendersi in merito alle diverse ipotesi ricostruttive (Cass., SU, 16682 del 2024, n. 10445 del 2022, n. 10415 del 2017). […] Dunque, nella sentenza disciplinare, non è ravvisabile un mutamento del fatto addebitato e poi accertato in sentenza rispetto a quello contestato. Al contrario vi è una sostanziale coincidenza tra addebito disciplinare e accertamento in sede di decisione.  E tale coerenza non è incisa dalla generica censura della ricorrente. La Sezione disciplinare, dopo aver già affermato che i ritardi contestati sono per numero ed entità di una rilevanza tale da doverne escludere la scarsa rilevanza da un punto di vista oggettivo, ha poi aggiunge che “in relazione ad uno specifico procedimento, è stato anche presentato da tale un esposto datato 30 giugno 2021 avente ad oggetto i  ritardi nella trattazione di una causa di risarcimento iscritta nel 2013, circostanza indicativa della incidenza dei ritardi sulla fiducia e la considerazione delle parti che ne subiscono direttamente gli effetti”.  Peraltro, come dedotto dal Procuratore Generale l’inciso motivazionale, rimane del tutto secondario e non influisce sulla logicità e tenuta della motivazione, che ha ben applicato consolidati principi (cfr., Cass. S.U. n. 19449 del 2015, n. 2948 del 2016, n. 15813 del 2016, n. 21624 del 2017, n. 24136 del 2018, n. 14526 del 2019), dovendosi escludere che nella specie le circostanze di fatto valorizzate dalla ricorrente siano di particolare significatività, tali da poter ragionevolmente rapportarsi, in modo proporzionale, al peso dei ritardi stessi e, quindi, a renderli giustificati. Va anche considerato che questa Corte ha poi più volte affermato che la correlazione necessaria tra le circostanze addebitate con l’incolpazione e i fatti assunti a fondamento della decisione sanzionatoria deve essere valutata in senso funzionale e non meramente formale, vale a dire per la finalità cui è diretta (cfr,, Corte EDU, 11/12/2007, Drassich c. Italia) e dunque non può ravvisarsi la violazione quando manchi un oggettivo ed effettivo pregiudizio per la possibilità di difesa (cfr. Cass., S.U., n. 24038 del 2023, n. 23259 del 2023). Nella specie, la ricorrente non ha allegato quale pregiudizio avrebbe concretamente patito per la propria difesa nel giudizio disciplinare in conseguenza della prospettata  violazione dell’art. 522, cod. proc. Pen.
  5. Con il terzo motivo di ricorso, la sentenza è impugnata per errata applicazione dell’art.2, comma 1, lett. q), del d.lgs. n. 109 del 2006, illogicità e contraddittorietà di motivazione, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. B) e D), cod. proc. civ. La ricorrente deduce l’errata applicazione dell’art. 2, comma 1 lett. q), del d. lgs. n. 109 del 2006 e la contraddittorietà della motivazione, in quanto pur dando atto della produttività del magistrato e delle obbiettive condizioni sfavorevoli del tribunale, si addebita all’incolpata non scarsa laboriosità o produttività, ma piuttosto una inadeguata organizzazione del lavoro; tale motivazione si presta a critiche sul piano logico, posto che, a fronte di una abnorme mole di lavoro da espletare e di concomitanti impegni lavorativi da assolvere, non si comprende quale criterio organizzativo avrebbe consentito all’incolpata di evitare il formarsi dell’arretrato. I ritardi dimostrano invece che ella non ha inteso ricorrere ad espedienti per diluire nel tempo i carichi di lavoro, sichhé l’incolpata doveva essere assolta in applicazione del principio “ad impossibilia nemo tenetur”. 6.1. Il motivo è inammissibile, atteso che si sostanzia nella richiesta di una rivalutazione delle risultanze di causa che la Corte d’Appello ha effettuato in ragione dei principi già affermati in materia da questa Corte. […] 6.3. Ai fini dell’integrazione dell’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lett. q), del d.lgs. n. 109 del 2006, che sanziona il ritardo nel compimento degli atti relativi all’esercizio delle funzioni, è necessario che sussistano, congiuntamente, tre distinti e autonomi presupposti: la reiterazione, la gravità e l’ingiustificabilità del ritardo.

        6.4. La reiterazione del ritardo implica indefettibilmente una pluralità di episodi di ritardo entro un determinato ambito temporale, senza tuttavia richiedere il carattere dell’abitualità di siffatta condotta, essendo sufficiente ad integrare il presupposto in esame che il ritardo si sia concretato più di una volta e, dunque, che i ritardi siano almeno due. La gravità del ritardo è il presupposto che il legislatore ha inteso delineare attraverso una presunzione che assume come termine la connotazione contraria a quella che integra l’illecito disciplinare, là dove si definisce “non grave … il ritardo che non eccede il triplo dei termini previsti dalla legge per il compimento dell’atto”, sempre che “non sia diversamente dimostrato”. Il parametro temporale individuato dalla disciplina legislativa, attraverso una valutazione astratta di incidenza del ritardo sulla durata ragionevole dell’attività giurisdizionale, segna la soglia oltre la quale il ritardo stesso riveste carattere di gravità e, come tale, dunque, è suscettibile di essere apprezzato. Il ritardo disciplinarmente rilevante può, dunque, qualificarsi come condotta omissiva permanente, consistente nel mancato compimento, in un termine prescritto, del comportamento doveroso, ossia la predisposizione e il deposito di atti che ineriscono all’esercizio delle funzioni giurisdizionali (quale categoria generica e, quindi, comprensiva di qualsiasi forma tipica l’atto possa assumere: sentenza, ordinanza, decreto), la cui emanazione si renda doverosa, su istanza di parte o d’ufficio, entro un termine prestabilito.

