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*Salute e medicina – Lesioni – Sanzioni – Danni permanenti al viso, rigidità del trattamento sanzionatorio e parziale illegittimità dell’art.583-quinquies c.p.

by Giuseppe Bisceglia - Avvocato
24 Giugno 2025
in Diritto Civile
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Corte Costituzionale, sentenza,20 giugno 2025, n. 83

PRINCIPIO DI DIRITTO

 Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies, primo comma, del codice penale, inserito dall’art. 12, comma 1, della legge 19 luglio 2019, n. 69 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere), nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità;

Va, altresì, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies, secondo comma, cod. pen., nella parte in cui dispone «comporta l’interdizione perpetua», anziché «può comportare l’interdizione».

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.– Con le ordinanze indicate in epigrafe, i Giudici dell’udienza preliminare dei Tribunali di Taranto, Bergamo e Catania hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies cod. pen., come inserito dall’art. 12, comma 1, della legge n. 69 del 2019, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.

Tutti i rimettenti censurano il primo comma dell’art. 583-quinquies cod. pen., riguardo alla pena principale che esso stabilisce per il reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; i GUP dei Tribunali di Bergamo e Catania censurano, altresì, il secondo comma della medesima disposizione, che commina, per lo stesso reato, una pena accessoria fissa e perpetua.

1.1.– I giudici a quibus reputano irragionevole e sproporzionata la pena principale, stabilita dall’art. 583-quinquies cod. pen. nella forbice da otto a quattordici anni di reclusione, sia perché non distingue tra lo sfregio permanente e la deformazione del viso, che pure sono lesioni di diversa gravità, sia perché sarebbe eccessiva rispetto ad altri fatti-reato di non minore incidenza personale e tuttavia sanzionati con pene inferiori (lesioni gravissime ex art. 583, secondo comma, cod. pen. e mutilazione degli organi genitali femminili ex art. 583-bis, primo comma, dello stesso codice).

Tutti i rimettenti deducono che una pena siffatta verrebbe percepita dal condannato come ingiusta e sarebbe quindi incapace di assolvere alla funzione rieducativa.

Il GUP del Tribunale di Bergamo assume, poi, che una sanzione così elevata non si giustifichi nelle ipotesi in cui l’aggressione al volto non sia commessa dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, quindi laddove il fatto di reato non integri quella violenza domestica o di genere che la legge n. 69 del 2019 era intesa a contrastare.

1.2.– I GUP dei Tribunali di Bergamo e Catania si dolgono, inoltre, che la pena accessoria stabilita dal secondo comma dell’art. 583-quinquies cod. pen., ovvero l’interdizione perpetua dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno, essendo fissa e automatica, non consenta alcuna graduazione applicativa, costituzionalmente necessaria.

Il GUP del Tribunale di Bergamo lamenta altresì un difetto di congruità, essendo tale pena accessoria obbligatoria anche ove il reato non sia stato commesso all’interno di dinamiche familiari e affettive, rispetto alle quali soltanto avrebbe invece senso l’interdizione da uffici assistenziali, quali tutela, curatela e amministrazione di sostegno.

1.3.– I giudizi hanno a oggetto questioni largamente sovrapponibili e devono essere pertanto riuniti ai fini della decisione.

2.– Intervenuto nei tre giudizi incidentali tramite l’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato alcune eccezioni di inammissibilità, le quali vertono tuttavia sul merito dei giudizi medesimi, o finanche sul merito dei giudizi principali.

In particolare, che il fatto contestato agli imputati sia sussumibile in concreto nella fattispecie incriminatrice dell’art. 583-quinquies cod. pen. o che sia tanto grave in concreto da giustificare la severità della pena minima stabilita dal legislatore o, ancora, che l’imputato sia, nella specie, incensurato o recidivo, sono tutti profili che restano nella sfera di dominio dei giudici a quibus.

D’altro canto, attiene al merito delle questioni di legittimità costituzionale l’argomento per cui il dolo, quale elemento costitutivo del reato ex art. 583-quinquies cod. pen., giustificherebbe sia la parificazione sanzionatoria che tale norma opera tra le condotte di sfregio permanente e quelle di deformazione, sia la maggior asprezza del loro comune trattamento penale rispetto alle altre lesioni gravissime.

