Corte costituzionale, sentenza 17 luglio 2025 n. 110
PRINCIPIO DI DIRITTO
Vanno dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge 26 luglio 1965, n. 965 (Miglioramenti ai trattamenti di quiescenza delle Casse per le pensioni ai dipendenti degli Enti locali e agli insegnanti, modifiche agli ordinamenti delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro) e dell’art. 43, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), sollevate, in riferimento agli artt. 1, primo comma, 3, primo comma, 35, primo comma, 36, 38, secondo comma, e 98, primo comma, della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– La Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 225 del 2024), ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, della legge n. 965 del 1965 e dell’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973, che disciplinano la liquidazione dei trattamenti di quiescenza, rispettivamente, dei dipendenti civili dello Stato e dei dipendenti degli enti locali.
Di entrambe le disposizioni si prospetta il contrasto con gli artt. 1, primo comma, 3, primo comma, 35, primo comma, 36,38, secondo comma, e 98, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevedono la possibilità di neutralizzare – ossia di non considerare ai fini del calcolo – periodi di contribuzione che, aggiungendosi a quelli strettamente necessari ai fini del raggiungimento dell’anzianità contributiva minima richiesta ai fini pensionistici, comportano un decremento della quota di trattamento liquidata con il sistema retributivo.
Nel caso oggetto del giudizio principale, risulta che il ricorrente, in periodi compresi tra il 1976 e il 2018, ha versato contributi in cinque diverse «gestioni previdenziali», tutte attualmente facenti capo all’INPS.
In nessuna di tali gestioni la contribuzione accreditata sarebbe stata sufficiente per la maturazione di un autonomo diritto alla pensione.
Tuttavia, l’interessato ha potuto usufruire del meccanismo di cumulo gratuito previsto dall’art. 1, commi da 239 a 248, della legge n. 228 del 2012 e, aggregando i vari spezzoni contributivi, ha conseguito un’unica pensione di vecchiaia, previo calcolo delle varie quote da parte delle singole gestioni previdenziali interessate, in base ai rispettivi ordinamenti.
In particolare, nella gestione pubblica risulta accreditata contribuzione in forza di rapporti di lavoro, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, svolti presso vari enti locali e, da ultimo, dall’8 ottobre 2015 al 30 aprile 2018, alle dipendenze del Ministero dell’istruzione, in virtù di «più contratti quale docente supplente».
La retribuzione percepita nell’ultimo periodo, tuttavia, in quanto inferiore alla precedente, avrebbe determinato, per le regole di calcolo dettate dalle disposizioni censurate, una drastica riduzione della quota pensionistica pubblica.
Ciò sarebbe avvenuto, in particolare, per effetto del computo di contribuzione non necessaria ai fini del conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia in regime di cumulo, perché la legge n. 228 del 2012 ritiene sufficiente il versamento, in qualunque gestione interessata, di venti anni di contributi, pacificamente raggiunti prima dell’assunzione degli incarichi di supplenza di cui si discute nel giudizio principale.
Il pensionato ha quindi chiesto il ricalcolo della cosiddetta «“quota A”» della pensione – quella appunto liquidata con il sistema retributivo – previa esclusione dal computo dei periodi di contribuzione accreditati per gli incarichi ricevuti dal Ministero dell’istruzione.
2.– In punto di non manifesta infondatezza, l’ordinanza di rimessione richiama alcune pronunce di questa Corte (in particolare le sentenze n. 264 del 1994 e n. 224 del 2022), che, con riguardo al sistema retributivo di calcolo del trattamento pensionistico nel settore privato, hanno elaborato il principio della cosiddetta neutralizzazione della contribuzione nociva. In forza di esso, con riferimento alle diverse tipologie di contributi di volta in volta oggetto di scrutinio, è possibile escludere dal computo del trattamento pensionistico la contribuzione accreditata dopo la maturazione del requisito contributivo minimo, ove produttiva di un depauperamento del trattamento già virtualmente maturato e, dunque, di un effetto irragionevole, in quanto antitetico alla funzione fisiologica dei contributi previdenziali, finalizzati all’incremento della pensione.
La Corte dei conti rimettente, inoltre, sostiene che, avendo la sentenza n. 173 del 2018 esteso anche al lavoro autonomo l’applicabilità del principio, quest’ultimo avrebbe assunto valenza generale, sicché esso s’imporrebbe anche nell’ordinamento pensionistico pubblico.
Si riconosce che, in quest’ultimo, vigono regole diverse, ma si evidenzia pure che esse sono tese a valorizzare – a vantaggio del lavoratore – un periodo molto più breve della fase finale della vita lavorativa.
Escludere la neutralizzazione richiesta, quindi, rovescerebbe la ratio stessa di quelle previsioni normative peculiari, volte alla maggiore tutela dei dipendenti pubblici, per i quali, normalmente, risulta più elevata proprio la retribuzione percepita «all’ultimo scatto della progressione economica raggiunta».
