Corte costituzionale, sentenza 20 giugno 2025, n. 84
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma l, della legge della Regione Sardegna 20 agosto 2024, n. 12 (Modifiche alla legge regionale n. 5 del 2023 in materia di assistenza primaria), promossa in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché agli artt. 3, 4 e 5 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dal Presidente del Consiglio dei ministri.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con il ricorso indicato in epigrafe (reg. ric. n. 39 del 2024), il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma l, della legge reg. Sardegna n. 12 del 2024, nella parte in cui inserisce il comma 2-ter nell’art. 1 della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, relativamente al solo suo secondo periodo, per violazione delle competenze statutarie attribuite alla suddetta Regione autonoma dagli artt. 3, 4 e 5 dello statuto speciale e della competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Il citato comma 2-ter testualmente dispone che «[l]e ASL, allo scopo di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio e con la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l’assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione, sono autorizzate a fornire a tutti i medici impegnati nei progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale i ricettari».
E precisa, al censurato secondo periodo, che «[l]a disposizione è, altresì, applicabile ai medici in quiescenza che abbiano aderito ai progetti aziendali di assistenza primaria e continuità assistenziale, anche con contratti libero professionali, laddove non sia garantita la completa copertura delle cure primarie, per assicurarne le medesime funzioni, per le sole attività e limitatamente ai pazienti degli ambiti territoriali riferibili ai predetti progetti, sino al 31 dicembre 2024».
A parere del ricorrente, la disposizione impugnata consentirebbe al medico di medicina generale in quiescenza «di riprendere, di fatto, funzioni analoghe – per natura e strumenti impiegati – a quelle che aveva prima del pensionamento». Così disponendo, il legislatore sardo avrebbe ecceduto dalle competenze di cui agli artt. 3, 4 e 5 dello statuto speciale e avrebbe invaso la competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, che riserva alla contrattazione collettiva la disciplina del rapporto di lavoro del personale medico di medicina generale. La disposizione impugnata, infatti, contrasterebbe con «la normativa statale di riferimento» e con l’art. 21, comma 1, lettera j), dell’Accordo collettivo nazionale del 2024, il quale stabilisce che è incompatibile con lo svolgimento delle attività previste da quest’ultimo il medico che fruisca di trattamento di quiescenza come disciplinato dalla normativa vigente.
2.– Prima di procedere all’esame nel merito della questione promossa, va innanzitutto ricordato che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il rapporto convenzionale dei medici di medicina generale costituisce un rapporto privatistico di lavoro autonomo di tipo professionale con la pubblica amministrazione, che si configura in termini di “parasubordinazione” (fra le più recenti, sentenze n. 124 del 2023 e n. 106 del 2022 e, in precedenza, n. 157 del 2019 e n. 186 del 2016).
Si è altresì chiarito che tale rapporto, pur se inquadrabile nella categoria della parasubordinazione, «condivide con il lavoro pubblico contrattualizzato l’esigenza di uniformità sottesa all’integrazione tra normativa statale e contrattazione collettiva nazionale, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992, sicché la relativa disciplina appartiene all’ordinamento civile, di competenza esclusiva del legislatore statale, restando precluso al legislatore regionale di regolamentare in via autonoma il trattamento economico e giuridico del rapporto in convenzionamento (tra molte, sentenze n. 106 del 2022 e n. 157 del 2019)» (così, da ultimo, la sentenza n. 124 del 2023). Sempre in via preliminare, va ribadito che, in virtù della costante applicazione del discrimine tra la materia dell’ordinamento civile e quella residuale dell’organizzazione amministrativa regionale, alle regioni non è precluso adottare interventi legislativi inerenti all’organizzazione sanitaria, in quanto quest’ultima è componente essenziale della competenza legislativa in materia di tutela della salute (fra le molte, sentenze n. 112 del 2023, n. 113 e n. 9 del 2022 e n. 54 del 2015).
Questa Corte ha poi precisato che, per individuare l’ambito materiale cui afferisce la disposizione impugnata, occorre tener conto della ratio, delle finalità perseguite e del suo contenuto, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, in modo da identificare precisamente l’interesse tutelato, secondo il cosiddetto criterio di prevalenza (fra le più recenti, sentenze n. 94 e n. 26 del 2024, n. 124 e n. 6 del 2023).
