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Home Diritto Amministrativo

*Proprietà, possesso e diritti reali – Beni culturali e disciplina dell’esportazione confacente all’interesse culturale, la parola alla Consulta

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
17 Novembre 2025
in Diritto Amministrativo
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Corte Costituzionale, sentenza 31 ottobre 2025 n. 160

PRINCIPIO DI DIRITTO

Va dichiarata non fondata la questione di costituzionalità sollevata dal Consiglio di Stato in relazione all’art. 65, co. 4-bis, secondo periodo, del codice dei beni culturali per violazione degli artt. 3, co. 1, e 9, co. 2, della Costituzione.

Infatti, la Corte dà una interpretazione differente rispetto a quella del remittente. In primo luogo, l’opera come quella in controversia nel giudizio a quo risulta sempre assoggettabile a vincolo in tutte le diverse ipotesi contemplate dall’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004, a prescindere dall’evenienza procedimentale che ha consentito all’amministrazione culturale di “intercettare” il bene. In particolare – senza contraddizione nel sistema codicistico – non vigono limiti diversi al potere di dichiarare l’interesse culturale a seconda che il bene mobile sia individuato nel procedimento di trasferimento all’estero o in altre occasioni di espletamento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale.

In secondo luogo, la dichiarabilità dell’interesse culturale in tutti i casi elencati nell’art. 10, comma 3, anche nel contesto del regime semplificato di esportazione, impedisce il depauperamento del patrimonio culturale dalle sue componenti, in applicazione del principio di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, sancito dall’art. 9, secondo comma, Cost. Infatti, una volta che sia dichiarato l’interesse culturale di un oggetto, scatta l’operatività del divieto di esportazione.

In terzo luogo, il significato solo procedimentale della norma esclude la paventata sussistenza di differenze di trattamento tra le fattispecie contemplate dalle diverse lettere dell’art. 10, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 nella disciplina (sostanziale) di apponibilità del vincolo culturale e del conseguente divieto di esportazione.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.− Il Consiglio di Stato, sezione sesta, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 12 del 2025), solleva, in riferimento agli artt. 3, primo comma, 9, primo e secondo comma, e 97, secondo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, del D.Lgs. n. 42 del 2004, come aggiunto dall’art. 1, comma 175, lettera g), numero 3), della L. n. 124 del 2017, nella parte in cui consentirebbe all’ufficio di esportazione, cui sia presentata una dichiarazione per il trasferimento all’estero di un’opera d’arte, di dare avvio al procedimento per l’apposizione del vincolo culturale nel solo caso in cui essa rientri nella tipologia delle “cose […] che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e completezza del patrimonio culturale della Nazione” (art. 10, comma 3, lettera d-bis) e non anche se rientri nelle altre tipologie di cose elencate dal medesimo art. 10, comma, 3.

1.1.− La disposizione censurata si inserisce nell’ambito della disciplina del cosiddetto procedimento semplificato di esportazione, dettata dall’art. 65, commi 4 e 4-bis del D.Lgs. n. 42 del 2004, che permette il trasferimento all’estero di alcune categorie di “cose” “di rilievo culturale”, sulla base della presentazione di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da parte dell’interessato, anziché sulla base della previa autorizzazione dell’amministrazione (art. 65, comma 3; autorizzazione costituita dall'”attestato di libera circolazione” di cui al successivo art. 68).

Gli oggetti “esportabili su dichiarazione dell’interessato” sono gli oggetti d’arte di autore vivente o realizzati da meno di settanta anni (art. 65, comma 4, lettera a, che rinvia all’art. 11, comma 1, lettera d) e quelli – come la miniatura del ‘600 oggetto di controversia nel giudizio a quo − che siano “opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settanta anni, il cui valore sia inferiore ad Euro 13.500″ (art. 65, comma 4, lettera b).

In tale contesto normativo, il secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 prevede che “[i]l competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento [per la dichiarazione dell’interesse culturale di cui agli artt. 13 e 14], che si conclude entro sessanta giorni dalla data di presentazione della dichiarazione”.

