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*Responsabilità civile – Condotta alternativa lecita, giudizio controfattuale e nesso di causalità imperniato sull’evento dannoso

by Massimo Giangregorio - Avvocato
25 Novembre 2024
in Diritto Civile
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Cassazione civile, sez. III, ordinanza 27 settembre 2024, n. 25825

            PRINCIPIO DI DIRITTO

In materia di responsabilità medica spetta ai giudici di appello valutare la richiesta risarcitoria di parte ricorrente, tenendo conto della relazione del CTU intesa a far valere la responsabilità dell’equipe operante e valutando il grado di prevedibilità ed evitabilità dell’evento dannoso.

        

        TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

La Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte di Appello con la quale rigettava la richiesta della parte ricorrente circa le responsabilità mediche.

La corte di merito avrebbe dovuto valutare se la condotta alternativa lecita (trattamento meno invasivo) era da pretendersi a prescindere dalla sua efficacia sulla patologia in corso, ma per via del fatto che garantiva, a differenza di quella di fatto tenuta, di evitare il rischio: se cioè vi sia stata colpa nella scelta dell’intervento chirurgico alla luce di tale previsione.

Secondo la Corte di Appello l’onere che grava sul paziente di provare  il nesso di causa tra il danno subito e la condotta del medico.

In sostanza la Suprema Corte ha ritenuto che i giudici di appello non hanno tenuto conto della relazione del CTU intesa a far valere la responsabilità medica da parte dell’equipe operante ed infatti non ha valutato  la prevedibilità ed evitabilità dell’evento.

Secondo il ricorrente, una volta accertato il nesso di causalità, che era evidente, nel senso che risultava chiaro che il danno era riconducibile all’intervento eseguito, il giudizio in ordine alla prevedibilità andava fatto ex ante, come tra l’altro si ricavava dalla indicazione data dal medico precedente di evitare assolutamente l’intervento chirurgico.

Ad avviso del ricorrente, allo stesso modo, è errata l’affermazione secondo cui non era da escludere a priori il possibile fallimento della terapia conservativa che rendeva l’intervento chirurgico una scelta possibile e non sconsigliabile ex ante.

In questo giudizio vi sarebbe l’errore di aver ritenuto irrilevante la terapia conservativa rispetto alla guarigione mentre la valutazione avrebbe dovuto essere fatta rispetto al danno subito.

Il ragionamento effettuato dai giudici d’appello, secondo cui l’intervento chirurgico era maggiormente indicato in quanto quello conservativo non aveva prodotto in passato gli effetti sperati, è anch’esso viziato da omesso esame di un fatto rilevante, omissione da cui deriva contraddittorietà di giudizio, in quanto non si è tenuto conto del fatto che anche l’intervento chirurgico, che pure in precedenza era stato effettuato, non aveva prodotto, al pari di quello conservativo, gli effetti sperati. In altri termini, il giudizio controfattuale andava effettuato chiedendosi se l’intervento conservativo, in luogo di quello chirurgico, avrebbe evitato o meno i danni permanenti al paziente, piuttosto che chiedersi se l’intervento conservativo avrebbe sortito effetti benefici per l’interessato guarendolo dalla patologia.

Nell’accertamento del nesso causale, infatti, la condotta alternativa lecita va messa in relazione all’evento concretamente verificatosi, e di cui si duole il danneggiato, e non già rispetto ad un evento diverso: se il danno di cui ci si lamenta è costituito dalla paralisi permanente, l’indagine causale va effettuata ponendo in relazione questo danno con la condotta alternativa lecita, ossia chiedendosi se tale danno era evitabile sostituendo la condotta posta in essere con una condotta alternativa. Invece, i giudici di appello, come si è detto prima, hanno effettuato l’indagine controfattuale considerando quale evento non già il danno subìto, ma l’inefficacia terapeutica del trattamento, e dunque un evento diverso, di cui il ricorrente non si duole.

Non v’è dubbio che non guarire dalla lombosciatalgia è evento diverso dal subire la paralisi: ed occorreva chiedersi se, evitare l’intervento, avrebbe evitato la paralisi. L’evento che, per il ricorrente, ha costituito danno è, per l’appunto, la paralisi, non la mancata guarigione dalla lombosciatalgia, e dunque la questione causale è conseguente: stabilire se la condotta alternativa lecita avrebbe evitato quell’evento, non altro (la mancata guarigione dalla lombosciatalgia).

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