CONSIGLIO DI STATO, Sez. III, sentenza 15 settembre 2025 n. 7315
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’errore scusabile suscettibile di scriminare la responsabilità della P.A. in caso di illegittimità provvedimentale può essere ravvisato nelle ipotesi di sussistenza di contrasti giurisprudenziali, incertezza del quadro normativo di riferimento o di complessità fattuale della situazione oggetto di apprezzamento amministrativo.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- – Viene all’attenzione del Collegio una domanda risarcitoria del danno ingiusto assuntamente scaturito dall’illegittimità provvedimentale, sancita con pronuncia ormai irrevocabile di questo Consiglio di Stato, dell’inserimento nella lista di trasparenza del 1° agosto 2017 dell’associazione fissa tra i principi attivi Nebivololo e Idroclorotiazide e delle corrispondenti specialità medicinali aventi a propria base la suddetta associazione fissa, ivi incluse quelle commercializzate dalla ricorrente con i marchi Aloneb, Lobidiur e Nobizide.
- – Il Collegio deve preliminarmente respingere l’istanza di rinvio, motivata dall’appellante con la pendenza di un più recente appello allibrato al N.R.G. 3428/2025 avverso la sentenza n. 533/2025 con cui il T.A.R. del Lazio ha respinto una successiva domanda risarcitoria formulata dalla stessa ricorrente in relazione al provvedimento di AIFA, reiterativo di quello già annullato con la sentenza del Consiglio di Stato n. 3129/2018, di nuovo inserimento in lista di trasparenza dei farmaci commercializzati da MIOL.
Le due fattispecie, pur condividendo il nucleo comune delle questioni in diritto dedotte, si presentano autonome e distinte in quanto rimontano a differenti elementi istruttori e a distinte valutazioni tecnico-discrezionali di AIFA, né si ravvisa alcuna connessione o pregiudizialità fra le due cause.
Indi, l’istanza presentata dall’appellante deve essere respinta non ricadendo la presente fattispecie nei casi eccezionali che soli, giusta la previsione dell’articolo 73, comma 1-bis, c.p.a., possono legittimare il rinvio della trattazione del merito del giudizio.
- – Il cuore della vertenza risiede nell’ascrivibilità o meno a titolo di colpa dell’illegittimità provvedimentale in cui è incorsa AIFA nell’iscrivere in lista di trasparenza l’associazione fissa fra i principi attivi Nebivololo e Idroclorotiazide e le corrispondenti specialità medicinali e nella conseguente configurabilità o meno dell’illecito aquiliano con correlativa risarcibilità del danno ingiusto cagionato.
3.1. – Il Collegio deve farsi carico preliminarmente di una doverosa puntualizzazione sulla portata del riparto dell’onere probatorio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa di amministrazione nelle fattispecie di responsabilità aquiliana a mente del discutibile inciso con cui il primo giudice, al paragrafo 13 della gravata pronuncia, ha addossato integralmente alla parte ricorrente l’onere di provare “la sussistenza del criterio di imputazione soggettivo della responsabilità”.
Orbene, preme al Collegio rimarcare che, impregiudicata la riconducibilità nello schema aquiliano della responsabilità civile da lesione di interesse legittimo determinata da attività provvedimentale della p.a., secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidato l’illegittimità del provvedimento costituisce indice presuntivo della colpa dell’Amministrazione che come tutte le presunzioni opera una relevatio ab onere probandi a favore del privato cittadino, sicché tale onere può ritenersi assolto con l’indicazione dell’illegittimità provvedimentale, mentre grava sull’amministrazione l’onere di provare l’assenza di colpa attraverso l’errore scusabile derivante da contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma o dalla complessità dei fatti ovvero, ancora, dal comportamento delle parti del procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2023, n. 591; id., sez. VI, 13 luglio 2022, n. 5897).