E investe il merito dell’incidente di costituzionalità anche l’eccezione della difesa statale relativa alla mancata indicazione di una soluzione costituzionalmente adeguata in ordine alla durata della pena accessoria. Tale eccezione, infatti, non considera che i rimettenti hanno ipotizzato anche una pronuncia ablativa che elimini del tutto la pena accessoria, di modo che la ricerca di una “linea interna” sul quantum si imporrà solo nel caso in cui risulterà necessaria in chiave sostitutiva.

Per tali ragioni, tutte le eccezioni di inammissibilità non sono fondate.

3.– All’esame del merito delle questioni giova premettere un excursus sulla nozione pretoria e sull’evoluzione normativa dello sfregio permanente e della deformazione del viso, quali eventi del reato di lesione personale.

3.1.– Il codice penale del 1889 disciplinava lo «sfregio permanente del viso» e la «permanente deformazione del viso» come circostanze aggravanti del reato di lesione personale, ma stabiliva, per esse, pene molto diverse, anzi sequenziali, giacché l’una iniziava dove finiva l’altra: per lo sfregio reclusione da uno a cinque anni, da cinque a dieci anni per la deformazione (art. 372, secondo comma, rispettivamente numeri 1 e 2).

Il codice penale del 1930 ha mantenuto la qualificazione circostanziale, ma ha unificato la pena, sicché, fino alla novella del 2019, «la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso» hanno entrambi comportato l’applicazione della reclusione da sei a dodici anni (art. 583, secondo comma, numero 4).

Nel giustificare la parificazione – e con pena maggiorata – di due fattispecie di differente gravità, il Guardasigilli addusse ragioni di politica criminale, l’intenzione di perseguire con il massimo rigore le lesioni di sfregio, espressione di una caratteristica forma di delinquenza, che diceva tipica di alcune regioni d’Italia.

3.2.– Malgrado l’equiparazione legislativa, la giurisprudenza di legittimità non ha mai deviato dal concetto che la deformazione sia offesa più grave dello sfregio, perché l’una è un’alterazione profonda della simmetria del volto, tale da causare un vero e proprio sfiguramento, mentre l’altro è un nocumento che turba l’armonia del viso, l’euritmia delle sue linee, pur senza deformarlo (Corte di cassazione, quarta sezione penale, sentenza 4 luglio-22 novembre 2000, n. 12006); accertata la sussistenza di una deformazione del viso, ogni questione sullo sfregio resta assorbita (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 21 marzo-18 luglio 2024, n. 29270).

3.3.– Il comma 1 dell’art. 12 della legge n. 69 del 2019 (nota come “legge sul codice rosso”) ha inserito l’art. 583-quinquies cod. pen., mentre il comma 3 dello stesso art. 12 ha abrogato il numero 4) dell’art. 583, secondo comma, cod. pen., in tal modo delineandosi un’operazione di trasformazione della pregressa circostanza aggravante di deformazione o sfregio in un titolo autonomo di reato (Corte di cassazione, seconda sezione penale, sentenza 6 novembre 2024-17 gennaio 2025, n. 2051).

Nonostante la rubrica dell’art. 583-quinquies («Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso») possa lasciar intendere, a prima vista, che la norma riguardi unicamente la deformazione, e non anche lo sfregio, il testo chiarisce, al primo comma, di riferirsi a entrambi gli eventi, che esso dispone in relazione di alternatività, evidenziata dalla disgiuntiva «o» («lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente del viso»).

La giurisprudenza di legittimità ha quindi messo in luce un rapporto di continuità normativa tra la precedente circostanza aggravante e la nuova fattispecie incriminatrice, quella divenuta elemento costitutivo di questa: anche nell’art. 583-quinquies cod. pen., com’era nell’art. 583, secondo comma, cod. pen., lo sfregio è ipotesi a sé rispetto alla deformazione (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 23 gennaio-13 febbraio 2024, n. 6401).

Per quanto introdotto da una legge dichiaratamente finalizzata a contrastare la violenza domestica e di genere, l’art. 583-quinquies cod. pen. descrive tuttavia un reato comune, e infatti non indica il genere della persona offesa, né l’ambito della condotta, mentre la concreta riferibilità della condotta stessa a contesti di violenza soggettivamente qualificata integra specifiche circostanze aggravanti del nuovo titolo di reato (Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 1° dicembre 2023-22 febbraio 2024, n. 7728).

