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*Tributario – IVA – Iva all’importazione, no alla qualificazione del dazio e mancata proporzione con il cumulo sanzionatorio

by Dott. Alessio Alfieri
22 Luglio 2025
in Diritto Civile
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Corte costituzionale, sentenza 3 luglio 2025, n. 93

PRINCIPIO DI DIRITTO

L’art. 70, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nello stabilire che “[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”, non prevede che, in caso di applicazione dell’art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973, le cose che costituiscono oggetto della violazione non sono confiscate se l’obbligato provvede al pagamento integrale dell’importo evaso, degli accessori, comprensivi degli interessi, e della sanzione pecuniaria.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

1.- La Corte di cassazione, sezioni unite civili, dubita della legittimità costituzionale dell’art. 70, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972, “in relazione” agli artt. 282 e 301 del D.P.R. n. 43 del 1973 e all’Accordo tra la Comunità economica europea e la C.S. del 22 luglio 1972 concluso con il regolamento CEE n. 2840/72, nella parte in cui, nel prevedere che “[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”, non esclude l’applicabilità dell’art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973 nel caso in cui la violazione consista nel mancato versamento dell’IVA all’importazione.

La disposizione censurata prevede, al secondo periodo del comma 1, che, con riferimento all’IVA all’importazione, “[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”.

Secondo il giudice rimettente la disposizione si porrebbe in contrasto con i principi di proporzionalità e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e all’art. 49 C.. Infatti, l’applicabilità delle sanzioni doganali alle ipotesi di mancato pagamento dell’IVA all’importazione si rivelerebbe in contrasto con i principi richiamati, poiché l’irrogazione della confisca obbligatoria di cui all’art. 301 t.u. dogane, in aggiunta alle sanzioni pecuniarie amministrative, comporterebbe un cumulo sanzionatorio sproporzionato e disallineato rispetto al trattamento previsto per analoghe violazioni relative all’IVA interna.

A parità di disvalore, per quest’ultima è prevista, ai sensi dell’art. 12-bis, del D.Lgs. n. 74 del 2000, la misura della confisca solo nel caso di rilevanza penale della condotta, ma la stessa non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario. Questo diverso trattamento sanzionatorio non si giustificherebbe stante l’identità strutturale tra l’IVA interna e quella all’importazione, atteso che, in base alla giurisprudenza unionale e di legittimità, la seconda non costituirebbe un diritto di confine, riconducibile nell’alveo dell’art. 34 t.u. dogane, come invece i dazi doganali, rispetto ai quali sussisterebbe una differenza strutturale, perché il sistema dell’IVA all’importazione sarebbe, per sua natura, incardinato in quello generale dell’IVA.

L’eccesso di cumulo sanzionatorio risulterebbe anche dal raffronto con la disciplina prevista per i dazi, perché l’art. 124, paragrafo 1, lettera e), CDU prevede che l’obbligazione doganale si estingue quando le merci soggette ai dazi all’importazione vengono confiscate.

 A evidenziare il carattere sproporzionato della misura della confisca concorrerebbe, infine, anche la sua natura fissa e automatica, che non consente di considerare la condotta tenuta dal contravventore.

2.‒ Va preliminarmente disattesa l’eccezione della difesa statale di inammissibilità della questione prospettata in riferimento all’art. 49 C. sotto diversi profili: innanzitutto perché il giudice rimettente avrebbe solo genericamente fatto riferimento a questa disposizione, poi in quanto la disposizione riguarderebbe solo le sanzioni penali, non anche quelle pecuniarie amministrative e infine, perché, come conseguenza del suo ragionamento, il giudice rimettente avrebbe dovuto in realtà disapplicare la disposizione censurata.

2.1.‒ Secondo questa Corte, il giudice a quo deve illustrare le ragioni per le quali la disposizione censurata ricadrebbe nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea; ciò che a sua volta condiziona, ai sensi dell’art. 51 C., la stessa applicabilità delle norme della Carta, inclusa la loro idoneità a costituire parametri interposti nel giudizio di legittimità costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 85 del 2024).