Il rimettente ricava da tale disposizione una norma di limitazione al potere dell’amministrazione di apporre il vincolo culturale (il potere di emettere la “[d]ichiarazione dell’interesse culturale”, ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004) in sede di esportazione: nel solo ambito del relativo procedimento semplificato, l’oggetto potrebbe essere vincolato esclusivamente se annoverabile nella categoria prevista dalla lettera d-bis) dell’art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 42 del 2004 (“le cose […] che presentano un interesse [culturale] eccezionale per l’integritàe la completezza del patrimonio culturale della Nazione”) e non anche ove ricadente nelle altre categorie contemplate dalle ulteriori lettere (a, b, c, d, ed e) dello stesso art. 10, comma 3.

Ciò sebbene l’art. 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004, nel disciplinare in via generale il potere di “[d]ichiarazione dell’interesse culturale”, faccia un richiamo onnicomprensivo a tutte le fattispecie elencate nell’art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 42 del 2004. 1.2.− Secondo tale esegesi, la “Madonna dei fusi”, oggetto di controversia nel giudizio a quo, sarebbe stata dichiarata bene culturale − in esito al procedimento di esportazione semplificata – illegittimamente, proprio perché qualificata come opera di ” interesse artistico […] particolarmente importante” di cui all’art. 10, comma 3, lettera a), del D.Lgs. n. 42 del 2004, e quindi al di fuori dell’unico caso in cui l’apposizione del vincolo sarebbe consentita dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 (quale opera con interesse culturale eccezionale nei termini di all’art. 10, comma 3, lettera d-bis).

1.3.− Il rimettente lamenta il contrasto della norma così ricavata con i princìpi di ragionevolezza, di tutela del patrimonio culturale, della parità di trattamento e del buon andamento, come meglio precisato nel Ritenuto in fatto.

2.− L’esame di ogni profilo preliminare e di merito del presente giudizio richiede la definizione del thema decidendum. Benché il Consiglio di Stato censuri, in termini generali, il secondo periodo dell’art. 65, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 42 del 2004, la lettura della complessiva motivazione dell’ordinanza di rimessione (tra le tante, sentenze n. 36 del 2025, n. 50 del 2024 e n. 164 del 2023) conduce a una duplice perimetrazione dell’oggetto dei dubbi di legittimità costituzionale.

Da un lato, le doglianze sono rivolte a questa disposizione non in relazione a tutti i casi a cui è riferita (e dunque a tutte le cose di cui alle lettere a e b del comma 4), ma in relazione alla sola fattispecie corrispondente al comma 4, lettera b), vale a dire le opere di autore non più vivente, realizzate da oltre settanta anni e di valore inferiore a Euro 13.500, perché a questa categoria è riconducibile l’opera in controversia nel giudizio a quo.

Dall’altro lato, le censure non riguardano anche l’ultima parte dello stesso secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del D.Lgs. n. 42 del 2004, quella che, per il procedimento di dichiarazione di interesse culturale di eccezionale importanza di cui alla lettera d-bis), originato nel procedimento di esportazione semplificata, stabilisce un apposito termine finale, fissato in sessanta giorni, in deroga a quello generale di centoventi giorni previsto per l’apposizione del vincolo culturale (art. 1, comma 2, del D.P.C.M. n. 231 del 2010 in combinato disposto con il numero 1 del suo Allegato 1).

3.− Tanto chiarito, in via preliminare, deve essere, anzitutto, esaminata l’istanza della società M. L. srl di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE per accertare la compatibilità con il diritto dell’Unione della disciplina dettata dall’art. 65 del D.Lgs. n. 42 del 2004 nella parte in cui, individuando una soglia ritenuta eccessivamente bassa (Euro 13.500) per distinguere tra gli oggetti d’arte esportabili previa autorizzazione dell’amministrazione e quelli esportabili “su dichiarazione dell’interessato”, arrecherebbe una ingiustificata restrizione al regime di circolazione dei beni culturali.

L’istanza deve essere respinta.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Consiglio di Stato non attengono all’ambito di applicabilità del regime di esportazione semplificato (art. 65, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004) – in cui è pacifico che ricada l’opera della società, del valore di Euro 9.000 -, ma concernono piuttosto i limiti alla dichiarabilità dell’interesse culturale di unoggetto d’arte, ai sensi degli artt. 13 e 14 del D.Lgs. n. 42 del 2004, una volta avviato il procedimento semplificato di esportazione.

