Cass. pen., IV, ud. dep. 21.05.2025, n. 19005
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il dato ponderale costituisce solo uno degli indici presi in considerazione dalla disposizione in esame per valutare, unitamente agli altri, la sussumibilità del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. In altri termini, modica quantità non significa, necessariamente, lieve entità del fatto.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- I primi due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente in quanto accomunati da censure che attengono alla utilizzabilità e alla valutazione di sommarie informazioni testimoniali (s.i.t.) acquisite al procedimento, trattandosi di giudizio abbreviato, devono essere dichiarati inammissibili, per le considerazioni che seguono.
- Il ricorrente reitera in questa sede i motivi prospettati in sede di appello in ordine all’asserita inutilizzabilità e/o inattendibilità dei soggetti sentiti a sommarie informazioni nel corso delle indagini svolte a seguito del decesso di V. S., avvenuto – per quanto accertato nelle sentenze di merito – alle ore 7.40 circa del 2.8.2020 per arresto cardiaco extra ospedaliero per stato di intossicazione da cocaina.
Il giovane era stato trovato, la sera prima intorno alle ore 23.30, in mezzo alla strada in preda a convulsioni. Era stato chiamato il 118 ma sul posto, poco prima dell’arrivo dei soccorsi, era giunto un uomo di circa 55/60 anni (successivamente individuato per V. G., padre di S.) il quale, in modo agitato, aveva dichiarato di conoscere il ragazzo e che lo stava cercando; poi improvvisamente era sparito. S. era stato trasportato all’Ospedale di Massa. Poche ore dopo, i carabinieri avevano sentito il cugino di S., S. F., il quale aveva raccontato della giornata passata insieme a S. e allo zio V. G.. Quest’ultimo, quella stessa notte, era stato successivamente soccorso in un luogo posto a 500 metri di distanza dal ritrovamento di S., anche lui in preda a crisi convulsive; l’uomo era stato accompagnato all’ospedale, ove veniva sedato perché in stato di intossicazione acuta da stupefacenti. Le indagini erano proseguite mediante accertamenti sul telefono di V. S., da cui erano emerse diverse telefonate e un messaggio whatsapp verso una utenza intestata all’imputato L.P.; era stato risentito S. F. e si era proceduto a sentire a sommarie informazioni anche: D. L., convivente di V. G.; B. S., madre del defunto S. nonché ex moglie di V. G.; N. F. e C. G., amici dei V.. In data 11.8.2020, una volta uscito dal coma farmacologico indotto dopo il trapianto del fegato cui si era dovuto sottoporre a causa dell’intossicazione, V. G. veniva sentito dagli inquirenti e dichiarava, in sintesi, in senso sostanzialmente convergente con le dichiarazioni già rese dal S. e dalla D., che la sera del fatto L.P. aveva portato a casa loro un grammo di cocaina, pagata 100 euro da S., il quale l’aveva fumata, nonostante il padre lo avesse invitato a non fumarla, in quanto l’aveva provata e si era accorto che era sostanza pura.
2.1. Sulla scorta della complessiva analisi delle dichiarazioni rese dai soggetti indicati e degli accertamenti svolti sui cellulari dei protagonisti della presente vicenda, i giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità del L.P. per la cessione di un grammo di cocaina ai V. (capo 1).
2.2. Le doglianze del ricorrente si basano sulla considerazione che le dichiarazioni rese da S. F., D. L. e V. G. sarebbero affette da inutilizzabilità in quanto costoro, sin dall’inizio delle indagini, avrebbero dovuto essere sentiti con le garanzie di legge previste per i soggetti indagati, trattandosi di persone che avevano trascorso la giornata insieme a V. S. e che, pertanto, avrebbero potuto essere, in qualche modo, coinvolti nell’episodio di illecita cessione di cocaina in favore di V. S., da cui sarebbe poi derivato il decesso del medesimo.
