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Home Diritto Penale

Stranieri – Diritti fondamentali – Mancanza di mezzi e diniego del permesso di soggiorno, non sussiste alcuna violazione della CEDU

by Dott. Alessio Alfieri
20 Agosto 2025
in Diritto Penale
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Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Quinta Sezione, sentenza 17 luglio 2025 (Application no. 5212/23)

PRINCIPIO DI DIRITTO

In base al consolidato diritto internazionale e fatti salvi gli obblighi derivanti dai trattati, gli Stati hanno il diritto di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri. La Convenzione non garantisce il diritto di uno straniero di entrare o risiedere in un determinato Paese, né implica un obbligo generale per uno Stato di autorizzare il soggiorno di un cittadino straniero sul proprio territorio […] la Corte non ritiene irragionevole la posizione assunta dai giudici nazionali secondo cui, in linea di principio, un richiedente che chiede un permesso di soggiorno per motivi di integrazione sociale deve dimostrare di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti senza dover ricorrere a prestazioni sociali.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. ASSERITA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
  2. Il ricorrente lamentava che il rifiuto di concedergli un permesso di soggiorno temporaneo per circostanze eccezionali basate sull’integrazione sociale costituiva una violazione della sua vita familiare, in violazione dell’articolo 8 della Convenzione. Tale disposizione recita quanto segue: “1. Ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.”
  3. La Corte rileva che il ricorso non è manifestamente infondato né irricevibile per alcun altro motivo elencato nell’articolo 35 della Convenzione. Deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
  4. Il ricorrente ha sostenuto che il rifiuto di concedergli un permesso di soggiorno per circostanze eccezionali aveva leso il suo diritto al rispetto della vita familiare, in particolare che il rifiuto gli aveva di fatto impedito di vivere insieme al figlio minorenne e di prendersi cura di lui.

Ha sostenuto che il rifiuto era privo di fondamento giuridico. Come dimostrato nel procedimento giudiziario, aveva avuto risorse finanziarie sufficienti ai sensi delle leggi pertinenti, ovvero i benefici che percepiva all’epoca.

Il suo caso (un permesso di soggiorno temporaneo per motivi di residenza nel Paese) rientrava nell’articolo 31(3) della Legge organica n. 4/2000, e non nell’articolo 31(2) relativo a un permesso iniziale di soggiorno temporaneo che conteneva il requisito per i richiedenti di disporre di “mezzi sufficienti per sé stessi”. L’articolo 124 § 2 applicabile del Regio Decreto n. 557/2011 ha utilizzato il termine “risorse finanziarie sufficienti” (cfr. paragrafo 39 sopra), e né la LOEX, né il Regio Decreto, né alcuna altra disposizione nazionale (cfr. paragrafi 32 e 38 sopra), hanno spiegato il significato esatto di tale termine, né hanno consentito di distinguere tra diverse origini di risorse finanziarie.

  1. Ha inoltre sostenuto che l’ingerenza non aveva perseguito nessuno degli scopi legittimi ai sensi dell’articolo 8 § 2 della Convenzione e che l’ingerenza non era necessaria in una società democratica.

L’interesse generale del controllo delle migrazioni non avrebbe dovuto prevalere sul superiore interesse del minore, nonché sul diritto del ricorrente alla vita privata e familiare. Il ricorrente ha sostenuto che i tribunali non avevano dato il dovuto peso al superiore interesse del minore, ovvero il figlio minorenne gravemente disabile affetto da una malattia mentale. Citando vari strumenti di diritto europeo e internazionale, così come la giurisprudenza della Corte, il ricorrente ha sottolineato che il diritto a vivere insieme per sviluppare normali relazioni familiari era una componente essenziale della vita familiare. Una volta accertata l’esistenza di un legame familiare, lo Stato doveva agire in modo da consentire a tale legame di svilupparsi.

Sebbene l’articolo 8 non garantisca il diritto a un particolare tipo di permesso di soggiorno, la soluzione proposta dalle autorità dovrebbe comunque consentire all’individuo di esercitare i propri diritti alla vita privata e familiare senza ostacoli (ha fatto riferimento a B.A.C. c. Grecia, n. 11981/15, § 35, 13 ottobre 2016). Tuttavia, le autorità, pur concedendo il diritto di soggiorno al figlio disabile del ricorrente, avevano negato tale diritto al ricorrente stesso. Invece di valutare attentamente le circostanze specifiche del caso, e in particolare la situazione di particolare vulnerabilità della famiglia, le autorità avevano adottato un approccio formalistico al suo caso.