Dunque, l’interrogativoche si sollecita di sottoporre al giudice dell’Unione non è pregiudiziale alla decisione della questione di legittimità costituzionale che questa Corte è chiamata a decidere (si vedano, tra le altre, sentenze n. 218 del 2021, n. 239 del 2018 e n. 110 del 2015).

D’altronde, la stessa parte ammette che la questione interpretativa del diritto unionale “[tratta] di un profilo diverso da quello rilevato dal Consiglio di Stato”.

3.1.− Parimenti, va rigettata la domanda subordinata di restituzione degli atti al rimettente affinché questi valuti se sollevare la suddetta questione pregiudiziale alla CGUE.

Invero, il Consiglio di Stato ha già implicitamente ritenuto ininfluente, ai fini della sua decisione, la medesima questione euro-unitaria sollecitata dalla parte anche nel giudizio a quo.

4.− Ancora in via preliminare, la società proprietaria dell’opera ha eccepito l’inammissibilitàdelle questioni sollevate relative alla violazione degli artt. 9, primo comma, e 97, secondo comma, Cost. per carente motivazione sulla non manifesta infondatezza. L’eccezione è fondata.

Le censure sono prive di qualsiasi illustrazione delle ragioni per le quali il secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del D.Lgs. n. 42 del 2004 contrasterebbe con i due parametri costituzionali evocati. In particolare, quanto alla lesione del buon andamento, il giudice a quo richiama la definizione del principio data da alcune pronunce di questa Corte, ma non si preoccupa di esporre gli argomenti per i quali la norma censurata ne sarebbe effettivamente lesiva.

Quanto alla violazione del compito della Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultura (art. 9, primo comma, Cost.), non vi è esposizione delle ragioni della sua violazione, al contrario di quanto l’ordinanza di rimessione faccia in relazione al principio di tutela del patrimonio culturale (art. 9, secondo comma, Cost.).

Dal che consegue l’inammissibilità di tali questioni (ex plurimis, sentenze n. 88del 2025, n. 112 del 2024, n. 198 e n. 108 del 2023).

5.− L’esame del merito delle ulteriori questioni sollevate (per contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 9, secondo comma, Cost.) richiede una breve ricostruzione del quadro normativo relativo alla selezione dei beni culturali “per dichiarazione”, con specifico riguardo alla categoria di cose di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del D.Lgs. n. 42 del 2004, cui il censurato art. 65, comma 4-bis, secondo periodo, si riferisce.

5.1.− In particolare, l’analisi del complesso intreccio di disposizioni che connotano l’individuazione dei beni culturali (per legge, art. 3 per “presunzione di legge, salvo l’esito dell’eventuale procedimento di verifica dell’interesse culturale” e per provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, secondo quanto previsto dagli artt. 2, comma 2, 10, 11, 12 e 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004) va perimetrata a quelle – di rilievo per la presente decisione – che riguardano l’attrazione nel patrimonio storico-artistico “per dichiarazione” e, tra queste, a quelle che concernono le sole cose mobili (le uniche esportabili), di interesse artistico (i cosiddetti oggetti d’arte) e di tipo individuale: vengono così in rilievo tre distinte fattispecie normative, enunciate dall’art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 42 del 2004, alle lettere a), d) e dbis).

Anzitutto, il vincolo culturale può essere impresso: 1) alle cose che presentano un ” interesse artistico […] particolarmente importante” (art. 10, comma 3, lettera a), e, dunque, a “beni con interesse culturale intrinseco”.

La qualifica come beni culturali per questa tipologia di cose è, però, preclusa per gli oggetti di autore vivente o “recenti” (vale a dire realizzati da meno di settanta anni) per la precisa scelta legislativa di lasciare libera da limiti la produzione e la commercializzazione delle opere di artisti in vita o il mercato di opere di artisti deceduti, ma di recente esecuzione, di cui è prematura la valutazione artistica (art. 10, comma 5, prima parte); 2) alle cose che rivestono un ” interesse particolarmente importante” non di “tipo intrinseco”, ma “a causa del loro riferimento con la storia [della cultura]” ovvero perché sono “testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose” (art. 10, comma 3, lettera d).

Tali “beni culturali per relazione o testimonianza identitaria” possono essere attratti al patrimonio storico-artistico a prescindere dall’epoca di esecuzione.