Il giudice rimettente, sotto questo profilo, ha chiaramente e correttamente fatto richiamo alla disposizione di cui all’art. 49 C. al fine di supportare, anche a livello unionale, l’argomento secondo cui la disposizione censurata, nel prevedere la confisca obbligatoria in caso di violazione dell’IVA all’importazione, non sarebbe rispettosa della proporzionalità tra la sanzione e la gravità dell’illecito; principio che discende, oltre che dall’art. 3, primo comma, Cost., anche dal paragrafo 3 del citato art. 49, per il quale “[l]e pene non devono essere sproporzionate rispetto al reato”, che l’Italia è tenuta ad osservare in forza degli obblighi unionali cui è vincolata ai sensi degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.

Questa valutazione di non proporzionalità della sanzione della confisca, che ha chiaramente carattere afflittivo, è stata compiuta dal giudice rimettente comparando la disciplina sanzionatoria prevista per l’IVA all’importazione con quella applicabile per l’IVA interna. Entra qui in considerazione, pertanto (come già evidenziato da questa Corte con la sentenza n. 46 del 2023), “la conformità del sistema sanzionatorio nazionale ai criteri indicati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in tema di proporzionalità delle sanzioni tributarie relative ai tributi armonizzati (Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 26 aprile 2017, in causa C-564/15, F.; 26 novembre 2015, in causa C-487/14, T.W.R.; 16 luglio 2015, in causa C-255/14, C.; 17 luglio 2014, in causa C-272/13, E.; 18 dicembre 1997, nelle cause riunite C-286/94, C-340/95, C-401/95 e C-47/96, M. e altri)”.

L’assimilazione dell’IVA all’importazione a quella interna comporta, nella prospettiva del giudice rimettente, la riconducibilità della prima nel sistema generale dell’IVA, tributo armonizzato, con conseguente ricaduta della disposizione censurata nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione europea.

2.2.‒ Va osservato, inoltre, con riferimento al profilo relativo all’obbligo di disapplicare la disposizione censurata in contrasto con l’art. 49 C., che ove la questione abbia altresì “un “tono costituzionale”, per il nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale” (ex plurimis, sentenza n. 181 del 2024), il giudice italiano ha sempre, assieme agli altri rimedi, “l’ulteriore possibilità di sollecitare l’intervento di questa Corte, affinché rimuova la legge nazionale ritenuta incompatibile con il diritto dell’Unione” (nello stesso senso, recentemente, sentenza n. 7 del 2025). Nella specie, è evidente il nesso con il principio costituzionale di proporzionalità della sanzione, desumibile, tra l’altro, dall’art. 3 Cost.

3.‒ Non fondata è anche l’eccezione della difesa statale di inammissibilità delle questioni per vizio di motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto il rimettente non avrebbe considerato che la condotta realizzata nel caso di cui si discute nel giudizio principale, dato l’ammontare del tributo evaso, non rientrava tra quelle oggetto di depenalizzazione.

In realtà, il giudice a quo ha preso atto della circostanza che il processo penale che era stato instaurato nei confronti del contribuente si era concluso con la sua assoluzione, perché il giudice penale aveva ritenuto che il fatto non era più previsto come reato a seguito dell’avvenuta depenalizzazione della fattispecie di contrabbando semplice per effetto dell’art. 1, comma 1, del D.Lgs. n. 8 del 2016, e che, conseguentemente, era stata applicata al contribuente la sanzione amministrativa pecuniaria prevista per tale illecito depenalizzato.

La considerazione della difesa statale che la condotta del contribuente non sarebbe dovuta rientrare nell’ambito della depenalizzazione si scontra, dunque, con l’esito processuale di cui inevitabilmente il giudice rimettente ha dovuto prendere atto.

4.‒ È parimenti non fondata l’eccezione della difesa statale di inammissibilità della questione per contraddittorietà della motivazione, perché il rimettente, da un lato, avrebbe affermato che il più severo trattamento delle violazioni relative ai tributi dovuti in caso di importazione si giustificherebbe per la loro maggiore difficoltà di accertamento rispetto a quelle inerenti all’evasione dell’IVA interna; dall’altro, che non vi sarebbero “differenze procedurali e di accertamento di significativo impatto tra le diverse fattispecie”.