  1. Infine, secondo il ricorrente, le autorità non avevano agito con diligenza in un caso riguardante una persona altamente vulnerabile, come richiesto dal principio di buona amministrazione.

Qualora avessero ritenuto che il caso del ricorrente potesse essere coperto da un altro tipo di permesso di soggiorno più adatto alla sua situazione (al momento della sua domanda di permesso nel 2018), avrebbero dovuto informarlo di conseguenza e indirizzarlo alla procedura pertinente. Il fatto che la moglie del ricorrente avesse ricevuto un permesso di soggiorno per motivi di formazione, ai sensi della legge in vigore dal 2022, era irrilevante, poiché l’interesse superiore del minore e i suoi diritti avrebbero dovuto prevalere nella decisione del caso dinanzi alla Corte.

  1. Il Governo ha ammesso che il rifiuto dell’autorizzazione temporanea a soggiornare nel territorio nazionale in cui risiedevano il figlio e il coniuge costituiva un’ingerenza nei diritti del ricorrente tutelati dall’articolo 8. Tuttavia, l’ingerenza era stata conforme alla legge, in particolare all’articolo 31 della legge organica n. 4/2000 (cfr. paragrafo 32 e articoli 47 e 124 del regio decreto n. 557/2011, ed era conforme alla normativa europea che stabilisce il criterio dei “mezzi di sussistenza sufficienti”.

L’ingerenza era stata inoltre necessaria in una società democratica e proporzionata all’obiettivo legittimo perseguito. Le autorità nazionali non avevano ecceduto il margine di apprezzamento loro concesso. Il ricorrente non aveva soddisfatto uno dei requisiti per lo specifico tipo di permesso di soggiorno per il quale aveva fatto domanda; il fatto di percepire un reddito da assistenza sociale non era stato sufficiente a dimostrare di aver avuto mezzi di sussistenza sufficienti. Il Governo ha sottolineato che il requisito di dimostrare di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti era un elemento chiave della politica volta a regolare i flussi migratori e a impedire il sovraccarico del sistema di assistenza sociale. Il diniego nel caso del ricorrente non era basato su motivi procedurali formalistici.

Le autorità avevano tenuto in considerazione le circostanze rilevanti del caso e la situazione della famiglia del ricorrente. Ad esempio, gli era stata concessa un’esenzione dall’obbligo di presentare un contratto di lavoro, che non lo aveva tuttavia esonerato dall’obbligo di dimostrare di aver avuto mezzi di sussistenza sufficienti. Avevano correttamente osservato che la coniuge del ricorrente era disoccupata (il Governo faceva riferimento a tal proposito al permesso di soggiorno per motivi di formazione rilasciato alla moglie) e pertanto era stata in grado di prendersi cura del figlio.

Il Governo ha sottolineato che il rifiuto di concedere al ricorrente il permesso di soggiorno richiesto non aveva influito sulla situazione amministrativa del figlio, che risiedeva legalmente in Spagna, né lo aveva “costretto a lasciare il Paese”; anzi, il figlio aveva sempre vissuto con i genitori, indipendentemente dal diniego del permesso di soggiorno rilasciato al padre.

  1. Infine, hanno sottolineato che il ricorrente avrebbe potuto presentare domanda per altri tipi di permessi di soggiorno, come un permesso di soggiorno temporaneo per circostanze eccezionali non previste dal Regio Decreto (hanno fatto riferimento al paragrafo 4 della Prima Disposizione Aggiuntiva del Regio Decreto n. 557/2011).

Hanno sostenuto che avrebbe potuto presentare tale domanda in quanto padre di un minore in possesso di un permesso di soggiorno rilasciato per motivi di salute, a causa di una grave malattia; e che la procedura di richiesta era piuttosto semplice, subordinata alla presentazione di un modulo standardizzato, di un certificato del casellario giudiziale e di documenti a un’autorità competente.

 Hanno inoltre sostenuto che il ricorrente avrebbe potuto presentare una richiesta per un permesso di soggiorno per motivi di formazione, simile a quello concesso a sua moglie. Tuttavia, per una ragione inspiegabile, non l’aveva fatto. Sebbene la concessione di tale permesso rientrasse nella discrezionalità dell’autorità competente, il richiedente non aveva sostenuto che non avesse a disposizione né quelle né altre modalità alternative per regolarizzare la sua situazione in Spagna.