Più specificamente, fermo restando che in via di principio il ricorrente deve dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità, quanto alla colpa dell’amministrazione lo stesso può però limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, dovendosi ricorrere, al fine della prova dell’elemento soggettivo della responsabilità, alle regole di comune esperienza e alle presunzioni semplici di cui all’articolo 2727 c.c., gravando sulla parte resistente dimostrare l’insussistenza dell’elemento psicologico mediante la deduzione di circostanze idonee ad integrare gli estremi dell’errore scusabile (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2023, n. 4050; id., sez. III, 1 aprile 2015 n. 1717).
In altre parole, la presunzione di responsabilità in disamina, lungi dal derogare al regime probatorio degli elementi (soggettivi e oggettivi) richiesti all’articolo 2043 c.c., lo presuppone traendo la sua ratio giustificativa dalla particolare natura del rapporto amministrativo e della specialità del delineato regime di responsabilità extracontrattuale dell’amministrazione pubblica, in ragione del “contatto” che si instaura in sede procedimentale tra il privato e il soggetto pubblico, regolato da norme pubblicistiche a carattere imperativo, la cui violazione può ingenerare una presunzione di responsabilità per colpa dell’attore pubblico. Per converso, tale presunzione di responsabilità è superabile ove l’amministrazione assolva all’onere di provare la sussistenza dell’esimente dell’errore scusabile; sicché è sufficiente ad elidere la sussistenza del requisito soggettivo della colpa, con conseguente venir meno della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., la prova, da parte della pubblica amministrazione danneggiante, dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza o l’ambiguità del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto con le pertinenti difficoltà istruttorie, oltre che con il fatto che la norma applicata sia stata successivamente dichiarata incostituzionale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 2023, n. 4050; id., 4 novembre 2022, n. 8480; id., sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1549; id., sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; id., sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337).
3.2. – La puntualizzazione che precede dà la stura ad una ricapitolazione parimenti decisiva dello stato dell’arte dell’elaborazione giurisprudenziale sulla colpa di Amministrazione nelle fattispecie risarcitorie per danno da lesione di interesse legittimo.
La giurisprudenza più recente di questo Consiglio ha nitidamente ribadito che l’esercizio illegittimo della funzione amministrativa non integra di per sé la colpa dell’amministrazione, dovendo anche accertarsi se l’adozione (o la mancata o ritardata adozione) del provvedimento amministrativo lesivo sia conseguenza della grave violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede – alle quali deve essere costantemente ispirato l’esercizio dell’attività amministrativa – e si sia verificata in un contesto di fatto ed in un quadro di riferimento normativo tale da palesare la negligenza e l’imperizia degli uffici o degli organi dell’Amministrazione, ovvero se per converso la predetta violazione sia ascrivibile all’ipotesi dell’errore scusabile, per la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, sez. V, 17 aprile 2025, n. 3357).
Secondo l’indirizzo ampiamente dominante ai fini dell’accertamento della responsabilità, perché si configuri la colpa dell’amministrazione, occorre avere riguardo al carattere e al contenuto della regola violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, in caso di sua violazione, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico. Al contrario, se il canone della condotta amministrativa è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’autorità pubblica un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà sussistere solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di imparzialità, correttezza e buona fede, proporzionalità e ragionevolezza, con la conseguenza che ogni altra violazione del diritto oggettivo resta assorbita nel perimetro dell’errore scusabile, ai sensi dell’articolo 5 c.p. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 4 ottobre 2022, n. 8480; id., sez. III, 24 maggio 2018, n. 3131; id., 16 maggio 2018, n. 2921).