Inoltre, per effetto delle modifiche apportate al codice dall’art. 1, comma 175, lettera a), numero 1), della L. n. 124 del 2017, il potere di dichiarare l’interesse culturale ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004 è stato esteso all’ulteriore tipologia delle cose “che presentano un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione” (art. 10, comma 3, lettera d-bis).

Si tratta, dunque di oggetti, che non presentano un interesse culturale di tipo intrinseco o “autoevidente” (in ragione, ad esempio, della recente esecuzione, del valore esiguo, della serialità o perché di autore straniero), ma che lo hanno in relazione “al tutto”. In questa categoria, denominabile dei “beni di completamento”, l’attrazione al patrimonio culturale è, invece, a sua volta esclusa per gli oggetti di autore vivente e per quelli di “arte contemporanea”, e cioè realizzati da meno di cinquanta anni (art. 10, comma 5, seconda parte).

La delineazione degli aspetti sostanziali e procedimentali di tale fattispecie − su cui il rimettente non si è soffermato – risulta essenziale per l’esatta interpretazione della disposizione censurata in quanto, come si è detto, ne costituisce il precipuo oggetto.

5.1.1.− La portata dell’addizione della lettera d-bis), nel suo aspetto sostanziale, si coglie in correlazione con un altro profilo della riforma del 2017. In particolare, l’art. 1, comma 175, lettera a), numero 2), e lettera b), della L. n. 124 del 2017 ha posto in essere un limitato intervento di liberalizzazione di una parte delle cose di ” interesse culturale intrinseco”, attuato tramite l’innalzamento della “soglia di vetustà“, da quella precedente individuata in cinquanta anni, agli attuali settanta anni (artt. 10, comma 3, lettera a, e 11, comma 1, lettera d).

Ma se, per un verso, così facendo, la L. n. 124 del 2017 ha voluto esonerare dal regime di tutela le opere “recenti”, e dunque limitare il potere di dichiarare l’interesse culturale intrinseco, per altro verso, e correlativamente, ha voluto recuperare l’attrazione al patrimonio culturale di alcune di queste opere nell’estremo caso in cui ricorra l’eccezionale interesse “estrinseco” previsto dalla contestualmente introdotta lettera d-bis) per i beni realizzati da almeno cinquanta anni (e sempre salvo l’interesse relazionale di cui alla non riformata lettera d, che prescinde dall’epoca di realizzazione).

Dunque – come è confermato anche dalle preoccupazioni espresse nei lavori preparatori della L. n. 124 del 2017 − la liberalizzazione in parola è stata attenuata, e in un certo senso compensata, proprio dalla introduzione della fattispecie di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del D.Lgs. n. 42 del 2004, che consente l’apponibilità del vincolo alle opere d’arte con interesse (culturale) “di completamento” di grado eccezionale e pur se realizzate da meno di settanta anni, ma da più di cinquanta anni (art. 10, comma 5, seconda parte, del D.Lgs. n. 42 del 2004).

In altre parole, come rilevato anche dalla più recente giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 27 dicembre 2023, n. 11204 e 30 agosto 2023, n. 8074), l’inserimento della fattispecie in parola ad opera della novella funge da “norma di salvaguardia” per l’integrità del patrimonio storico-artistico.

5.1.2.− La peculiarità della categoria dei “beni culturali di completamento” ha, inoltre, indotto il legislatore a stabilire una speciale competenza ad adottare il provvedimento finale di apposizione del vincolo. In deroga alla generale attribuzione del potere in parola ad uffici periferici del Ministero della cultura − attualmente individuati nelle commissioni regionali per il patrimonio culturale (in virtù del combinato disposto dell’art. 14, comma 6, primo periodo, del D.Lgs. n. 42 del 2004 e dell’art. 21, comma 3, lettera b, del D.P.C.M. 15 marzo 2024, n. 57, recante “Regolamento di organizzazione del Ministero della cultura, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell’Organismo indipendente di valutazione della performance”) -, esso è attribuito al “competente organo centrale” del Ministero (art. 14, comma 6, secondo periodo, del D.Lgs. n. 42 del 2004), che, secondo la attuale ripartizione delle funzioni ministeriali da parte del suddetto regolamento organizzativo, è la direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio (art. 13, comma 2, lettera v, del D.P.C.M. n. 57 del 2024).