       6.5. Se, quindi, reiterazione e gravità del ritardo costituiscono elementi strutturali della fattispecie di illecito disciplinare, il terzo presupposto richiesto per la sua realizzazione, ossia l’ingiustificabilità del ritardo, si colloca all’esterno della fattispecie e opera come causa di esclusione della punibilità dell’illecito stesso, correlata a specifiche condizioni di inesigibilità della condotta doverosa, con il conseguente onere dell’incolpato di allegarne e provarne l’esistenza.  In particolare le condizioni di inesigibilità della condotta doverosa del magistrato, che possono integrare l’esimente della giustificabilità del ritardo, assumono carattere oggettivo allorquando vengono in rilievo, in modo particolarmente significativo e pregnante, fattori inerenti alla complessiva organizzazione lavorativa nella quale il magistrato stesso si trovi a svolgere le proprie funzioni e, dunque, fattori come la gravosità del complessivo carico di lavoro, la qualità dei procedimenti trattati e definiti, gli indici di laboriosità ed operosità comparati con quelli degli altri magistrati dell’ufficio, nonché lo sforzo profuso per l’abbattimento dell’arretrato, anche in riferimento a sussistenza ed entità di impegni aggiuntivi di tipo amministrativo od organizzativo (Cass., S.U., n. 21264/2017, n. 24136/2018). Deve, quindi, reputarsi che l’ingiustificabilità del ritardo si configura come una clausola generale, elastica, che il giudice è tenuto a specificare, in sede interpretativa, adeguandola e conformandola alla realtà in cui essa dovrebbe operare, in consonanza con valori e principi, desumibili anche dall’ordinamento generale (nella cornice delle previsioni costituzionali e in armonia con le fonti sovranazionali), che vengono in gioco nell’intera disciplina in cui la clausola stessa si colloca.

       6.6. Questa Corte ha enunciato il principio consolidatosi (Cass. S.U. n. 14268/2015; Cass. S.U. n. 14526/2019), secondo cui: “In tema di responsabilità disciplinare del magistrato, la durata ultrannuale dei ritardi nel deposito dei provvedimenti giurisdizionali non comporta l’ingiustificabilità assoluta della condotta dell’incolpato ma, trattandosi di inosservanza protrattasi ulteriormente e per un tempo considerevole rispetto alla soglia di illiceità considerata dal legislatore, è giustificabile solo in presenza di circostanze proporzionate all’ampiezza del ritardo, sicché quanto più esso è grave tanto più seria, specifica, rigorosa e pregnante deve essere la relativa giustificazione, necessariamente comprensiva della prova che, in tutto il lasso di tempo interessato, non sarebbero stati possibili diversi comportamenti di organizzazione e impostazione del lavoro, o che, comunque, essi non avrebbero potuto in alcun modo evitare il grave ritardo o almeno ridurne l’abnorme dilatazione”. In questo quadro l’esclusione della valenza illecita del ritardo deve sostanziarsi di circostanze di fatto (nell’alveo di quelle innanzi menzionate) dal tenore particolarmente significativo, che possano ragionevolmente rapportarsi, in modo proporzionale, al peso del ritardo stesso e, quindi, renderlo giustificato perché effetto di una condotta doverosa altrimenti inesigibile.  Perciò l’intensità dei ritardi gravi (in particolar modo quelli ultrannuali) rappresenta la “base oggettiva” su cui misurare le circostanze giustificatrici addotte, giacché, per un verso, queste devono essere valutate non in sé ma in rapporto al numero dei ritardi, alla loro durata media, alle punte massime e, per altro verso, ritardi di una certa ampiezza richiedono se non giustificazioni eccezionali, certamente giustificazioni specifiche, rigorose, significative.

      6.7. La Sezione disciplinare del CSM ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, esaminando gli elementi e le deduzioni emergenti dalle risultanze processuali, di cui la ricorrente chiede una inammissibile rivalutazione.