Come noto, questa chiave di lettura più temperata e omnicomprensiva nell’applicazione della responsabilità aquiliana rinviene la propria ratio fondante nella dicotomia ontologica tra il giudizio di responsabilità e il giudizio di legittimità: in quest’ultimo l’oggetto del sindacato è il provvedimento amministrativo e la sua coerenza col quadro fattuale e giuridico esistente al momento della sua adozione, mentre nel giudizio risarcitorio oggetto di valutazione è la complessiva condotta dell’Amministrazione, di cui il provvedimento costituisce solo un elemento: “ciò dovendo verificarsi se, nell’esercizio del suo compito di perseguimento primario dell’interesse pubblico, essa non abbia travalicato i limiti basilari entro i quali l’azione autoritativa deve essere contenuta e che fungono da cornice esterna della discrezionalità amministrativa. Limiti superati i quali essa cessa di essere riconoscibile come tale ed assume i connotati di una mera attività materiale lesiva degli interessi giuridici dei cittadini, della cui violazione l’Amministrazione è chiamata a rispondere sul piano risarcitorio. La diversa natura del giudizio risarcitorio rispetto a quello di legittimità comporta che le qualificazioni del provvedimento impugnato sancite dalla sentenza conclusiva del secondo non condizionano in modo automatico l’accertamento della fattispecie risarcitoria, diverso essendo l’oggetto dei due giudizi ed i parametri cui deve ispirarsi il loro svolgimento. Proprio perché l’elemento soggettivo costituisce uno dei tasselli della fattispecie risarcitoria, il giudice, ai fini della sua ricostruzione, è chiamato a prendere in considerazione tutte le circostanze, di fatto e di diritto, caratterizzanti la concreta situazione devoluta alla sua cognizione, come emergenti dal materiale processuale e anche laddove non abbiano costituito oggetto di rituale eccezione di parte interessata” (Cons. Stato, sez. III, 7 febbraio 2025, n. 1003).
Alla luce della ricapitolazione appena svolta, l’errore scusabile suscettibile di scriminare la responsabilità della P.A. in caso di illegittimità provvedimentale può essere ravvisato nelle ipotesi di sussistenza di contrasti giurisprudenziali, incertezza del quadro normativo di riferimento o di complessità fattuale della situazione oggetto di apprezzamento amministrativo.
- – Orbene, premessi questi necessari lineamenti ricostruttivi di carattere generale sullo “stato dell’arte” della colpa di amministrazione nell’ambito del giudizio risarcitorio, si devono calare tali coordinate sulla fattispecie concreta venuta all’esame.
4.1. – Ad avviso del Collegio, la fattispecie con cui si è dovuta confrontare l’AIFA è contrassegnata da un elevato tasso di tecnicismo e opinabilità, vertendo sulla bioequivalenza dell’associazione fissa tra due principi attivi e le corrispondenti specialità medicinali aventi a propria base la suddetta associazione fissa.
A dispetto di quanto propugnato dall’appellante, la regola di azione non poteva dirsi univocamente tracciata dalla pronuncia di questo Consiglio di Stato, 3 dicembre 2015, n. 5503, alla stregua della quale sia un’esegesi letterale, sia un’esegesi finalistica dell’art. 7, co. 1, decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 legge 16 novembre 2001, n. 405 impongono “l’opzione ermeneutica che vieta l’inserimento nella lista di trasparenza, non solo nelle ipotesi in cui il principio attivo innovatore risulti protetto da brevetto, ma anche nel caso, quale quello in esame, in cui difetti uno studio di confronto che attesti la bioequivalenza reciproca e, cioè, la piena sostituibilità terapeutica tra i due medicinali”.
Avendo riguardo alle coordinate temporali in cui si inscrive la presente fattispecie, il concetto di bioequivalenza, che condensa la nozione di comune efficacia terapeutica scolpito nella disciplina di cui all’art. 7, co. 1, cit. (“uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosi unitarie uguali”), era concretamente operazionalizzato dalle Linee guida dell’Agenzia europea del farmaco (EMA-CHMP/281825/2015 del 23 aprile 2015, successivamente modificate), richiamate dalla decisione della Commissione consultiva Tecnico-scientifica dell’Agenzia del 5, 6 e 7 dicembre 2016, sulla scorta delle quali si riteneva percorribile una procedura semplificata per le associazioni fisse c.d. di sostituzione e cioè l’esecuzione di studi di bioequivalenza tra l’associazione fissa e i medicinali monocomponente originatori assunti contemporaneamente (cfr. par. 4.2 e 4.6: “Bioequivalence of the FDC versus mono-components taken simultaneously has to be demonstrated according to the criteria outlined in section 4.6.” e “bioequivalence of the FDC versus mono-components taken simultaneously is in general required to bridge existing clinical data obtained from the combined use of mono-components with those from the fixed dose combination formulation”): nello specifico, la CTS aveva concluso che, da un punto di vista tecnico-scientifico, si potesse affermare l’equivalenza terapeutica, e di conseguenza la sostituibilità automatica, di due associazioni fisse c.d. di sostituzione per le quali fosse stata dimostrata la bioequivalenza verso gli stessi medicinali monocomponente originatori.