In applicazione di tale criterio, si è quindi esclusa la dedotta violazione della competenza esclusiva statale in materia di ordinamento civile, quando le impugnate disposizioni regionali, pur afferenti a profili del rapporto in convenzione dei medici di medicina generale, siano dettate in via prioritaria da esigenze organizzative, producendo effetti solo secondari sull’andamento dei rapporti convenzionali.
In tal senso, la sentenza n. 112 del 2023, concernente una disposizione della Regione Veneto che incideva su modalità di impiego di medici specializzandi presso le strutture ospedaliere di emergenza-urgenza, ha affermato che «[i]n questo modo, il legislatore regionale appronta un rimedio organizzativo straordinario finalizzato a garantire la continuità assistenziale in un settore nevralgico, come quello della medicina di emergenza, altrimenti pregiudicato dalla carenza di personale sanitario», e che la disposizione impugnata «investe, quindi, un ambito strettamente inerente all’organizzazione sanitaria, la quale, come ripetutamente affermato […] costituisce componente fondamentale della tutela della salute (ex aliis, sentenze n. 113 e n. 9 del 2022, n. 192 del 2017)».
Sulla stessa linea, la sentenza n. 124 del 2023 ha poi dichiarato non fondata la questione relativa a un intervento normativo della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, che ha previsto un criterio preferenziale ai fini del trasferimento dei medici convenzionati ulteriore rispetto a quelli fissati dalla contrattazione collettiva. Si è, in quell’occasione, riconosciuto che «la disposizione regionale ha anzitutto una ratio organizzativa, in funzione di tutela della salute, che persegue cercando di assicurare la medicina di prossimità anche agli abitanti delle zone carenti».
Da ultimo, nella sentenza n. 26 del 2024, questa Corte ha escluso la dedotta violazione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile a opera della normativa della Regione autonoma della Sardegna che – nelle more dell’approvazione di un accordo integrativo regionale di categoria – ha consentito al medico di medicina generale di innalzare, su base volontaria, il massimale fino al limite di 1.800 assistiti. In quell’occasione si è specificamente affermato, infatti, che «la ratio, la finalità e i contenuti della disposizione impugnata», avente carattere contingente e temporaneo (ossia in attesa della possibilità di tale innalzamento ad opera dell’accordo integrativo regionale), «conducono a identificare l’interesse da essa tutelato in via prioritaria nell’esigenza di organizzare il servizio sanitario regionale in modo da non lasciare i cittadini sprovvisti di assistenza medica di base».
La medesima pronuncia ha chiarito, poi, che la «disciplina del rapporto in convenzione dei medici dell’assistenza primaria deve […] necessariamente confrontarsi con gli effetti che essa produce nei confronti del diritto dei cittadini alla tutela della salute, in attuazione dell’art. 32 Cost.».
3.– La questione non è fondata. Alla luce dei richiamati approdi della giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi, anche per la fattispecie in esame, la dedotta invasione della competenza legislativa statale in materia di ordinamento civile.
La disposizione impugnata ha, invero, chiaramente una ratio organizzativa, in funzione della tutela della salute, cercando di assicurare l’assistenza primaria ai cittadini residenti in zone disagiate e sprovviste del medico di medicina generale. L’art. 1, comma 2-ter, della legge reg. Sardegna n. 5 del 2023, inserito dalla disposizione impugnata, opera, infatti, nel più ampio contesto della strategia della Regione, volta a far fronte alla situazione di crisi dell’assistenza primaria, che – come ricorda la stessa resistente – ha visto l’avvio degli ASCOT, ossia di progetti, attivabili dalle ASL, tesi a garantire tale assistenza nei territori dove vi sia carenza di medici di medicina generale. Del resto, nello stesso testo del comma 2-ter è chiaramente indicata la matrice finalistica che ha mosso il legislatore regionale; vi si legge, infatti, che lo «scopo» è quello «di garantire uniformi livelli essenziali di assistenza nel territorio», con «la prioritaria finalità di individuare misure organizzative atte ad assicurare l’assistenza sanitaria di base ai cittadini di aree disagiate della Regione».