  1. Non vi è stata controversia tra le parti e la Corte è convinta che il rapporto tra il ricorrente, suo figlio e sua moglie costituisca “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 § 1 della Convenzione.
  2. La Corte ribadisce che, in base al consolidato diritto internazionale e fatti salvi gli obblighi derivanti dai trattati, gli Stati hanno il diritto di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri. La Convenzione non garantisce il diritto di uno straniero di entrare o risiedere in un determinato Paese, né implica un obbligo generale per uno Stato di autorizzare il soggiorno di un cittadino straniero sul proprio territorio. Laddove uno Stato contraente tolleri la presenza di uno straniero sul proprio territorio, consentendogli di attendere una decisione su una domanda di permesso di soggiorno, un ricorso contro tale decisione o una nuova domanda di permesso di soggiorno, tale Stato contraente consente allo straniero di partecipare alla società del Paese ospitante, di instaurare relazioni e di creare una famiglia. Tuttavia, ciò non implica automaticamente che le autorità dello Stato contraente siano tenute, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, a consentirgli di stabilirsi nel proprio Paese.

Analogamente, mettere di fronte alle autorità del Paese ospitante la vita familiare come un fatto compiuto non implica che tali autorità siano, di conseguenza, tenute all’obbligo, ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, di consentire al richiedente di stabilirsi nel Paese. La Corte ha già affermato che, in generale, le persone che si trovano in tale situazione non hanno alcun diritto di aspettarsi che venga loro conferito un diritto di soggiorno (ibidem, § 103). Né l’articolo 8 può essere interpretato come garantisce, in quanto tale, il diritto di ottenere un permesso di soggiorno e, a fortiori, un particolare tipo di permesso di soggiorno; la scelta del permesso è in linea di principio una questione di competenza delle autorità nazionali.

  1. Tuttavia, sebbene l’obiettivo essenziale dell’articolo 8 sia quello di proteggere l’individuo dall’azione arbitraria delle autorità pubbliche, possono in aggiunta sussistere obblighi positivi inerenti all’effettivo “rispetto” della vita familiare. In un caso che riguardi sia la vita familiare che l’immigrazione, la portata degli obblighi di uno Stato varierà a seconda delle circostanze particolari delle persone coinvolte e dell’interesse generale.

La Corte ribadisce che i confini tra gli obblighi positivi e negativi dello Stato ai sensi dell’articolo 8 non si prestano a una definizione precisa e che i principi applicabili sono simili. In entrambi i contesti si deve tenere conto del giusto equilibrio che deve essere raggiunto tra gli interessi contrastanti dell’individuo e della comunità nel suo complesso; e in entrambi i contesti lo Stato gode di un certo margine di apprezzamento.

I fattori da considerare nel contesto di casi che riguardano non solo la vita familiare, ma anche l’immigrazione, sono esposti in Jeunesse. In particolare, quando sono coinvolti minori, il loro interesse superiore deve essere tenuto in considerazione. Su questo punto, la Corte ha rilevato in Jeunesse che esiste un ampio consenso, anche nel diritto internazionale, a sostegno dell’idea che in tutte le decisioni riguardanti i minori, il loro interesse superiore sia di fondamentale importanza. Sebbene da soli non possano essere decisivi, a tali interessi deve certamente essere attribuito un peso significativo. Di conseguenza, gli organi decisionali nazionali dovrebbero, in linea di principio, prendere in considerazione e valutare le prove relative alla praticità, fattibilità e proporzionalità di qualsiasi allontanamento di un genitore non nazionale, al fine di garantire una protezione efficace e un peso sufficiente al superiore interesse dei minori direttamente interessati.

  1. I giudici nazionali devono addurre motivazioni specifiche alla luce delle circostanze del caso, non da ultimo per consentire alla Corte di esercitare la supervisione europea ad essa affidata.

Laddove la motivazione delle decisioni nazionali sia insufficiente e gli interessi in gioco non siano stati ponderati, si verificherà una violazione dei requisiti dell’articolo 8 della Convenzione.

Laddove, invece, i giudici nazionali abbiano attentamente esaminato i fatti, applicato le norme pertinenti in materia di diritti umani in conformità con la Convenzione e la giurisprudenza della Corte e abbiano adeguatamente ponderato gli interessi individuali con l’interesse pubblico in un caso, la Corte avrebbe bisogno di solide motivazioni per sostituire la propria opinione a quella dei giudici nazionali (cfr. M.A. c. Danimarca [GC], n. 6697/18, § 149, 9 luglio 2021, con ulteriori riferimenti).