La questione è stata compiutamente affrontata dalla sentenza impugnata, la quale ha adeguatamente risposto all’analogo motivo di gravame prospettato in sede di appello, nel senso che la censura non si confronta con la circostanza, evidenziata anche dal Tribunale, che le indagini iniziate sin dalla mattina successiva alla morte di V. S. si erano sin da subito indirizzate verso la rilevata presenza sul cellulare di S. di diverse chiamate al cellulare di L.P. e del messaggio proveniente dal cellulare dell’imputato, che faceva riferimento all’appuntamento delle ore 21.00, a partire dal quale, a carico dello stesso prevenuto, erano emersi in sequenza una serie di indizi univoci che avevano escluso il coinvolgimento di altri soggetti sentiti, con particolare riferimento ai testi S. e D., la cui posizione è stata legittimamente inquadrata in quella di persone informate sui fatti, non essendo emerso alcun particolare indizio a loro carico, al di là della loro (normale) “vicinanza” (il S. quale parente, la D. quale convivente e compagna del padre) con V. S. durante la giornata precedente il suo decesso.
2.3. Per quanto attiene alla posizione di V. G., invece, si deve riconoscere che i giudici di appello non abbiano tenuto nel debito conto le dichiarazioni rese nell’immediatezza da B. S., secondo cui l’ex marito G., quella sera – secondo quanto riferitole dal compagno S. M. H. (sulla base di una conversazione telefonica avuta con il S.) – avrebbe offerto e poi dato a S. una pasticca di stupefacente all’interno di un cocktail. Una simile informazione, invero, avrebbe dovuto indurre gli inquirenti, almeno in una fase iniziale, a valutare diversamente la posizione di V. G., quale potenziale indagato di una vicenda tragicamente conclusasi con la morte di S..
In tale prospettiva, la censura in ordine all’inutilizzabilità delle s.i.t. rese da V. G. ha la sua ragion d’essere.
Tuttavia, anche ammessa l’inutilizzabilità di tali dichiarazioni, la doglianza omette completamente di svolgere considerazioni in ordine alla c.d. “prova di resistenza” del compendio probatorio a carico dell’imputato, al fine di dimostrare che, con l’espunzione delle s.i.t. rese da V. G., non vi sarebbero stati elementi sufficienti per affermare la penale responsabilità del L.P. in ordine al reato di cui al capo 1) di rubrica. Sotto questo profilo, il motivo palesa la sua inammissibilità per aspecificità, per aver eccepito l’inutilizzabilità di un elemento probatorio senza dedurne la decisività in forza della cd. “prova di resistenza”, ai fini dell’adozione del provvedimento impugnato (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 39603 del 03/10/2024, Izzo, Rv. 287024 – 02; in senso analogo v. Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, De, Rv. 270303 – 01).
2.4. Per quanto attiene al motivo con cui si prospetta l’inattendibilità delle sommarie informazioni testimoniali rese dai soggetti sopra indicati, unitamente a quelle rese dal C., è appena il caso di rilevare che la censura è prospettata in maniera tale da sollecitare una non consentita rivalutazione del quadro probatorio.
Il tutto a fronte di una c.d. “doppia conforme” di condanna che ha congruamente e logicamente ricostruito la vicenda in esame in coerenza con gli elementi probatori acquisiti, con particolare riferimento ai riscontrati contatti telefonici fra V. S. e L.P., alla presenza dell’imputato nell’abitazione dei V., al riscontro offerto dai tabulati telefonici e alla sostanziale convergenza delle dichiarazioni testimoniali acquisite nel senso dell’avvenuta cessione della cocaina da parte dell’imputato nei confronti di V. S..
Si tratta di dati processuali compiutamente e logicamente argomentati dalle conformi sentenze di merito, che, in quanto tali, non possono essere rimessi in discussione nella presente sede di legittimità, come preteso dal ricorrente nell’articolato motivo con in cui vengono sviluppate, essenzialmente, censure di puro merito, del tutto precluse in cassazione.
- Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Esso reitera la doglianza avanzata in sede di gravame di merito, puntualmente e motivatamente rigettata dalla Corte di appello nel senso che l’eccezione di inutilizzabilità di tutte le sommarie informazioni rese dagli acquirenti dello stupefacente (D. B., B., M., C. e L.) venduto dal L.P., relativamente al reato di cui al capo 3), dedotta sul presupposto che tutti gli assuntori di sostanze stupefacenti avrebbero dovuto essere sentiti quali indagati, è stata argomentata in termini generici, affermando che gli acquirenti potessero essere “corresponsabili nel fatto criminoso”, senza addurre alcun concreto elemento al riguardo, se non la frequenza dei contatti con l’imputato.
In questa sede il ricorrente si è limitato a prospettare la possibilità che tali soggetti potessero essere considerati, in senso lato, come autori di condotte di spaccio. Il rilievo è privo di autosufficienza in quanto non viene allegato alcunché a supporto di tale affermazione, né si comprende sulla base di quali elementi gli inquirenti avrebbero dovuto considerare i propalanti quali possibili spacciatori, a fronte di specifiche e circostanziate dichiarazioni, tutte convergenti nel senso di avere costoro sistematicamente acquistato dal L.P. plurimi quantitativi di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
- Anche il quarto motivo è manifestamente infondato.
Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha motivatamente escluso che i fatti ascritti al prevenuto siano inquadrabili nell’ipotesi di lieve entità di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90.
Ciò sulla base di una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, con particolare riferimento: alla reiterazione delle condotte di cessione di cocaina in un arco temporale significativo e presso una pluralità di consumatori che rappresentavano una cerchia consolidata e fidelizzata che gli si è rivolta costantemente, come i V.; ai quantitativi rilevanti di cocaina ceduta (a titolo esemplificativo, le oltre cento dosi cedute al Barbieri al prezzo di 100 euro per ogni singola dose); alle caratteristiche della cocaina, con riferimento alla sua purezza e potenziale pericolosità per gli acquirenti; alla sistematicità e reiterazione dell’attività di vendita di cocaina, indicativa della capacità dell’imputato di diffondere in modo non episodico una droga pesante come la cocaina, di cui aveva una apprezzabile disponibilità.
Tutti elementi da cui la Corte di merito ha impeccabilmente desunto l’assenza di indici rivelatori della lieve entità del fatto, sulla scorta di una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (cfr. Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076 – 01).
Del resto, proprio la sentenza da ultimo citata ha osservato come lo stesso dato ponderale dello stupefacente debba essere messo a confronto con le altre circostanze del fatto rilevanti secondo i parametri normativi di riferimento. Ciò significa che anche la detenzione di quantitativi non minimali potrà essere ritenuta non ostativa alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, e, per converso, che quella di pochi grammi di stupefacente, all’esito della valutazione complessiva delle altre circostanze rilevanti, risulti non decisiva per ritenere integrata la fattispecie in questione (Sez. U, n. 51063/2018 cit., in motivazione).
In questa prospettiva, perdono di consistenza giuridica i rilievi con cui il ricorrente lamenta l’esclusione dell’ipotesi di lieve entità con riferimento ad episodi di cessione di modici quantitativi di stupefacente, atteso che, come dianzi chiarito, il dato ponderale costituisce solo uno degli indici presi in considerazione dalla disposizione in esame per valutare, unitamente agli altri, la sussumibilità del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. In altri termini, modica quantità non significa, necessariamente, lieve entità del fatto, come erroneamente sostenuto dal ricorrente nel motivo in disamina.
- Il quinto motivo, con cui si deduce mancanza di motivazione in ordine alle invocate circostanze attenuanti generiche ex art. 62-bis cod. pen., è inammissibile, in quanto tale censura non risulta proposta in sede di appello.
È infatti pacifico che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunziarsi perché non devolute alla sua cognizione (Sez. 2, n. 13826 del 17/02/2017, Bolognese, Rv. 269745 – 01), dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316 – 01).
- Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), deve addivenirsi alla condanna del ricorrente al pagamento sia delle spese processuali sia della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.