Secondo questa Corte (sentenze n. 232 del 2019 e n. 206 del 2001) la contraddittorietà della motivazione si traduce nell’inidoneità della medesima a “evidenziare e spiegare il quomodo del preteso vulnus” lamentato (sentenza n. 176 del 2021), come qualora si formuli una censura che “smentisce la stessa premessa da cui muove la ricorrente” (sentenza n. 297 del 2009).

Nell’ordinanza di rimessione, invece, non viene contemporaneamente dedotto che l’evasione dell’IVA all’importazione determina una difficoltà di accertamento maggiore rispetto ad altre fattispecie simili (evasione dell’IVA interna), cui consegue la legittimità di un trattamento repressivo più severo, e che (contraddittoriamente) tra la fattispecie di evasione dell’IVA all’importazione e quella di evasione dell’IVA interna non vi sarebbero differenze quanto a modalità e procedure di accertamento.

Al contrario, le Sezioni unite hanno affermato che le pur esistenti differenze nella modalità di accertamento tra evasione dell’IVA all’importazione e di quella interna non giustificano l’applicazione della confisca doganale alla prima.

Il ragionamento logico sviluppato dal rimettente, dunque, non risulta contraddittorio, in quanto, secondo la prospettazione svolta, le possibili differenze in tema di accertamento dei due tributi non sarebbero tali da costituire ragione valida per una differenziazione sul piano della sanzione da applicare.

5.‒ Con riferimento al merito, in via preliminare, occorre precisare che, con la L. 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale), il Governo è stato delegato, tra l’altro, a emanare uno o più decreti legislativi, essenzialmente diretti a una razionalizzazione del sistema doganale (art. 11), nonché a una revisione del relativo sistema sanzionatorio (art. 21). In attuazione della delega è stato emanato, successivamente all’ordinanza di rimessione, il D.Lgs. n. 141 del 2024, che all’art. 1 ha disposto l’approvazione delle disposizioni contenute nell’Allegato 1, denominato “Disposizioni nazionali complementari al Codice doganale dell’Unione”.

Le nuove disposizioni hanno sostituito un quadro normativo frammentato e segnato dal corso del tempo, introducendo un vero e proprio codice doganale nazionale, aggiornato e complementare a quello dell’Unione europea. In questa prospettiva, l’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 141 del 2024, ha stabilito che “[q]uando leggi, regolamenti, decreti o altre norme o provvedimenti, fanno riferimento a disposizioni contenute in articoli del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, il riferimento si intende alle corrispondenti disposizioni nazionali complementari al codice doganale dell’Unione di cui all’allegato 1 al presente decreto”. All’art. 8, comma 1, lettera f), è stata quindi disposta l’abrogazione espressa del D.P.R. n. 43 del 1973.

Per quanto qui rileva, va considerato che l’art. 27, comma 2, dell’Allegato 1, ha, peraltro, stabilito – fatte salve le ipotesi eccezionali dell’immissione in libera pratica di merci senza assolvimento dell’IVA per successiva immissione in consumo in altro Stato membro dell’Unione europea o per vincolo a un regime di deposito diverso da quello doganale – che fra ” i diritti doganali di cui al comma 1 costituiscono diritti di confine […] l’imposta sul valore aggiunto e ogni altra imposta di consumo, dovuta all’atto dell’importazione, a favore dello Stato”. Nell’Allegato 1 è stato anche modificato il quadro delle sanzioni penali conseguenti alla realizzazione dei fatti di contrabbando (articoli da 78 a 92) e di quelle amministrative relative a violazioni doganali che non costituiscono reati di contrabbando (articoli da 96 a 103).

5.1. – La novella intervenuta con il D.Lgs. n. 141 del 2024 non giustifica, tuttavia, la restituzione degli atti al giudice a quo. Non può infatti essere seguito il ragionamento, del tutto astratto e generico, della difesa erariale, secondo cui tale rimessione si giustificherebbe in forza “del complessivo mutamento del quadro sanzionatorio, che in parte è una lex mitior retroattiva”.

A prescindere dalla correttezza di tale valutazione, è infatti indubbio che l’art. 7 (Disposizioni finali e di coordinamento) del D.Lgs. n. 141 del 2024 esclude espressamente la retroattività del nuovo apparato sanzionatorio amministrativo, sancendo, al comma 3, che “[l]e sanzioni amministrative di cui all’allegato 1 e all’articolo 3 si applicano alle violazioni commesse a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto”.