  1. Il ricorrente risiedeva in Spagna dal 2005, ovvero da circa tredici anni, al momento della sua richiesta di permesso di soggiorno. Le parti non hanno fornito dettagli sull’ingresso del ricorrente nel territorio spagnolo. Tuttavia, è pacifico – e si può anche dedurre dal materiale del caso, comprese le relazioni sociali– che egli si fosse trovato in una situazione irregolare almeno fino alla nascita del figlio, e che fosse rimasto in tale situazione per anni prima della sua richiesta “iniziale” di permesso di soggiorno, dopo diversi anni di residenza effettiva.
  2. Il suo soggiorno in Spagna non può quindi essere equiparato a un soggiorno legittimo quando le autorità hanno concesso allo straniero il permesso di stabilirsi nel loro Paese (vedi Jeunesse, cit., § 102).
  3. La Corte rileva inoltre che il rifiuto iniziale del permesso di soggiorno nel 2018 conteneva un’indicazione che il ricorrente doveva lasciare la Spagna entro un termine specificato. Tuttavia, in assenza di prove contrarie, risulta inoltre che al momento dell’esame del caso da parte della Corte non fosse pendente alcuna procedura di allontanamento, né tantomeno un provvedimento di allontanamento definitivo.

Come emerge dall’ultimo rapporto sociale, il ricorrente viveva in Spagna con la sua famiglia nel dicembre 2023, vale a dire anni dopo che la sua richiesta di permesso di soggiorno era stata respinta nel procedimento interno. Il ricorrente era quindi effettivamente in grado di rimanere in Spagna per tutto il periodo in questione. Egli non ha dimostrato dinanzi alla Corte di trovarsi di fronte a un rischio reale e imminente di allontanamento dalla Spagna. Né è stato sostenuto che fosse solo questione di tempo prima che fosse costretto ad andarsene.

Inoltre, alla luce delle disposizioni interne, la Corte osserva che l’applicazione di una misura come l’allontanamento obbligatorio non è automatica; essa rientra nella discrezionalità delle autorità, implica un esame preventivo di tutti gli aspetti rilevanti del caso in procedimenti separati ed è suscettibile di ricorso.

Inoltre, qualora nel frattempo venisse emesso un ordine di allontanamento nei confronti del ricorrente, quest’ultimo, secondo il diritto interno, potrebbe impugnarlo dinanzi ai tribunali sollevando gli argomenti pertinenti, anche ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione, e le autorità interne sarebbero in grado di esaminare tali osservazioni.

  1. Inoltre, per quanto riguarda l’argomentazione del ricorrente secondo cui il rifiuto del permesso di soggiorno avrebbe avuto ripercussioni sull’interesse superiore del minore, la Corte riconosce che il reciproco godimento da parte di genitore e figlio della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale della “vita familiare” ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.

Tuttavia, allo stato attuale, non vi è stata alcuna interruzione della vita familiare del ricorrente. È pacifico che fin dalla sua infanzia, incluso il periodo precedente alla regolarizzazione del suo status di immigrazione nel 2019, il figlio del ricorrente ha ricevuto assistenza sanitaria e specialistica adeguata alle sue condizioni indubbiamente gravi; che ha frequentato la scuola e che ha avuto accesso alle prestazioni sociali e ad altri servizi sociali essenziali in Spagna.

Il ricorrente non è stato in grado di dimostrare perché, una volta respinta la sua domanda di permesso di soggiorno, non sia più stato in grado di agire come rappresentante legale del minore né di prendersene cura.

  1. Infine, anche supponendo che il rifiuto di concedergli un permesso di soggiorno avrebbe potuto in futuro rendere incerto il suo godimento della vita familiare in Spagna e suscettibile di essere interrotto qualora fosse stata avviata nei suoi confronti una procedura di allontanamento obbligatorio, la Corte osserva che il procedimento interno che ha condotto al presente ricorso riguardava solo la questione se il ricorrente avesse diritto a uno specifico permesso di soggiorno temporaneo per circostanze eccezionali basate sul “radicamento sociale” (attraverso l’integrazione sociale).
  2. Di conseguenza, la Corte ritiene che la questione da esaminare nel presente caso sia se, tenuto conto delle circostanze personali del ricorrente, rifiutando di accogliere la sua richiesta, così come formulata, lo Stato convenuto abbia violato un obbligo positivo ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione.
  3. La Corte rileva che l’argomentazione del ricorrente è essenzialmente duplice: in primo luogo, egli sosteneva che il diniego del permesso di soggiorno era privo di fondamento legale e, in secondo luogo, che le autorità nazionali non avevano proceduto debitamente a un attento bilanciamento degli interessi individuali e pubblici in questione e non avevano determinato correttamente tutte le circostanze rilevanti relative alla sua situazione familiare.
  4. La Corte rileva in primo luogo che la Subdelegazione e successivamente i tribunali nazionali si sono basati sull’articolo 31 della Legge organica n. 4/2000 e sugli articoli 47 e 124 del Regio Decreto n. 557/2011, che stabiliscono i criteri di ammissibilità per il tipo di permesso di soggiorno pertinente.