       6.8. La sentenza disciplinare impugnata ha operato un puntuale e corretto richiamo ai principi sopra esposti, incentrando la sua attenzione proprio sulla consistenza dei ritardi e sulla ultrannualità, in quanto sintomatici di una maggiore negligenza, e necessitanti, al fine di andare esente da responsabilità, di quella dimostrazione di inesigibilità della diversa condotta, tramite giustificazioni specifiche, rigorose e significative.  La Sezione disciplinare del CSM ha posto in evidenza  che “Si tratta infatti di ritardi significativamente numerosi (pari ad oltre l’80% di tutti i depositi effettuati dalla dott.ssa  nel quinquennio oggetto di ispezione), i quali hanno superato ampiamente il triplo del termine previsto dalla legge per il compimento dell’atto e, in molti casi, hanno superato anche la durata annuale […] (con ciò oltrepassando oggettivamente il limite di ragionevolezza individuato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e coerentemente applicato dalla giurisprudenza di legittimità”.   Nel bilanciamento tra rilievo oggettivo del numero e dell’entità dei ritardi e le giustificazioni connesse ai carichi di lavoro i giudici di merito, con valutazione in fatto, supportata da logica e argomentata motivazione, pur dando atto delle obiettive difficoltà nelle quali versava l’ufficio e dell’impegno gravoso speso dall’incolpata nella sua attività, la Sezione disciplinare del CSM ha ritenuto che, di fronte a siffatti ritardi non rappresentano idonea causa di giustificazione il carico di lavoro, pur ingente, né le carenze di organico dell’ufficio trattandosi di circostanze che non escludono la possibilità del magistrato di meglio auto organizzare il proprio lavoro al fine di evitare ritardi di frequenza e gravità straordinaria, quali quelli registratisi.  Con motivazione che si  sottrae a censura la Sezione disciplinare del CSM  ha affermato che la frequenza ed entità dei ritardi, pur in un contesto caratterizzato da gravi difficoltà dell’ufficio, da un canto, e da una adeguata produttività complessiva del magistrato, dall’altro, appaiono talmente significative da non poter essere ricondotte se non ad una colposa scelta di non adottare delle soluzioni adeguate, sotto il profilo della programmazione anche secondo criteri di priorità, per evitare che una parte dei ritardi divenissero abnormi. […]; tale situazione di evidente progressiva tendenza all’aumento dell’arretrato, unitamente alle difficoltà complessive dell’ufficio, avrebbe dovuto indurre il magistrato a prendere misure organizzative adeguate e tempestive, eventualmente anche con la richiesta alla Presidenza di piani di smaltimento dell’arretrato, soluzione adottata solo nel novembre 2021, vale a dire dopo oltre cinque anni dal manifestarsi delle difficoltà, quando ormai i ritardi avevano assunto una portata abnorme.

  1. Con il quarto motivo di ricorso è illustrato il vizio di errata applicazione dell’art. 5 del d.lgs. n. 109 del 2006, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. B ed E), cod. proc. pen, manifesta iniquità della sanzione inflitta anche in considerazione dell’assenza di sanzioni a carico dell’incolpata e della richiesta del PG di irrogazione della censura. […] ispirandosi al criterio della gradualità, adeguando la sanzione al fatto concreto e alla personalità dell’incolpata. In ultimo lamenta come non sia stato considerata la mancanza di precedenti sanzioni disciplinari e il fatto dell’avvenuto smaltimento della mole di arretrato. 7.1. Il motivo è inammissibile.  E’ principio consolidato (ex aliis, Cass., S.U., n. 11137 del 2012, n. 11457 del 2022, n. 8034 del 2023, n. 28263 del 2023) che la scelta della sanzione da applicare da parte della Sezione disciplinare del CSM, ove sia riconosciuta la responsabilità disciplinare del magistrato incolpato, deve essere guidata dal fondamentale criterio della proporzionalità, intesa come adeguatezza alla concreta fattispecie disciplinare ed espressione della razionalità che fonda il principio di eguaglianza, e, quindi, con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto. A tal fine, devono formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l’intensità dell’elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l’hanno ispirato e, infine, la personalità dell’incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari e alle ripercussioni del fatto addebitato sulla stima del magistrato, sul prestigio della funzione esercitata e sulla fiducia del pubblico nell’istituzione. La Sezione disciplinare del CSM, quanto all’attuazione del piano di smaltimento, ha preso in esame tale circostanza, osservando  che “i piani di rientro invocati dalla dott.ssa  da un lato, si riferivano solo ad una parte dell’arretrato (il primo non contemplando le ordinanze) e, dall’altro, non sono stati pienamente rispettati, atteso che il secondo avrebbe dovuto portare “all’esaurimento” dell’arretrato, come in esso previsto, esaurimento che, come da attestazione della Cancelleria prodotta con la memoria difensiva data 22 maggio 2024, è invece avvenuto circa due anni dopo la vigenza del piano di rientro prorogato con il decreto n. 5/22 (la detta certificazione, datata 15 maggio 2024, attesta che “non risultano fascicoli in attesa di scioglimento di riserva della dott.ssa  per procedura pendenti sul ruolo della Seconda Sezione civile”)”. La censura sollecita una diversa selezione e valutazione dei fatti e degli elementi di giudizio valorizzati dal Collegio disciplinare ai fini del canone di proporzionalità (non adeguata programmazione del lavoro e del numero abnorme di ritardi per quantità ed entità, tanto da escludere la scarsa rilevanza da un punto di vista oggettivo) e si rivela come tale inammissibile.
  2. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

  1. Il collegio dispone che, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 196 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi della ricorrente, in caso di diffusione del presente provvedimento.
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