La ratio di questa ascensione di competenza si spiega con la natura e la logica della valutazione richiesta nel riscontro dell’interesse culturale “di completamento”: l’accertamento dell’interesse culturale riportato dal singolo bene non di per sé, ma rispetto al patrimonio nel suo complesso, non può che essere condotto dall’amministrazione culturale di livello centrale, l’unica dotata della necessaria visione di insieme.

6.− Alla luce di tale quadro normativo, possono essere esaminate le censure, mosse al secondo periodo dell’art. 65, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 42 del 2004, di irragionevolezza, violazione del principio di tutela del patrimonio culturale e disparità di trattamento. Le questioni non sono fondate, nei limiti e nei termini che seguono.

6.1.− La disposizione, nella porzione censurata, recita che “[i]l competente ufficio di esportazione, qualora reputi che le cose possano rientrare tra quelle di cui all’articolo 10, comma 3, lettera d-bis), avvia il procedimento [per la dichiarazione dell’interesse culturale di cui agli artt. 13 e 14]”.

Come si è detto, il Consiglio di Stato, nell’ordinanza di rimessione, ha ritenuto “chiaro” che la congiunzione “qualora” sia stata utilizzata dal legislatore per consentire l’avvio del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale “nel solo casoin cui” sia ravvisabile l’interesse storico-artistico di tipo “eccezionale per l’integritàe la completezza del patrimonio culturale della Nazione”.

In questa ottica, il tenore testuale della disposizione porrebbe una norma sostanziale che limita l’an del potere di apposizione del vincolo.

Con la conseguenza che, in sede di esportazione semplificata, l’amministrazione potrebbe adottare il provvedimento vincolistico esclusivamente per le cose che presentino un interesse culturale “eccezionale per l’integrità e la completezza del patrimonio della Nazione” e non anche negli altri casi contemplati dall’art. 10, comma 3.

Una corretta esegesi della disposizione censurata non consente, tuttavia, tale conclusione.

6.2.− Va innanzi tutto considerato che dal punto di vista letterale la congiunzione “qualora” può significare “nel caso (tra gli altri) in cui”, con la conseguenza che la formula normativa starebbe a specificare, nella ipotesi (tra le altre) in cui l’oggetto rientri nella tipologia di cui alla lettera d-bis), delle apposite regole sull’esercizio del potere di vincolo. In questa diversa prospettiva − peraltro seguita dallo stesso Consiglio di Stato nella fase cautelare del giudizio a quo – la norma avrebbe, quindi, valenza procedimentale.

E questa Corte ritiene che tale sia la corretta interpretazione, diversa da quella data dal giudice rimettente, da attribuire alla disposizione censurata, alla luce del suo inquadramento sistematico e in considerazione della sua ratio, correlata alle descritte peculiarità della fattispecie di cui all’art. 10, comma 3, lettera d-bis), del D.Lgs. n. 42 del 2004, che ne è oggetto.

Tale diversa lettura, coerente con gli evocati canoni costituzionali, consente altresì di superare i prospettati dubbi di legittimità costituzionale (tra le altre, sentenze n. 87 del 2025, n. 47 del 2024, n. 101 del 2023 e n. 65 del 2022).

7.− Partendo dal dato sistematico, il significato della disposizione non può prescindere dal suo raccordo tanto alla disciplina dettata per l’esportazione in cui è inserita (art. 65 del D.Lgs. n. 42 del 2004), quanto alla disciplina dei beni culturali “per dichiarazione” cui è connessa (artt. 10, commi 3 e 5, 11, commi 1, lettera d, e 1-bis, 13 e 14).

Ciò, tanto più considerando che tali diversi aspetti sono tra loro collegati nella sistematica del codice dei beni culturali e trovano il punto di caduta, con riferimento alla specifica dichiarazione di interesse culturale “eccezionale per l’integrità ela completezza del patrimonio della Nazione” (art. 10, comma 3, lettera d-bis, del D.Lgs. n. 42 del 2004), nella disposizione censurata.

7.1.− In termini di contesto ordinamentale, va, infatti, evidenziato che la disciplina dell’individuazione dei beni culturali costituisce il presupposto delle regole dell’esportazione: ne deriva che il sistema delineato dal D.Lgs. n. 42 del 2004 risulta intrinsecamente armonico e pienamente rispettoso dell’art. 36 TFUE, il quale consente divieti o restrizioni alla esportazione degli oggetti d’arte negli altri Stati membri dell’Unione in nome della “protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale”.