Oltre che reato comune, quello di nuovo conio è un reato a forma libera, nonostante il legislatore del 2019 abbia verosimilmente inteso reagire ai frequenti episodi di sfiguramento per getto di acidi (cosiddetto vitriolage o acid throwing); invero, poiché nell’art. 583-quinquies cod. pen. il verbo «cagiona» non reca alcuna specificazione, il mezzo offensivo non fa parte degli elementi tipici della fattispecie incriminatrice, rispetto alla quale l’uso di sostanze corrosive rappresenta una circostanza aggravante (art. 585, primo comma, cod. pen., come modificato dall’art. 12, comma 4, della legge n. 69 del 2019).

3.4.– La severità del trattamento sanzionatorio della nuova fattispecie delittuosa è resa più incisiva – oltre che dalla sottrazione della stessa al giudizio di bilanciamento tra circostanze, com’è proprio dell’autonomia del titolo di reato – dall’inserimento dell’art. 583-quinquies cod. pen. negli elenchi di cui all’art. 4-bis, commi 1-quater e 1-quinquies, ordin. penit., sui cui effetti de libertate insistono i rimettenti e la parte costituita in giudizio.

Il quadro è completato dalla pena accessoria dell’interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno, prevista dal secondo comma dell’art. 583-quinquies cod. pen., che, a differenza di altre ipotesi (art. 583-bis, quarto comma, numero 2, cod. pen.), non è connessa al pregresso esercizio di tali uffici.

4.– Venendo al merito delle questioni sulla pena principale, di cui al primo comma della disposizione censurata, deve rilevarsi che le argomentazioni dei rimettenti, pur essendo volte a individuare una diversa, e inferiore, cornice edittale (quanto meno per il minimo della pena), pongono a questa Corte il tema della eccessività e della rigidità del nuovo trattamento sanzionatorio rispetto alla varietà delle condotte e degli eventi che rientrano nell’ambito di applicazione della citata disposizione.

Nei termini che seguono, le questioni sono fondate.

4.1.– L’inasprimento sanzionatorio operato dal legislatore con la trasformazione dello sfregio e della deformazione da circostanze aggravanti del reato di lesione a fattispecie delittuosa autonoma – trasformazione non posta in discussione dagli stessi rimettenti – corrisponde a una valida ratio di tutela della persona, attesa la dimensione relazionale e identitaria del volto di ciascuno.

Non può d’altronde sottovalutarsi il rilievo – sul quale ha giustamente insistito la difesa statale – che gli eventi in questione, quali elementi costitutivi di un autonomo reato doloso, sono oggi imputabili esclusivamente a titolo di dolo (per quanto generico), mentre, da circostanze aggravanti, lo erano anche a titolo di colpa, ai sensi dell’art. 59, secondo comma, cod. pen.

4.2.– L’obiettivo di assicurare una protezione specifica al tratto della personalità e della stessa identità che si manifesta nei lineamenti del viso è in grado di giustificare – dall’angolatura della discrezionalità legislativa – l’uguale trattamento penale riservato, sul piano delle misure edittali, a eventi di differente gravità, quali sono lo sfregio e la deformazione.

Il fatto stesso che tale unificazione sanzionatoria non sia stata operata dalla legge n. 69 del 2019, ma risalga alle origini del codice penale del 1930, e abbia quindi vissuto pacificamente nell’ordinamento giuridico per quasi un secolo, conferma che, per il legislatore, sulla distinzione interna tra i due eventi lesivi, prevale ciò che li accomuna, ovvero l’incidenza di entrambi sull’immagine sociale dell’individuo e sulla percezione da parte sua della propria identità.

4.3.– Sul piano della comparazione esterna, la particolare severità della pena detentiva di cui al primo comma dell’art. 583-quinquies cod. pen. non si espone a un rilievo di manifesta irragionevolezza o sproporzione.

Questo vale sia nel raffronto con le lesioni tuttora oggetto della circostanza aggravante di cui ai numeri 1), 2) e 3) del secondo comma dell’art. 583 cod. pen., sia in rapporto alla mutilazione degli organi genitali femminili punita dall’art. 583-bis cod. pen., fattispecie tutte che, pur incidendo pesantemente sull’integrità e finanche sulla dignità della persona, non ne investono tuttavia quel connotato peculiare – il volto – che il legislatore ha inteso proteggere con speciale vigore, proprio per il rilievo che esso assume nella percezione della identità da parte della persona.

4.4.– Le doglianze dei rimettenti sono tuttavia fondate perché attingono la rigidità dell’inasprimento sanzionatorio realizzatosi nella disposizione censurata.