Nel caso di specie, invece, la violazione risale all’anno 2012 e pertanto esula dal raggio di applicazione della nuova disciplina. Inoltre, la sanzione pecuniaria è stata definitivamente irrogata e corrisposta dal contribuente e la confisca di cui unicamente in questa sede si discute è stata confermata dalla disciplina oggi vigente.

5.2.- Nemmeno l’esplicita qualificazione dell’IVA all’importazione come diritto di confine, a ben vedere, può sostenere la richiesta dell’Avvocatura generale dello Stato.

È pur vero che l’ordinanza di rimessione si fonda sulla “qualificazione dell’Iva come diritto non doganale” e che nella relazione illustrativa al D.Lgs. n. 141 del 2024 si afferma: “[r]ispetto alla formulazione vigente, tra i diritti di confine viene esplicitamente inserita l’imposta sul valore aggiunto, al fine di chiarire che anche a questo tributo, per le operazioni di importazione, si applica la normativa unionale in materia di individuazione del debitore e di estinzione dell’obbligazione doganale”.

Ciò in linea anche con la posizione della Corte di cassazione (Cass. pen., Sez. III, Sent., 11/02/2022, n. 4978) che ha ritenuto di dare “continuità all’orientamento giurisprudenziale che qualifica l’IVA all’importazione quale diritto di confine ai sensi dell’art. 34 TULD, la cui evasione integra il reato di contrabbando ex art. 292 TULD, e ciò in quanto detta soluzione interpretativa si presenta più aderente alla lettera dell’art. 34 TULD che, come visto, relativamente alle merci in importazione, ricomprende tra i diritti di confine non solo i dazi ma anche “ogni altra imposta o sovrimposta di consumo a favore dello Stato””.

È pure vero che questo indirizzo è stato confermato dalla Cassazione penale anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 141 del 2024 in relazione a fatti anteriormente commessi, e che è stato posto in evidenza che la disposizione di cui all’art. 27, comma 2, dell’Allegato 1 mirerebbe a convalidare, anche in riferimento al passato, la linea interpretativa che ritiene riconducibile l’IVA all’importazione tra i diritti di confine (Corte di cassazione, terza sezione penale, sentenza 14 ottobre-27 novembre 2024, n. 43140).

Tuttavia, tale esplicita qualificazione legislativa dell’IVA all’importazione come diritto di confine non incide sul nucleo essenziale delle questioni sollevate dall’ordinanza di rimessione e non compromette l'”ordito logico che sta alla base delle censure prospettate” (ordinanza n. 97 del 2022).

Risulta, invece, dirimente “l’esigenza”, che il rimettente ha ben considerato, “di valutare il rapporto tra l’Iva all’importazione e i dazi doganali”. Infatti, anche se ora esplicitamente qualificata dal legislatore come diritto di confine, l’IVA all’importazione ha una natura radicalmente diversa dai dazi doganali e tale struttura non può essere incisa dalla suddetta qualificazione.

La prima, infatti, a differenza dei secondi, è strutturata sulla base del principio di neutralità fiscale rispetto a tutte le attività economiche, il che implica il diritto per il soggetto passivo di detrarre l’IVA dovuta o assolta a seguito della cessione di beni o di prestazione di servizi; in tal senso, la Corte di giustizia dell’Unione europea, sesta sezione, sentenza 17 luglio 2014, causa C-272/13, E. soc. coop. arl, ha ricordato che la giurisprudenza unionale ha ripetutamente affermato il “ruolo preponderante che il diritto a detrazione occupa nel sistema comune dell’IVA, diretto a garantire la perfetta neutralità fiscale di tale imposta” (punto 41). I dazi e le misure a essi equivalenti, invece, sono diritti di confine che svolgono funzioni ben diverse, essendo diretti ad aumentare il prezzo di specifiche merci nella prospettiva di proteggere l’economia e il mercato interno nonché ad alimentare le risorse proprie dell’Unione europea.

