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*Salute e medicina – Componente di organizzazione mafiosa, medico e errata qualificazione della condotta come favoreggiamento aggravato

by Dott.ssa Loredana Campanile
5 Novembre 2024
in Diritto Penale
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Cass. Pen., VI, ud. dep. 24.10.2024, n. 39111

PRINCIPIO DI DIRITTO

Premesso che la fruizione di assistenza sanitaria rientra sotto l’ombrello delle tutele costituzionali riservate a qualunque individuo e che, quindi, la prestazione corrispettiva mai potrebbe assurgere a rilievo penale, va soltanto aggiunto che l’argomentazione dei Giudici del riesame nemmeno è inficiata – come vorrebbe il ricorrente – dal mancato inquadramento del tema nel capitolo teorico della tipicità o in quello dell’antigiuridicità.

Tale asserita lacuna sarebbe, infatti, irrilevante, dal momento che, quale che sia la tesi preferita, verrebbe comunque meno un elemento costitutivo del reato, e con esso il reato stesso.

Tanto premesso, nel ravvisare in questa condotta gli estremi del reato di favoreggiamento personale (con l’aggravante mafiosa), il Tribunale del riesame richiama due precedenti di legittimità che – sul presupposto della configurabilità del delitto anche in rapporto ai reati associativi (e, dunque, della distinzione tra consumazione e perfezionamento di questi ultimi) – argomentano a partire dall’individuazione del beneficiario della condotta agevolativa e, quindi del dolo.

Tale giurisprudenza reputa, in sostanza, configurabile l’ipotesi di cui all’art. 378 cod. pen. con preferenza rispetto all’art. 416-bis cod. pen. là dove non si ravvisi un’interazione organica e sistematica con gli associati, bensì l’aiuto prestato in modo episodico ad uno dì essi, con ciò che ne consegue in termini di elemento soggettivo, non richiedendosi, nella prima ipotesi, a differenza che nella seconda, alcun animus sodi.

TESTO RILEVANTE DELLA PRONUNCIA

  1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito esposte.
  2. Il primo motivo di ricorso, che inerisce alla qualificazione giuridica del fatto, è fondato.

2.1. È nel giusto il Tribunale del riesame quando esclude che configurino reato le mere condotte di assistenza sanitaria prestate dall’indagato, tecnico radiologo presso l’ospedale di (OMISSIS), a favore di M.M.D., a suo tempo ricoverato presso la medesima struttura.

2.2. L’attenzione si appunta, pertanto, sui comportamenti che travalicano la mera assistenza sanitaria, ovvero su condotte ulteriori e diverse (sebbene realizzate nel contesto topografico e cronologico del ricovero nella struttura ospedaliera), al cui interno l’ordinanza valorizza specificamente la consegna, da parte dell’indagato a M.M.D., di un’utenza telefonica per conto e su indicazione di A.B. (classe (OMISSIS), cugino dell’omonimo B., classe (OMISSIS), di cui il latitante aveva assunto durante il ricovero l’identità), sodale dell’associazione capeggiata dal medesimo M.M.D..

  1. La sua trasposizione alla vicenda in giudizio, infatti, svilisce indebitamente la peculiarità del caso oggetto di giudizio: peculiarità consistente nel fatto che L.C. non prestò aiuto ad un qualsivoglia partecipe e, neppure, ad uno degli apici dell’associazione criminale “(OMISSIS)”, notoriamente organizzata in senso piramidale, bensì al suo indiscusso vertice, da lungo tempo ricercato in quanto latitante.

3.1. La logica conseguenza di tale premessa fattuale è che l’apporto (consapevolmente) fornito alla persona di M.M.D. non poteva non tradursi in un (altrettanto doloso) contributo, dotato di rilievo causale-condizionalistico, all’associazione da questi capeggiata (la quale, come osservato nel ricorso del Pubblico Ministero, sarebbe stata messa a repentaglio dall’arresto del suo capo indiscusso).

3.2. Dunque, a ritenere, come assumono i Giudici del provvedimento impugnato, che l’indagato non facesse stabilmente parte della compagine associativa mafiosa – salvo, cioè, quanto sarà precisato immediatamente di seguito -, non si sarebbe dovuta escludere, in luogo del “semplice” favoreggiamento, la configurabilità del c.d. concorso esterno in associazione mafiosa (artt. 110, 416- bis cod. pen.). Di tale ipotesi di reato ricorrerebbero, infatti, i presupposti da tempo messi a fuoco da questa Corte (Sez. U., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231671) sia sul piano sia oggettivo (il contributo causale verificabile ex post, in termini condizionalistici), sia sul piano soggettivo (il dolo di recare un contributo alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, nella consapevolezza e con la volontà di recare un contributo alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso del sodalizio).

  1. Peraltro, la motivazione del provvedimento impugnato non risulta, sul delicato punto dei rapporti tra indagato e compagine associativa, esente da profili di contraddittorietà.

4.1. Infatti, i Giudici del riesame, dopo aver affermato, come appena ricordato, che il contributo fornito dall’indagato al latitante fu del tutto episodico, in altro punto dell’ordinanza, e cioè là dove motivano le esigenze cautelari, riconoscono che l’indagato «ha manifestato un’allarmante disponibilità nei confronti del sodalizio mafioso, che ben potrebbe tradursi in condotte agevolative anche in favore di diversi associati».

4.2. Usano, quindi, una dizione che, quantomeno sul piano linguistico, evoca – sebbene in termini di potenzialità – la “stabile messa a disposizione” di cui parlano Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889, alludendo a un concetto che, se riempito, come necessario, dei necessari contenuti di offensività, potrebbe addirittura indiziare in capo all’indagato l’ipotesi partecipativa.

4.3. Il che richiama alla necessità di accertamenti ulteriori nel merito.

  1. Specularmente, contradditoria risulta la motivazione in punto di esigenze cautelari.

5.1. In tal senso, depone il contrasto, denunciato dal ricorrente, tra la già rilevata potenziale disponibilità di L.C. verso l’intero sodalizio mafioso, in uno con la ritenuta «estrema gravità della [sua][condotta», e l’affermazione, di poco precedente, per cui il contributo di L.C. sarebbe stato circoscritto al contesto ospedaliero: circostanza che i Giudici ritengono suscettibile di superare la presunzione di pericolosità discendente dalla contestazione dell’alt. 416-bis.1 cod. pen. e di giustificare l’adeguatezza degli arresti domiciliari.

  1. Si impone, dunque, su entrambi i profili – dei gravi indizi di reità e delle esigenze cautelari -, l’annullamento della sentenza, con rinvio ai Giudici di merito in funzione degli approfondimenti necessari.

 

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