Tale coerenza sistematica si coglie con riguardo a due aspetti fondamentali della vigente disciplina: da un lato, dalla sola qualifica della “cosa” d’arte come “ben[e] cultural[e]” deriva il divieto della sua uscita dal territorio della Repubblica (art. 65, comma 1) e, dall’altro lato − come già evidenziato da questa Corte (sentenza n. 88 del 2025) − il controllo sulla circolazione internazionale degli oggetti di “rilievo culturale” è espressamente finalizzato “a preservare l’integrità del patrimonio culturale in tutte le sue componenti” (art. 64-bis, comma 1, del D.Lgs. n. 42 del 2004).

In particolare, tale controllo − che va ricondotto a pieno titolo nelle funzioni di tutela del patrimonio culturale – se esercitato sulle cose d’arte che si intendono far uscire dall’Italia, di cui non sia stato ancora verificato (art. 12) o dichiarato l’interesse culturale (art. 13), è ipotesi applicativa della specifica attività di tutela “dirett[a], sulla base di un’adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale” (art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 42 del 2004).

Ed è proprio l’accertamento della sussistenza dell’interesse culturale che le “cose possono presentare” a costituire la condizione di “sicura appartenenza al “patrimonio culturale”” (sentenze n. 45 del 2022 e n. 194 del 2013) per i beni culturali individuati non direttamente dalla legge (artt. 2, comma 2, e 10, comma 2), ma per provvedimento di verifica o di dichiarazione (artt. 12 e 13) in esito a “specifici procedimenti e […] dettagliate procedure di ricognizione e di riscontro delle caratteristiche dei beni”, affidati ad apparati muniti di conoscenze altamente specializzate (ancora, sentenza n. 194 del 2013).

Nello specifico caso della selezione dei beni culturali “per dichiarazione” di cui all’art. 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004, il codice richiede all’amministrazione statale la valutazione tecnico-discrezionale di specifici elementi sostanziali dati dalla tipologia di cosa, dalla sua appartenenza, dal grado di interesse culturale (art. 10, comma 3) e (in alcuni casi) dall’epoca di realizzazione (art. 10, comma 5, la cosiddetta “soglia di vetustà”), senza, invece, dare alcun rilievo al mero valore economico, né alle circostanze di fatto relative al momento, e conseguentemente ai procedimenti, in cui le “cose” sono “intercettate” dall’amministrazione culturale.

Dunque, nel sistema codicistico non si rinvengono limiti diversi al potere di dichiarare l’interesse culturale a seconda che il bene mobile sia individuato nelle tante e diverse occasioni di espletamento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale sul territorio nazionale o all’atto di trasferimento all’estero.

Il tutto, senza contraddizione e in piena assonanza con l’essere l’appartenenza al patrimonio culturale legata in via esclusiva al riscontro dei caratteri sostanziali delle cose (artt. 10, comma 3, e 13.

Da tale coerente contesto sistematico non dimostra di divergere la disposizione censurata, che non esprime quindi una eccezionale previsione di limite al potere di vincolo correlato al suo contesto procedimentale, distonica rispetto al sistema, né offre ulteriori indizi in tal senso.

8.− Nello stesso senso depone l’analisi della ratio dell’introduzione del censurato secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del D. Lgs. n. 42 del 2004, quale aspetto della semplificazione della esportazione delle cose “di rilievo culturale” operata dall’art. 1, comma 175, lettera g), numeri da 1 a 3), della L. n. 124 del 2017.

Il motivo che giustifica lo specifico riferimento alla categoria dei “beni culturali per completamento” nel contesto della disciplina della esportazione senza autorizzazione si ritrova ancora nella lettura complessiva della riforma del 2017, nella quale non trova conferma, in parte qua, l’intento legislativo di limitare il potere di dichiarazione dell’interesse culturale, ma emerge, piuttosto, il contrario.

Come per la liberalizzazione, il timore dell’arretramento della tutela del patrimonio storico-artistico, dovuto in questo caso alla riduzione dei controlli sul trasferimento all’estero degli oggetti d’arte, ha indotto il legislatore a far leva sulla valvola di sicurezza costituita dal vincolo per l’interesse eccezionale per l’integrità ela completezza del patrimonio culturale della Nazione (art. 10, comma 3, lettera d-bis) e a coordinare i diversi e peculiari procedimenti.