Se è pur vero che l’IVA all’importazione e i dazi doganali presentano in comune il fatto generatore e il momento dell’esigibilità, che si ricollegano entrambi all’importazione delle merci, e se, quindi, solo in relazione a questo profilo deve ritenersi che il legislatore abbia potuto qualificarla come “diritto di confine”, rimane tuttavia fermo che “l’IVA all’importazione non fa parte dei “dazi all’importazione”, ai sensi dell’articolo 5, punto 20, [CDU], che riguarda i dazi doganali dovuti all’importazione delle merci” (Corte GUE, sentenza 12 maggio 2022, causa C-714/20, U.I. srl), perché “non possiede le caratteristiche di una tassa di effetto equivalente a dazi doganali all’importazione ai sensi degli artt. 12 e 13, n. 2, del Trattato” (punto 22) ed è diretta a garantire la neutralità rispetto all’origine dei beni, al fine di porre le merci importate nella stessa situazione dei prodotti nazionali analoghi per quanto riguarda gli oneri fiscali (così già Corte GUE, sentenza 5 maggio 1982, causa C-15/81, G.S.).

6.- Una volta esclusa la necessità della restituzione degli atti, deve essere altresì considerata la portata del petitum del giudice rimettente: se, da un lato, in diversi passaggi della motivazione questi sembra censurare la previsione della confisca solo in rapporto ai fatti di evasione dell’IVA all’importazione sanzionati in via amministrativa, in altri, operando un raffronto tra il trattamento sanzionatorio delle violazioni di rilievo penale concernenti l’IVA all’importazione e quelle di rilievo penale concernenti l’IVA interna, mostra di volere sottoporre in termini generali a questa Corte la questione di legittimità costituzionale relativa all’applicabilità ai fatti considerati della confisca obbligatoria prevista dall’art. 301 t.u. dogane.

Dal momento che il dispositivo dell’ordinanza non contiene alcuno specifico riferimento all’illecito amministrativo e che le Sezioni unite formulano la questione sul combinato disposto dell’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972 e degli artt. 282 – che punisce il contrabbando “con la multa non minore di due e non maggiore di dieci volte i diritti di confine” – e 301 t.u. dogane, questa Corte ritiene di dover decidere sulla più generale questione se l’applicabilità della confisca prevista da quest’ultima disposizione costituisca, in caso di evasione dell’IVA all’importazione, una sanzione punitiva sproporzionata, contrastante con l’art. 3 Cost. e l’art. 49 C..

7.- La questione è fondata nei termini che seguono.

Questa Corte non solo in più occasioni ha precisato che il principio della proporzionalità è “applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative” (ex plurimis, sentenza n. 266 del 2022), ma ha espressamente affermato che tale principio riguarda anche le sanzioni tributarie (sentenza n. 46 del 2023), per le quali, del resto, anche la Corte di giustizia dell’Unione europea ha elaborato una copiosa giurisprudenza in riferimento ai tributi armonizzati (in materia di IVA, tra le altre, Corte di giustizia dell’Unione europea, sezione prima, sentenza 8 maggio 2019, causa C-712/17, E. srl).

Anche per queste sanzioni si presenta quindi l’esigenza che non venga manifestamente meno quel rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito che la giurisprudenza di questa Corte ha fatto discendere, in particolare, dall’art. 3, primo comma, Cost., ma che deriva, altresì, dagli obblighi unionali cui l’Italia è vincolata ai sensi degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., e in particolare dall’art. 49, paragrafo 3, C., che sancisce espressamente il principio secondo cui “[l]e pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato”.

7.1.- La prospettiva di assicurare una maggiore proporzionalità delle sanzioni previste dall’ordinamento tributario italiano è stata, peraltro, tracciata sin dalla L. 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita), che ha evidenziato l’esigenza di una commisurazione del sistema sanzionatorio tributario all’effettiva entità oggettiva e soggettiva delle violazioni.

Successivamente, la L. 9 agosto 2023, n. 111 (Delega al Governo per la riforma fiscale) ha espressamente disposto, nell’art. 20, comma 1, lettera c), numero 1), che, nel disciplinare il sistema delle sanzioni amministrative tributarie, il legislatore delegato si attenesse al principio di “migliorare la proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico e riconducendolo ai livelli esistenti in altri Stati europei”.