La Corte rileva inoltre che le conclusioni dei tribunali nazionali erano pienamente in linea con la giurisprudenza nazionale consolidata in materia di questioni analoghe e spiegavano, in dettaglio, perché un solo riferimento alla percezione di prestazioni sociali (e in particolare del reddito di base) non soddisfacesse il criterio dei “mezzi sufficienti” ai fini di una domanda di permesso di soggiorno per motivi eccezionali attraverso l’integrazione sociale.

La Corte non può pertanto accogliere l’argomentazione del ricorrente secondo cui le decisioni interne nel suo caso erano prive di fondamento giuridico o secondo cui le disposizioni giuridiche pertinenti erano imprevedibili nella loro applicazione.

  1. Passando all’esercizio di bilanciamento effettuato dai tribunali nazionali, la Corte osserva che i tribunali nazionali hanno spiegato l’interesse generale alla base dell’obbligo di presentare la prova di risorse sufficienti senza ricorrere alle prestazioni sociali, ovvero, secondo la giurisprudenza della Corte, l’interesse di controllare l’immigrazione nell’interesse generale del benessere economico del Paese.

Come rilevato dai tribunali, il ricorrente ha scelto di regolarizzare il suo status attraverso una domanda di permesso di soggiorno temporaneo per circostanze eccezionali attraverso l’integrazione sociale, senza svolgere attività lavorativa. La corte d’appello ha ribadito che la sezione pertinente del LOEX applicabile al caso di specie costituiva un mezzo per regolarizzare lo status dei cittadini stranieri che avevano soggiornato illegalmente in Spagna, senza obbligarli a lasciare il territorio spagnolo per richiedere la necessaria autorizzazione. Tuttavia, quando i cittadini stranieri presentavano domanda di tale permesso di soggiorno, era essenziale che dimostrassero di disporre di mezzi sufficienti per sostenersi nel Paese senza diventare un onere per l’erario pubblico, come uno degli aspetti della loro integrazione sociale. La corte d’appello ha inoltre osservato, facendo riferimento alla sua giurisprudenza consolidata, che, in linea di principio, il beneficio delle prestazioni sociali avrebbe potuto essere accettato se il ricorso a tali prestazioni fosse stato circostanziale e conseguente a una perdita temporanea dei propri mezzi di sussistenza – il che, tuttavia, non si verificava nel caso della ricorrente.

  1. Tenendo presente che allo Stato è solitamente concesso un ampio margine di discrezionalità quando si tratta di misure generali di strategia economica o sociale la Corte non ritiene che tale valutazione sia stata carente dal punto di vista dell’articolo 8 della Convenzione.

Nel contesto delle richieste di ricongiungimento familiare, la Corte ha già ritenuto che non fosse irragionevole che un rifugiato sponsor fosse tenuto a dimostrare di disporre di un reddito autonomo e stabile sufficiente, senza dover ricorrere a prestazioni sociali, per far fronte alle spese di sostentamento di base dei familiari con cui chiede il ricongiungimento.

Nel caso di specie, sebbene la giurisprudenza pertinente in materia di ricongiungimento familiare non possa essere direttamente trasposta a casi come quello in esame, la Corte non ritiene irragionevole la posizione assunta dai giudici nazionali secondo cui, in linea di principio, un richiedente che chiede un permesso di soggiorno per motivi di integrazione sociale deve dimostrare di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti senza dover ricorrere a prestazioni sociali.