4.2. – Senonché, solo con la pronuncia del Consiglio di Stato, 24 maggio 2018, n. 3129, si è preso atto del fatto che le conclusioni cui è pervenuta l’AIFA, in diretta e dichiarata dipendenza delle Linee Guida europee, non possono invece trovare in queste, correttamente interpretate, il loro preteso fondamento giustificativo atteso che “il requisito della bioequivalenza rispetto ai monocomponenti originatori è sufficiente, in base alle citate Linee Guida, ai soli fini del rilascio dell’AIC, mentre, ai fini della valutazione di equivalenza per gli effetti dell’inclusione dei farmaci nella lista di trasparenza, si rende necessaria, onde consentire e giustificare da un punto di vista terapeutico l’operatività del meccanismo di sostituzione del farmaco prescritto con quello dispensato, una apposita verifica in ordine alla comune efficacia terapeutica degli stessi, cui è appunto strumentale il rapporto di diretta e reciproca bioequivalenza tra le associazioni fisse di cui essi consistono”.
In definitiva, la ratio decidendi della prima pronuncia del 2015 non poteva dirsi così perspicua come suggerirebbe la difesa di parte appellante, giacché essa non aveva esplorato i corollari operativi del concetto di bioequivalenza tra due associazioni fisse di sostituzione, ma si era limitata a dirimere una controversia concernente la sostituibilità del medicinale ad associazione fissa Dalneva, con i medicinali Coverlam e Reaptam senza addentrarsi nei meandri delle possibili declinazioni operative dell’accertamento della bioequivalenza visto che nel caso ivi in esame faceva radicalmente difetto uno studio di confronto con i medicinali di riferimento.
Di contro, la pronuncia del 2018 ha chiaramente messo a fuoco che la bioequivalenza richiesta ai fini dell’iscrizione in lista di trasparenza deve essere verificata mediante studi di confronto diretto tra le associazioni fisse di sostituzione e non semplicemente rispetto ai monocomponenti originatori, come adombrato invece dalle Linee guida EMA, lumeggiando anche la differenza di questo cruciale discrimen: “la non sovrapponibilità dei requisiti necessari per il rilascio dell’AIC ai sensi dell’art. 12 d.lvo n. 219/2006 e di quelli occorrenti ai fini della dimostrazione della “equivalenza” per gli effetti di cui all’art. 7 d.l. n. 347/2001 è coerente con la diversità dell’oggetto dei due procedimenti, venendo nell’ambito del primo in rilievo l’idoneità terapeutica dell’associazione fissa in rapporto all’assunzione contestuale dei principi attivi che la compongono, e nel secondo l’uguale efficacia terapeutica di due associazioni fisse, previamente autorizzate ai sensi dell’art. 12 d.lvo cit., ai fini della loro sostituzione in sede di dispensazione farmaceutica”.
4.3. – Dai lineamenti ricostruttivi sin qui tratteggiati si evince che nel caso in esame affiorano nitidamente i contorni di una regola di azione tutt’altro che univoca e tale da demandare all’Agenzia scelte di fondo contrassegnate da ampia discrezionalità tecnica, suscettibile di scriminare il coefficiente di colpa di amministrazione invocato da parte appellante.
A ciò si aggiunga che la stessa pronuncia n. 3129/2018 ha ammesso, seppur in chiave concessiva, che “la soluzione data alla questione controversa dalla sentenza n. 5503/2015 non possa vincolare, in termini assoluti, la decisione della presente controversia (sia per ragioni di carattere sistematico, connesse alla inidoneità della stessa a fare stato in ordine alla fattispecie in esame, sia perché l’Amministrazione ha inteso giustificare la scelta operata con il provvedimento impugnato, opposta a quella sulla cui legittimità si è pronunciato il Consiglio di Stato con la sentenza menzionata, con elementi nuovi, in quella sede non considerati)”: ciò milita ulteriormente a favore della tesi che la soluzione tecnica della controversia fosse lungi dall’essere necessitata dalla precedente pronuncia del 2015.