La disciplina regionale si configura, quindi, «come un rimedio organizzativo straordinario finalizzato a assicurare la completa copertura delle cure primarie, altrimenti pregiudicato dalla assenza nelle aree più disagiate di medici delle cure primarie» (così nella delibera della Giunta della Regione autonoma della Sardegna 17 luglio 2024, n. 25/16, recante «Indicazioni operative per il reclutamento del personale sanitario atte a fronteggiare l’emergenza stagionale nei pronto soccorso dei presidi ospedalieri e nelle unità operative con maggiore criticità delle aziende del sistema sanitario regionale e approvazione disegno di legge concernente “Modifiche alla legge regionale 5 maggio 2023, n. 5 (Disposizioni urgenti in materia di assistenza primaria)”», che ha autorizzato il progetto di legge che, con l’impugnato art. 1, comma 1, ha introdotto il citato comma 2-ter).
Ciò chiarito, non sussiste il denunciato contrasto tra l’art. 21, comma 1, lettera j), dell’ACN e la norma regionale impugnata, la quale non è neppure elusiva della disciplina della medicina generale, considerata nel suo complesso. Come correttamente dedotto dalla resistente, la disposizione regionale impugnata non consente ai medici di medicina generale in quiescenza di rientrare nei ruoli dell’assistenza primaria e, di conseguenza, non dispone né la possibilità di assegnazione di sedi vacanti, né l’applicazione della vasta gamma di diritti e obblighi previsti dall’ACN, ma si è limitata a legittimare le ASL a instaurare, sino al 31 dicembre 2024, anche con tali soggetti un rapporto libero professionale, al solo fine di farli operare nell’ambito dei progetti ASCOT e di assicurare le prestazioni da questi erogate ai pazienti degli ambiti territoriali a essi riferibili.
La ratio organizzativa non è poi smentita dalla circostanza, dedotta dall’Avvocatura generale dello Stato, che tali soggetti svolgono di fatto funzioni che la legge e la convenzione assegnano ai medici di medicina generale. A interpretare correttamente la disposizione impugnata, anche alla luce del contesto in cui è chiamata a operare, il ricorso ai medici di medicina generale in quiescenza trova la propria giustificazione nella circostanza che la grave carenza di medici in convenzione non consente, facendo ricorso a tali professionisti, di assicurare, anche nei progetti ASCOT (a tal fine espressamente istituiti), l’assistenza primaria e la continuità assistenziale ai cittadini di aree disagiate.
L’impugnata disciplina regionale è, pertanto, una risposta all’impossibilità di ricorrere ai medici di medicina generale regolarmente in convenzione per assicurare le prestazioni «essenziali» riconducibili a tali ambiti di assistenza, necessarie a garantire «la qualità e l’indefettibilità del servizio, ogniqualvolta un individuo dimorante sul territorio regionale si trovi in condizioni di bisogno rispetto alla salute» (sentenza n. 62 del 2020).
Alla luce del richiamato contesto normativo e giurisprudenziale non si può non ribadire che rientra nella «responsabilità organizzativa dell’ente territoriale» (sentenza n. 124 del 2023) l’adozione di misure volte a dare risposta a situazioni di accertata criticità nella fruizione dei livelli essenziali di assistenza primaria, al fine di assicurare l’effettivo godimento del diritto alla salute.
4.– Questa Corte è consapevole, e certo non vuole disconoscere, che la negoziazione collettiva e la vincolatività delle prescrizioni dell’ACN sono volte ad assicurare la necessaria uniformità regolatoria del rapporto di lavoro convenzionale dei medici di medicina generale, allo scopo di garantire l’omogeneità, sull’intero territorio nazionale, della fruizione dei LEA che la medicina convenzionata è chiamata a erogare. Tuttavia, ritenere che alle regioni sia preclusa l’adozione di misure organizzative straordinarie volte a dare una pronta risposta alle criticità nella fruizione dei livelli essenziali di assistenza primaria, per di più con una valenza temporalmente circoscritta, allorché potrebbero avere effetti secondari o riflessi sul convenzionamento, equivale a impedire alle stesse di intervenire con propri strumenti per evitare che tali contingenti criticità determinino il sacrificio dell’effettività del fondamentale diritto alla salute, privandolo del nucleo invalicabile di garanzie minime.
5.– Per le ragioni che precedono, la disposizione impugnata, per la sua finalità e per i suoi intrinseci contenuti, va ricondotta alla competenza legislativa della Regione autonoma della Sardegna nella materia «tutela della salute», in riferimento ai profili organizzativi dell’assistenza primaria. Non è pertanto fondata la censura relativa alla lesione della competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile». 6.– Il rigetto del ricorso esonera, infine, questa Corte dall’affrontare la richiesta di autorimessione della questione sull’art. 2-bis, comma 5, del d.l. n. 18 del 2020, come convertito.