  1. Ciò premesso, la Corte esaminerà l’argomento chiave del ricorrente relativo all’incapacità delle autorità di dimostrare sufficiente flessibilità e di tenere conto delle circostanze specifiche del ricorrente, come la grave malattia del figlio, che ha causato disabilità e un’elevata dipendenza dai genitori, nonché la necessità del ricorrente di fornire assistenza costante al figlio.
  2. La Corte non accoglie l’argomentazione del Governo secondo cui i tribunali nazionali avrebbero preso in considerazione il permesso di soggiorno per formazione della moglie del ricorrente. Tale permesso le sarebbe stato concesso solo nel 2023, in base alla modifica del Regio Decreto del 2022, vale a dire dopo che le sentenze nazionali in questione erano state pronunciate.
  3. Tuttavia, sebbene la motivazione delle sentenze nazionali appaia succinta, la Corte ritiene che i tribunali nazionali abbiano preso in considerazione la situazione personale e familiare del ricorrente, inclusa quella del figlio. Non si può affermare che l’approccio dei tribunali nazionali in questo caso sia stato eccessivamente formalistico.

I tribunali hanno respinto l’argomentazione del ricorrente relativa alla sua incapacità lavorativa, rilevando che anche la madre del bambino risiedeva in Spagna senza apparentemente essere occupata al momento dei fatti – un aspetto che, come osserva la Corte, è stato omesso dal ricorrente nelle sue osservazioni di appello ai tribunali nazionali. I tribunali nazionali hanno concluso che il secondo genitore avrebbe potuto prendersi cura del figlio. Tenendo presente che il compito di valutare l’interesse superiore del minore in ogni singolo caso spetta principalmente alle autorità nazionali, la Corte non vede alcun motivo per discostarsi da tale valutazione.

I tribunali nazionali avevano a loro disposizione, in particolare, la relazione medica, redatta su richiesta della famiglia del ricorrente nel 2017, dalla quale emergeva che a quel tempo il figlio del ricorrente frequentava già la scuola. Dato che (a) il minore frequentava un istituto scolastico e beneficiava di programmi di assistenza specializzati al momento dei fatti, e b) la madre del minore era, come stabilito dai tribunali, apparentemente disponibile a condividere i compiti di cura del minore con il ricorrente, la Corte non riscontra motivi per non concordare con il rigetto, da parte dei tribunali nazionali, dell’argomentazione del ricorrente secondo cui il minore sarebbe stato lasciato senza cure se il ricorrente avesse tentato di trovare un lavoro prima di presentare domanda di permesso di soggiorno attraverso il “radicamento sociale”.

  1. La Corte prende inoltre atto dell’argomentazione del Governo in merito all’ esistenza di altre vie attualmente a sua disposizione per regolarizzare il suo status, come la richiesta di un permesso di soggiorno per motivi di formazione, o basate su altre circostanze eccezionali non elencate nella sezione pertinente del Regio Decreto.

Senza speculare sull’esito di tale richiesta, la Corte osserva, alla luce delle sue conclusioni di cui sopra, che il ricorrente non è riuscito a spiegare in modo significativo perché un tentativo di presentare una nuova domanda per un motivo più appropriato alla sua situazione personale sarebbe destinato a fallire.

  1. Inoltre, la Corte osserva che, in caso di nuova domanda, le autorità nazionali dovrebbero valutare ogni nuova circostanza emersa ed esaminare la situazione del ricorrente e della sua famiglia alla loro luce.
  2. Inoltre, la Corte non perde di vista il fatto che, nonostante il ricorrente si trovasse in una situazione irregolare in Spagna da diversi anni, e in assenza di qualsiasi tentativo tracciabile da parte sua di regolarizzare la sua situazione tra il 2005 e il 2018, non solo le autorità hanno tollerato la sua presenza in Spagna, ma egli ha anche beneficiato di prestazioni sociali che coprivano i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, su cui, a quanto pare, la famiglia ha fatto pieno affidamento per diversi anni.
  3. Di conseguenza, la Corte non può ritenere che, tenendo conto del ricorso esclusivo del ricorrente alle prestazioni sociali nel bilanciare gli interessi concorrenti, le autorità spagnole abbiano oltrepassato il margine di apprezzamento loro concesso nel decidere se il ricorrente avesse diritto a un permesso di soggiorno da lui richiesto.
  4. Alla luce di quanto precede, la Corte conclude che, nelle circostanze del caso di specie, le autorità nazionali hanno trovato un giusto equilibrio tra gli interessi del ricorrente e quelli dello Stato nel controllare l’immigrazione nell’interesse generale del benessere economico del Paese, e che non hanno oltrepassato il margine di discrezionalità loro concesso nel respingere la domanda del ricorrente per un tipo specifico di permesso di soggiorno temporaneo.
  5. Non vi è stata pertanto alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

 

PER QUESTE RAGIONI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara ammissibile la domanda;
  2. Ritiene che non vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.
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