Si produrrebbe, quindi, un risultato lesivo non solo del principio di eguaglianza rispetto ai lavoratori privati, ma anche del principio di proporzionalità tra il lavoro prestato durante il servizio attivo e il trattamento pensionistico, rendendo, altresì, quest’ultimo inadeguato a soddisfare le esigenze di vita del lavoratore in quiescenza.
Ancora, sarebbe evidente il contrasto «con il dovere del legislatore di tutelare “il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni”» (art. 35, primo comma, Cost.), in quanto «principio fondante della Repubblica» (art. 1, primo comma, Cost.), nonché «con il riconoscimento del particolare valore sociale dell’attività di “pubblici impiegati [che] sono al servizio esclusivo della Nazione”» (art. 98, primo comma, Cost.), la cui dignità sarebbe lesa dall’induzione a «un prematuro collocamento a riposo».
3.– Così ricostruite le censure, è utile premettere che, per i casi in cui un lavoratore si trovi accreditati contributi versati in diverse gestioni, senza raggiungere in nessuna di esse i requisiti minimi per la maturazione di un autonomo diritto a pensione, l’ordinamento ha approntato nel tempo diversi meccanismi attraverso i quali, a domanda dell’interessato, è possibile porre rimedio alla frammentazione del rapporto previdenziale.
Con la legge 7 febbraio 1979, n. 29 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi dei lavoratori ai fini previdenziali), è stato disciplinato l’istituto della ricongiunzione dei periodi assicurativi, con il quale è possibile chiedere che tutti i contributi versati nelle diverse gestioni siano ricongiunti – ossia trasferiti effettivamente – presso una sola di esse, per ottenere la liquidazione di un unico trattamento pensionistico, sulla base delle regole e con gli importi previsti dal fondo prescelto. In ragione dei diversi criteri di computo vigenti nelle differenti strutture assicurative, si tratta di uno strumento normalmente oneroso per l’interessato, chiamato il più delle volte a versare una somma, individuata secondo i criteri previsti dalla legge, al fine di determinare una parità di valore per tutti i periodi di contribuzione da conteggiare.
Con la sentenza n. 61 del 1999, questa Corte ha segnalato la necessità di introdurre un’alternativa alla ricongiunzione, dal momento che l’onere economico previsto per la medesima poteva risultare talmente elevato da precludere l’esercizio del diritto alla valorizzazione di tutti i periodi assicurativi.
L’invito è stato raccolto dal legislatore, il quale, con il decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42 (Disposizioni in materia di totalizzazione dei periodi assicurativi), ha disciplinato il diverso istituto della totalizzazione: al titolare di differenti posizioni assicurative presso diverse gestioni pensionistiche viene attribuita, senza alcun onere finanziario aggiuntivo, la facoltà di sommare «tutti e per intero» (art. 1, comma 3) i singoli segmenti contributivi – purché non coincidenti – al fine del conseguimento di un’unica pensione, di cui si prevede la liquidazione esclusivamente con il sistema contributivo (art. 4).
Ancora, per ulteriormente agevolare l’ottenimento di un unico trattamento pensionistico attraverso l’aggregazione di scampoli contributivi sparsi in differenti gestioni, l’art. 1, commi da 239 a 248, della legge n. 228 del 2012 ha previsto il meccanismo del cumulo gratuito, utilizzato dal ricorrente nel giudizio a quo.
Il comma 239 dispone, in particolare, che i soggetti iscritti «a due o più forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, autonomi, e degli iscritti alla gestione separata […] e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima», nonché alle casse professionali, «che non siano già titolari di trattamento pensionistico presso una delle predette gestioni, hanno facoltà di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti al fine del conseguimento di un’unica pensione».
A differenza della ricongiunzione, il cumulo non opera alcun reale trasferimento della contribuzione da una gestione previdenziale all’altra e, diversamente dalla totalizzazione, non impone il computo con il sistema contributivo: ai sensi del comma 245, «[l]e gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento». Le suddette quote, quindi, possono essere liquidate anche con il sistema retributivo o misto, fermo restando che, per i periodi successivi al 1° gennaio 2012, dovrà essere utilizzato solo il sistema contributivo (comma 246).
Infine, come per la totalizzazione, l’operazione è senza oneri economici per l’interessato e si prevede espressamente che il cumulo deve avere a oggetto «tutti e per intero» i periodi assicurativi accreditati presso le diverse gestioni assicurative (comma 243).
4.– Nel quadro normativo appena tracciato, è possibile ora scrutinare le questioni sollevate, cominciando a esaminare le eccezioni preliminari.
5.– L’INPS ha eccepito l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle censure mosse anche all’art. 3, primo comma, della legge n. 965 del 1965 che, nella «“gestione Enti Locali”», fa riferimento alla «retribuzione annua contributiva riferita alla data di cessazione dal servizio».
L’eccezione è fondata.
La suddetta disposizione non ha trovato applicazione nella liquidazione del trattamento pensionistico oggetto del giudizio principale e potrebbe venire in rilievo solo una volta neutralizzata la contribuzione “dannosa” versata per gli incarichi di supplenza alle dipendenze del Ministero dell’istruzione.