Il minimo di otto anni di reclusione, sancito da tale disposizione, ha un tratto indubbio di particolare asprezza, che, in ragione dell’innesto su un titolo autonomo di reato, non è neppure modulabile tramite bilanciamento, com’era invece per lo sfregio e la deformazione nell’anteriore regime circostanziale.

Trattasi invero di una misura sedici volte superiore a quella stabilita dall’art. 582, primo comma, cod. pen. per il delitto di lesione personale, che, nel predetto regime, costitutiva il reato-base delle lesioni gravissime al volto.

4.5.– Questa Corte ha più volte affermato la necessità costituzionale di una “valvola di sicurezza”, che consenta al giudice di moderare l’applicazione di pene edittali di eccezionale asprezza, onde evitare che, nel caso concreto, esse risultino sproporzionate rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, quindi contrarie al principio di personalizzazione e inidonee alla funzione rieducativa.

Ciò tanto più riguardo a ipotesi di reato che – come quella oggi in discussione – hanno registrato interventi legislativi di significativo aumento degli estremi edittali della pena.

Tale orientamento è stato per la prima volta affermato con la sentenza n. 68 del 2012, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 630 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva, in relazione al delitto di sequestro di persona a scopo di estorsione, che la pena da esso comminata fosse diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità.

Nel dichiarare costituzionalmente illegittimo l’art. 167, primo comma, del codice penale militare di pace, dove non prevedeva che la pena fosse diminuita qualora il sabotaggio militare fosse di lieve entità, la sentenza n. 244 del 2022 ha fatto riferimento alla disciplina del sabotaggio comune, osservando che, in essa, la «possibilità di una diminuzione della pena fino a un terzo, rispetto a una pena minima eccezionalmente elevata come quella di otto anni di reclusione, opera come una valvola di sicurezza».

Ancora, la sentenza n. 120 del 2023, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 629 cod. pen., nella parte in cui non prevedeva, in relazione al delitto di estorsione, che la pena da esso comminata fosse diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità, ha sottolineato che «la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di moderare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza».

Le medesime argomentazioni sono state poste da questa Corte a fondamento della dichiarazione di illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 628 cod. pen. – e, in via consequenziale, del primo comma dello stesso articolo – riguardo al reato di rapina (sentenza n. 86 del 2024).

Infine, la sentenza n. 91 del 2024, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., dove non prevedeva, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori, che nei casi di minore gravità la pena fosse diminuita fino a due terzi, ha ribadito «la necessità di una “valvola di sicurezza” che, fermo il minimo edittale elevato che il legislatore nella sua discrezionalità ha voluto porre, consenta al giudice comune, attraverso la previsione di un’attenuante speciale, di graduare e “personalizzare” la pena da irrogare in concreto con riferimento ai casi di minore gravità, al fine di assicurare la proporzionalità della sanzione in una con la individualizzazione della pena e la sua finalità rieducativa».

Oltre all’asprezza del minimo edittale, il tratto comune delle fattispecie oggetto di queste pronunce è la latitudine tipica del fatto-reato, tale da abbracciare «episodi marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore» (ancora sentenza n. 68 del 2012 e, analogamente, sentenze n. 91 e n. 86 del 2024, n. 120 del 2023).

Il rilievo concerne pure l’art. 583-quinquies cod. pen., che, quantomeno per l’evento alternativo meno grave, ovvero per lo sfregio, può riferirsi anche a lesioni relativamente modeste, talora procurate in contesti di aggressività minore e occasionale, e senza dolo intenzionale, come bene illustra la varietà delle imputazioni nei giudizi a quibus.

4.6.– Il primo comma dell’art. 583-quinquies cod. pen. viola dunque i principi costituzionali di proporzionalità, personalizzazione e finalità rieducativa della pena, in quanto, per l’assenza di una “valvola di sicurezza”, al cospetto di un minimo edittale di eccezionale asprezza e di una gamma multiforme di condotte punibili, determina il rischio di irrogazione di una sanzione eccessiva in concreto, pertanto insensibile al giudizio sulla personalità del reo e inidonea allo scopo della sua risocializzazione.

Sebbene il petitum espresso nelle ordinanze di rimessione attinga direttamente gli estremi edittali della pena, la riscontrata lesione dei principi costituzionali evocati può e deve allora essere sanata tramite l’introduzione di una circostanza attenuante, che, senza stravolgere la dosimetria legislativa, restituisca alla norma la flessibilità applicativa della quale difetta.