Si noti che, per effetto della novella in particolare, è ora consentito sulla base di una dichiarazione dell’interessato, soggetta a controllo, il trasferimento all’esteroper due distinti gruppi di opere d’arte: 1) quelle “recenti” (gli oggetti d’arte di autore vivente o con esecuzione inferiore – dopo la novella del 2017 − a settanta anni di cui all’art. 65, comma 4, lettera a), del D.Lgs. n. 42 del 2004 che richiama l’art. 11, comma 1, lettera d), e “tendenzialmente escluse dal patrimonio culturale, salvo le eccezioni” del riscontro dell’interesse culturale estrinseco” (art. 10, comma 3, lettere d e d-bis, secondo quando evidenziato al precedente punto 5.1.1.); 2) quelle di “valore esiguo”, perché inferiore a Euro 13.500, seppur “vetuste”, perché di autore non vivente, realizzate da oltre settanta anni e, dunque, ordinariamente vincolabili ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettere a), d), e d-bis) (art. 65, comma 4, lettera b).

Si tratta, evidentemente, di categorie eterogenee quanto al regime di vincolo, ma che, significativamente, trovano il loro punto di incontro nel poter divenire beni culturali se presentino l’interesse culturale di completamento di cui all’art. 10,comma 3, lettera d-bis), purché ultracinquantennali.

9.− Inserita nel contesto sistematico ed evidenziata la sua ratio, è possibile cogliere nella formulazione della disposizione tre diversi elementi che comprovano, in via dirimente, la natura procedimentale e non sostanziale del secondo periodo del nuovo comma 4-bis dell’art. 65 del D.Lgs. n. 42 del 2004.

In primo luogo, la sua sedes materiae: la dizione censurata è collocata in un comma che detta le regole procedimentali sull’uscita dall’Italia delle categorie di oggetti sottratti alla previa autorizzazione (art. 65, comma 4), con rinvio ad un apposito decreto ministeriale quanto a “procedure e […] modalità”. In secondo luogo, il legame sintattico con la norma da cui è seguita.

L’ultima parte del secondo periodo del comma 4-bis disciplina il procedimento per l’apposizione del vincolo (originato da un caso di esportazione semplificata) fissando un apposito termine di sua conclusione. In terzo luogo, il suo ambito applicativo: la norma, come si è appena visto, riguarda categorie di cose che, pur sottoposte al medesimo regime di esportazione – ma con differenze procedurali specificate dal D.M. n. 246 del 2018 − non sono tra loro omogenee quanto all’aspetto sostanziale della possibile attrazione nei beni culturali “per dichiarazione”.

All’eterogeneità di ambito oggettivo del potere vincolistico non può corrispondere una limitazione trasversale, sul piano sostanziale, di tale potere.

10.− In definitiva, deve ritenersi che l’intero secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65, riportato a sistema, esprima, nell’ambito della medesima disposizione, due norme sull’esercizio del potere di dichiarare l’interesse culturale e non contenga alcuna norma che limiti siffatto potere.

Con la prima parte del periodo, il legislatore chiarisce e ribadisce che, nell’ambito dell’attività di controllo all’uscita delle cose di rilievo culturale dal territorio italiano, la competenza a dare avvio al procedimento di vincolo spetta all’ufficio di esportazione non solo nella generalità dei casi in cui il potere di dichiarare l’interesse culturale è dell’organo periferico del Ministero della cultura, cui territorialmente l’ufficio di esportazione è “legato” (vale a dire la commissione regionale per il patrimonio culturale composta, tra gli altri, dal sopraintendente che dirige la struttura ove l’ufficio di esportazione è incardinato), ma, ancora, nello speciale caso dei “beni di completamento” in cui la competenza provvedimentale è assegnata all’organo centrale dello stesso dicastero.

Nella seconda parte del periodo, è espressa la norma di maggior rilievo: il dimezzamento del termine di conclusione del procedimento di dichiarazione di interesse culturale rispetto a quello stabilito in via ordinaria.