In tal caso, tuttavia, non vi sarebbe alcun bisogno di “sterilizzare”, neppure in parte, la contribuzione residua, rispetto alla quale, non a caso, il ricorrente nel giudizio principale non ha avanzato alcuna domanda di neutralizzazione. In sostanza, la retribuzione che verrebbe valorizzata ai fini pensionistici, in applicazione dei criteri dettati dalla citata disposizione, finirebbe per coincidere, come correttamente evidenziato dall’INPS, proprio con quella che lo stesso rimettente reputa maggiormente favorevole.
6.– Pur così circoscritto il thema decidendum, l’esame nel merito delle questioni sollevate sull’art. 43, primo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973 è, comunque, precluso dall’incompleta considerazione del quadro normativo, parimenti eccepita dall’INPS.
Come illustrato in precedenza (punto 3 del Considerato in diritto), ai sensi del chiaro disposto dell’art. 1, comma 243, della legge n. 228 del 2012, per ottenere un’unica pensione attraverso il cumulo gratuito devono essere utilizzati «tutti e per intero i periodi assicurativi accreditati» presso le diverse gestioni.
Tale previsione normativa costituisce perciò un autonomo ostacolo all’accoglimento della domanda di neutralizzazione, come peraltro rilevato dalla giurisprudenza di legittimità (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 febbraio 2023, n. 4845, citata dall’INPS nelle proprie difese) rispetto all’analoga regola scandita dall’art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2006 in materia di totalizzazione, di cui la corrispondente previsione dettata per il cumulo gratuito riproduce la dizione testuale centrale.
Ciò nondimeno, la sezione regionale della Corte dei conti rimettente non coinvolge nelle censure l’art. 1, comma 243, della legge n. 228 del 2012, né si confronta con il richiamato indirizzo giurisprudenziale, fosse anche solo per operare un distinguishing rispetto alla disciplina della totalizzazione. Un tale tentativo è stato fatto, invece, dalla parte privata nella memoria illustrativa, ove è stato sostenuto che la normativa sul cumulo gratuito non avrebbe mutuato, dall’istituto della totalizzazione, il vincolo del calcolo esclusivamente contributivo.
A prescindere dalla decisività o meno di tale argomento, tuttavia, non v’è dubbio che, qualora tale profilo non fosse stato trascurato dal giudice a quo, per portare il meccanismo del cumulo gratuito all’attenzione di questa Corte al fine di invocare l’applicazione anche a quest’ultimo del principio di neutralizzazione, sarebbe stato necessario il promuovimento di un’autonoma e distinta questione di legittimità costituzionale sulla relativa disciplina. E ciò proprio alla luce della giurisprudenza di questa Corte, che con riguardo al suddetto principio, ha ripetutamente riservato a se stessa la valutazione delle fattispecie di volta in volta oggetto di giudizio, nei loro rapporti con le regole relative alla determinazione della retribuzione pensionabile, per la rilevata necessità di modulare la portata della neutralizzazione sulle specificità delle situazioni coinvolte (sentenze n. 112 del 2024 e n. 224 del 2022).
Né può sopperire a tale omissione l’affermazione – ancora una volta segnalata dalla parte privata – con la quale la Corte dei conti rimettente sostiene che, nel caso trattato dalla sentenza n. 173 del 2018 e deciso con l’applicazione del principio di neutralizzazione, la questione avrebbe riguardato «il calcolo della quota della pensione di cumulo tra due gestioni, da lavoro dipendente e da lavoro autonomo». In realtà, come correttamente evidenziato dalla difesa pubblica nella discussione in udienza, la questione qui in esame è del tutto nuova, perché il cumulo preso in considerazione dal richiamato precedente di questa Corte non era certo quello disciplinato dalla legge n. 228 del 2012, non fosse altro perché, in quella vicenda, il trattamento pensionistico oggetto del giudizio principale aveva avuto decorrenza da una data – 1° luglio 2010 – anteriore a quella di entrata in vigore della legge da ultimo citata.
7.– In definitiva, l’insufficiente o, comunque, incompleta considerazione del quadro normativo, nei termini innanzi indicati, compromette l’iter logico–argomentativo delle censure (tra le tante, sentenze n. 20 del 2025, n. 184 del 2024; ordinanza n. 152 del 2023), sia sulla rilevanza sia sulla non manifesta infondatezza, determinando l’inammissibilità delle questioni sollevate (sentenza n. 177 del 2024).
8.– È appena il caso di aggiungere che la Corte dei conti rimettente neppure si confronta, anche solo per escluderne eventualmente la pertinenza, con l’art. 2, primo comma, lettera b), del d.P.R. n. 1092 del 1973, secondo il quale «[i]l trattamento di quiescenza previsto dal presente testo unico non spetta: […] al personale civile non di ruolo assunto temporaneamente per periodi inferiori a un anno e al personale supplente delle scuole di istruzione primaria e secondaria e degli istituti professionali e di istruzione artistica; detti dipendenti sono iscritti, ai fini di quiescenza, all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti».