Corte di Cassazione , sez. IV Penale, ud. dep. 05 giugno 2025, n. 20949
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’obbligo di custodia dell’animale sorge ogni qualvolta sussista una relazione di semplice detenzione, anche solo materiale e di fatto tra l’animale e una data persona, non essendo necessario l’accertamento di un rapporto di proprietà in senso civilistico, nella specie, quest’ultimo, ritenuto sussistente in capo al prevenuto.
Posizione di garanzia, quella assunta dal proprietario di un cane, che, però, impone l’obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire le prevedibili azioni e reazioni dell’animale, con la conseguenza per cui il proprietario risponde a titolo di colpa delle lesioni cagionate a terzi dallo stesso animale anche qualora ne abbia affidato la custodia a persona inidonea a controllarlo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso, i cui motivi sono suscettibili di trattazione congiunta, è inammissibile.
- In primo luogo, deve ribadirsi che il vizio di travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione nel caso, come quello di specie, di c.d. «doppia conforme», sia nell’ipotesi in cui il giudice d’appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, sia quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, in forma di tale macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (ex plurimis, limitando i riferimenti solo a talune delle più recenti decisioni: Sez. 4, n. 13531 del 04/02/2025, Bartolo, in motivazione; Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 – 01; Sez. 4, n. 35963 del 03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155 – 01).
Orbene, le sentenze di merito, facenti perno su medesimi elementi probatori, tra cui, peraltro, anche le deposizioni dei testi indicati dalla difesa dell’imputato (pag. 2, sentenza d’appello, e pag. 5 sentenza di primo grado), sono conformi quanto alle assunte decisioni e al comune sotteso iter logico-giuridico, comprese le relative premesse fattuali. Sicché, inammissibilmente il ricorrente deduce, in ipotesi di «doppia conforme», un travisamento dei mezzi di prova senza esplicitare e invero prospettare che entrambi i giudici siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie acquisite, ovvero che si sia trattato di mezzi di prova assunti solo in appello, essendo peraltro il ricorso silente in merito all’apparato motivazionale sotteso alla sentenza di primo grado e ai relativi elementi probatori.
- Alle assorbenti considerazioni di cui innanzi deve aggiungersi, in termini altrettanto dirimenti e tali da manifestare anche l’infondatezza del primo motivo, la circostanza per cui il ricorrente, inammissibilmente, finisce nella sostanza con l’appuntare le censure sul significato dei mezzi di prova e non su un’errata o mancante percezione del relativo significante. Si deduce così non un travisamento della prova bensì un «travisamento del fatto»: la sussistenza di una relazione di fatto e di diritto, presunta come esclusiva, tra i genitori dell’imputato e il cane, prospettata dalla tesi difensiva in luogo della ritenuta sussistenza, da parte dei giudici di merito, di una relazione di fatto e di diritto tra l’imputato e l’animale. Situazione, quest’ultima, in virtù della quale è stata accertata in capo a M.P. la posizione di garanzia, sostanzialmente argomentata anche da altri mezzi di prova, tra cui la deposizione della persona offesa circa quanto dichiaratole tanto dallo stesso prevenuto in ospedale quanto dalla di lui madre al momento dei fatti.
Trattasi di travisamento, quello del fatto e non della prova, a cui non può attribuirsi rilievo in sede di legittimità in ragione del consolidato principio per cui anche a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen. dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (ex plurimis, Sez. 4, n. 33896 del 20/06/2023, Latilla; Sez. 3, n. 18521 dell’11/01/2018, Ferri, Rv. 273217 – 01).
Ciò, come detto, finisce, oltre che con l’integrare un inammissibile tentativo del ricorrente di sostituire proprie valutazioni, anche di natura probatoria, a quelle del giudicante, anche con il manifestare l’infondatezza del primo motivo avendo difatti i giudici di merito, sull’accertato rapporto di fatto e di diritto tra imputato e animale, ancorché fuoriuscito al momento dei fatti dall’abitazione dei genitori del prevenuto, sostanzialmente correttamente applicato i principi governanti la materia. L’obbligo di custodia dell’animale sorge ogni qualvolta sussista una relazione di semplice detenzione, anche solo materiale e di fatto tra l’animale e una data persona, non essendo necessario l’accertamento di un rapporto di proprietà in senso civilistico, nella specie, quest’ultimo, ritenuto sussistente in capo al prevenuto (ex plurimis, Sez. 4, n. 10192 del 02/03/2021, Fusetti; Sez. 4, n. 51448 del 17/10/2017, Polito, Rv. 271329 – 01). Posizione di garanzia, quella assunta dal proprietario di un cane, che, però, impone l’obbligo di adottare le cautele necessarie a prevenire le prevedibili azioni e reazioni dell’animale, con la conseguenza per cui il proprietario risponde a titolo di colpa delle lesioni cagionate a terzi dallo stesso animale anche qualora ne abbia affidato la custodia a persona inidonea a controllarlo (Sez. 4, n. 34765 del 03/04/2008, Morgione, Rv. 240774 – 01). Alla luce di tale ultima precisazione deve altresì leggersi il riferimento del giudice d’appello all’irrilevanza, nella specie, di un mero affidamento dell’animale ai genitori, peraltro tale da rilevare, in relazione all’apparato motivazionale della sentenza impugnata, alla stregua non di ragione fondante bensì di mera argomentazione a confutazione della tesi difensiva, ritenuta non provata, dell’assenza di potere di fatto da parte dell’imputato.
- In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. e valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186). Consegue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della parte civile, C.A., che si liquidano in euro tremila, oltre accessori come per legge.