La riduzione temporale costituisce, infatti, il punto di equilibrio nel bilanciamento tra i contrapposti beni costituzionali nella specifica fattispecie: da un lato, la protezione del patrimonio storico-artistico è garantita pur nell’estrema ipotesi in cui la cosa non presenti un ” interesse culturale intrinseco” di particolare importanza, ma solo – e con grado eccezionale − nel suo nesso con il patrimonio nel suo complesso; ma, dall’altro lato, il sacrificio massimo imposto al diritto di proprietà e alla libertà di impresa nel settore, con particolare riguardo alla circolazione del bene, trova un contrappeso nella prevista rapidità della “eccezionale decisione” sul vincolo, anche per non far svanire possibili occasioni di vendita dell’opera ad acquirenti oltre confine.

Infine, la congiunzione tra le due norme (quella sull’avvio del procedimento e quella sul tempo del provvedimento) ha anche valore di raccordo tra le diverse fasi del procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale, imponendo all’ufficio di esportazione di trasmettere con solerzia l’istruttoria compiuta al dicastero, ai fini della adozione della decisione vincolistica di sua competenza.

11.− Il corretto significato del secondo periodo del comma 4-bis dell’art. 65 del D.Lgs. n. 42 del 2004, quale attinente al procedimento e alla competenza, è stato, d’altro canto, recepito nella disciplina attuativa dettata dagli artt. 6 e 7 del D.M. n. 246 del 2018.

12.− La ricostruzione ermeneutica della disposizione censurata come norma sull’esercizio del potere di vincolo, e non come norma che lo limita, supera poi ogni profilo di contrasto con i parametri evocati (art. 3 Cost. nei profili di ragionevolezza “di sistema” e di parità di trattamento e art. 9, secondo comma, Cost.).

12.1.− In primo luogo, l’opera come quella in controversia nel giudizio a quo – di artista deceduto, realizzata da oltre settanta anni e di valore inferiore a Euro 13.500 − risulta sempre assoggettabile a vincolo in tutte le diverse ipotesi contemplate dall’art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 42 del 2004, a prescindere dall’evenienza procedimentale che ha consentito all’amministrazione culturale di ” intercettare” il bene.

In particolare − senza contraddizione nel sistemacodicistico − non vigono limiti diversi al potere di dichiarare l’interesse culturale a seconda che il bene mobile sia individuato nel procedimento di trasferimento all’estero o in altre occasioni di espletamento delle funzioni di tutela del patrimonio culturale.

Ciò, in perfetta coerenza con la descritta scelta normativa (artt. 10, comma 3, e 13 del D.Lgs. n. 42 del 2004) − più volte valorizzata da questa Corte (sentenze n. 45 del 2022 e n. 194 del 2013) − di fondare la dichiarazione di una cosa come bene culturale sul riscontro dell’interesse culturale che essa presenta e dunque, esclusivamente in base alla valutazione dei suoi caratteri sostanziali, a prescindere dal contesto che costituisce l’occasione di tale riscontro.

12.2.− In secondo luogo, la dichiarabilità dell’interesse culturale in tutti i casi elencati nell’art. 10, comma 3, anche nel contesto del regime semplificato di esportazione, impedisce il depauperamento del patrimonio culturale dalle sue componenti, in applicazione del principio di tutela del patrimonio storico e artistico della Nazione, sancito dall’art. 9, secondo comma, Cost.

Infatti, una volta che sia dichiarato l’interesse culturaledi un oggetto, a prescindere se per l’una o l’altra fattispecie contemplata dall’art. 10, comma 3, scatta l’operatività del divieto di esportazione, stabilito dall’art. 65, comma 1, del D.Lgs. n. 42 del 2004 anche, in via trasversale, per i beni culturali mobili “per dichiarazione”.

12.3.− In terzo luogo, il significato solo procedimentale della norma esclude la paventata sussistenza di differenze di trattamento tra le fattispecie contemplate dalle diverse lettere dell’art. 10, comma 3, del D.Lgs. n. 42 del 2004 nella disciplina (sostanziale) di apponibilità del vincolo culturale e del conseguente divieto di esportazione.

13.− In conclusione, la disposizione censurata si presta a una interpretazione, diversa da quella posta alla base dei prospettati dubbi di legittimità costituzionale, orientata alla conformità a Costituzione; da qui la non fondatezza, nei sensi indicati, delle questioni sollevate.

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