Tale complessità dai tratti irriducibili emerge altresì dall’andamento contrastato dei due gradi di giudizio – segnato dalla prima pronuncia favorevole del TAR, non sospesa, poi ribaltata dalla ridetta pronuncia n. 3129/2018: pur non potendo assimilare tale andamento antitetico (del tutto fisiologico alla dialettica processuale tra primo e secondo grado di giudizio) alla nozione di contrasto giurisprudenziale foriero di errore scusabile, la quale presupporrebbe ben diversamente la sussistenza di pronunce dissonanti rese nel medesimo grado, in specie nei giudizi di appello – non può sottacersi che la diversità di vedute espressa nei vari gradi di giudizio denota ad ogni modo l’irriducibile complessità della materia, suscettibile di una pluralità di chiavi di lettura.
4.4. – Da ultimo, va poi rimarcato che la ricostruzione del quadro giurisprudenziale operato dall’appellante prova troppo perché tutti gli arresti pretori citati sono pressoché coevi o cronologicamente successivi al contestato periodo di inserimento in lista di trasparenza, cessato il 15 giugno 2018: si tratta difatti delle pronunce Cons. Stato, Sez. III, 17 maggio 2018, n. 2964, resa con riferimento all’associazione fissa perindopril + amlodipina; Cons. Stato, Sez. III, 24 maggio 2018, n. 3129 e Cons. Stato, Sez. III, 14 maggio 2020, n. 3073, rese con riferimento all’associazione fissa Nebivololo + Idroclorotiazide; Cons. Stato, Sez. III, 21 febbraio 2022, n. 1254, resa con riferimento all’associazione fissa rosuvastatina + amlodipina, Cons. Stato, Sez. III, 25 ottobre 2022, n. 9077, resa con riferimento all’associazione fissa rosuvastatina + ezetimibe e Cons. Stato, Sez. III, 27 ottobre 2022, n. 9142, resa con riferimento all’associazione fissa perindopril + indapamide + amlodipina.
Sicché, il precedente giurisprudenziale cui avrebbe dovuto rifarsi AIFA era comunque isolato al tempo in cui ha assunto la propria determinazione, fondata su elementi nuovi come per l’appunto le Linee guida EMA 2015, poi revisionate nel 2017 (Linea Guida EMA/CHMP/158268/2017 del 23 marzo 2017) la cui portata è stata estesa – per vero impropriamente, secondo la lettura correttiva tratteggiata dalla pronuncia n. 3129/2018 – dal campo delle procedure autorizzatorie all’immissione in commercio a quelle di iscrizione in lista di trasparenza.
- – Alla luce della disamina svolta, l’operato di AIFA si profila scevro dei vizi di irragionevolezza e arbitrarietà che integrerebbero il coefficiente psicologico della colpa di amministrazione, mentre ricorrono plurimi indici idonei a corroborare la tesi dell’errore scusabile che vale a scriminare la condotta foriera di danno sul piano soggettivo ed escluderne la risarcibilità: segnatamente, la complessità del quadro tecnico-normativo e l’assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale che avesse già esplorato tutti i corollari operativi dell’accertamento della bioequivalenza tra associazioni fisse di sostituzione depongono a favore della tesi della non rimproverabilità dell’attività provvedimentale illegittima posta in essere da AIFA e poi annullata in via definitiva dalla ridetta pronuncia n. 3129/2018.
A mente dello schema strutturale della fattispecie aquiliana di cui all’art. 2043 cod. civ., in difetto di acclarata colpa dell’Amministrazione, il Collegio non può far luogo all’invocato accertamento di responsabilità civile dell’Agenzia appellata, dovendo per converso trovare piena conferma l’approdo decisorio sancito dalla pronuncia impugnata.
- – In conclusione, l’appello deve essere respinto perché infondato.
- – La peculiare complessità della controversia giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti costituite.