Va infatti ribadito che spetta a questa Corte, ove ritenga fondate le questioni, individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata, non essendo vincolata dalla formulazione del petitum nell’ordinanza di rimessione, che ha solo la funzione di indicare il contenuto e il verso delle censure (da ultimo, sentenze n. 53 del 2025, n. 128, n. 90 e n. 46 del 2024).

In mancanza di una differente grandezza di riferimento (qual era, per la sentenza n. 91 del 2024, l’attenuante a effetto speciale fino a due terzi della pena, di cui agli artt. 609-bis e 609-quater cod. pen.), riguardo all’art. 583-quinquies cod. pen. il temperamento costituzionalmente imposto per i fatti di lieve entità deve essere limitato all’attenuante a effetto comune, fino a un terzo della pena (in linea con le sentenze n. 86 del 2024, n. 120 del 2023, n. 244 del 2022 e n. 68 del 2012).

5.– Sono fondate anche le questioni relative alla pena accessoria, di cui al secondo comma della disposizione censurata.

5.1.– Il GUP del Tribunale di Bergamo ritiene che non vi sia alcuna correlazione tra il reato di cui all’art. 583-quinquies cod. pen., che è un reato comune, realizzabile anche tra estranei, e l’interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno, normalmente attinenti a rapporti affettivi e familiari.

In senso contrario, può tuttavia affermarsi che il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, e senza eccedere i margini della ragionevolezza, ha creduto opportuno interdire da uffici implicanti cura e assistenza chi si sia reso responsabile di condotte dolose in pregiudizio di un essenziale bene pertinente alla persona, qual è l’identità rappresentata dal volto.

5.2.– Se non sotto il profilo della pertinenza all’oggettività giuridica della fattispecie delittuosa, la censurata disposizione sulla pena accessoria è tuttavia viziata sul piano dell’automaticità, fissità e perpetuità della sanzione.

Questa Corte ha più volte segnalato che, impedendo l’individualizzazione rispetto alla concreta gravità del fatto-reato, ogni previsione di sanzione fissa è indiziata di illegittimità costituzionale (sentenze n. 195 del 2023, n. 266 del 2022 e n. 222 del 2018).

Fin dalla sentenza n. 50 del 1980, si è fatto ricorso, ai fini del sindacato di legittimità costituzionale sulle disposizioni di pena fissa, a una prova di resistenza: «il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato» (in senso analogo, sentenze n. 195 e n. 40 del 2023, n. 266 del 2022 e n. 222 del 2018).

Orbene, la notevole latitudine della descrizione tipica del reato ex art. 583-quinquies cod. pen. – già sottolineata riguardo alla pena principale – induce a ritenere che possano a essa ricondursi condotte, più tenui delle altre, rispetto alle quali l’applicazione automatica e la durata indefinita della pena accessoria risultino ingiustificate.

Segnatamente, la perpetuità della pena accessoria è priva di giustificazione, una volta riconosciuta la necessità costituzionale della valvola di moderazione della pena principale, tranne ipotizzare un nesso – che sarebbe tuttavia incompatibile con la finalità rieducativa della pena – tra la permanenza dello sfregio e la permanenza della sanzione.

5.3.– La riconduzione a legittimità del secondo comma dell’art. 583-quinquies cod. pen. è assicurata dall’elisione dei tratti di rigidità – obbligatorietà e perpetuità – contrari ai canoni di proporzionalità, personalizzazione e funzione rieducativa della pena.

Accertata la commissione del reato in questione, la pena accessoria dell’interdizione dagli uffici di tutela, curatela e amministrazione di sostegno può dunque essere irrogata dal giudice, nella misura determinata in base ai criteri discrezionali di cui all’art. 133 cod. pen., nel rispetto del limite massimo di dieci anni, stabilito dall’art. 79, primo comma, numero 1), cod. pen. per l’interdizione temporanea dai pubblici uffici (tali essendo gli uffici assistenziali di che trattasi: Corte di cassazione, sesta sezione penale, sentenze 12 novembre-3 dicembre 2014, n. 50754, e 4 febbraio-4 giugno 2014, n. 23353).

6.– In definitiva, va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 583-quinquies cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27, commi primo e terzo, Cost., nella parte in cui: 1) al primo comma, non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità; 2) al secondo comma, dispone «comporta l’interdizione perpetua», anziché «può comportare l’interdizione».

 

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