Il D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87 (Revisione del sistema sanzionatorio tributario, ai sensi dell’articolo 20 della L. 9 agosto 2023, n. 111), ha dato attuazione al principio contenuto nella indicata legge delega, ridisegnando all’insegna della proporzionalità il volto del sistema sanzionatorio tributario; le innovazioni introdotte sono poi confluite nel D.Lgs. 5 novembre 2024, n. 173 (Testo unico delle sanzioni tributarie amministrative e penali).

7.2.- Anche rispetto a questa complessiva evoluzione il sistema normativo censurato si presenta disallineato.

L’art. 70, primo comma, del D.Lgs. n. 633 del 1972, inserito nel Titolo V (Importazioni), dispone, infatti, che “[l]’imposta relativa all’importazione è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione. Si applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”. Il richiamo al trattamento sanzionatorio delle disposizioni delle leggi doganali comporta l’applicazione, ratione temporis, dell’art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973 che prevede, al suo primo comma: “[n]ei casi di contrabbando è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il profitto”. Questa confisca costituisce una misura che non estingue l’obbligazione tributaria e che si aggiunge al pagamento della sanzione pecuniaria (da due a dieci volte l’importo evaso, in base agli articoli da 282 a 292 del D.P.R. n. 43 del 1973) per una condotta avente natura di illecito penale o amministrativo a seconda che tale importo sia o meno superiore a Euro 10.000,00.

Si determina, in questi termini, un cumulo sanzionatorio che non ha eguali non solo rispetto al regime dell’IVA interna, ma nemmeno in riferimento a quello dei più tradizionali diritti di confine, i dazi, come constatano le stesse Sezioni unite rimettenti.

Per questi ultimi, infatti, l’art. 124, paragrafo 1, lettera e), CDU, prevede che l’obbligazione doganale si estingue “quando le merci soggette a dazi all’importazione o all’esportazione vengono confiscate o sequestrate e contemporaneamente o successivamente confiscate”. Per l’IVA interna, invece, la confisca è prevista, ma solo nel caso in cui la condotta costituisca reato, dall’art. 12-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000.

Originariamente, il comma 2 del citato articolo prevedeva che “[l]a confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”.

Con l’art. 1, comma 1, lettera e), numero 2), del D.Lgs. n. 87 del 2024, la disposizione ha ora assunto il seguente tenore: “2. Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti”.

Nonostante la diversa formulazione, entrambe le disposizioni, in ogni caso, si orientano nel senso di valorizzare il comportamento dell’autore del fatto illecito, al quale è data la possibilità di evitare la confisca mediante il pagamento dell’imposta e delle sanzioni.

7.3.- A fronte del cumulo sanzionatorio stabilito dalla norma censurata, la richiesta formulata dal rimettente è rivolta all’ablazione della previsione della possibilità stessa della confisca nel caso di evasione dell’IVA all’importazione.

Va precisato, però, che ” il petitum dell’ordinanza di rimessione ha la funzione di chiarire il contenuto e il verso delle censure mosse dal giudice rimettente”, ma non vincola questa Corte, che, “ove ritenga fondate le questioni, rimane libera di individuare la pronuncia più idonea alla reductio ad legitimitatem della disposizione censurata” (ex plurimis, sentenza n. 53 del 2025).

7.4.- In questa prospettiva, occorre considerare che la confisca obbligatoria prevista dall’art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973 è qualificata, nella rubrica dell’articolo, quale “misura di sicurezza”.

Con l’ablazione del bene si intende, in particolare, tutelare l’interesse dello Stato non solo alla regolarità delle importazioni e alla completa e tempestiva percezione del tributo, ma anche a neutralizzare l’attrattiva alla realizzazione dell’illecito ove il contravventore potesse contare sul fatto che il bene gli sarebbe lasciato nella sua disponibilità.

La confisca dell’oggetto non ha quindi una finalità ripristinatoria dello status quo ante, ma riveste carattere punitivo, secondo i principi declinati nelle sentenze n. 7 del 2025 e n. 112 del 2019. Essa, infatti, non si limita a reintegrare lo Stato della somma indebitamente non versata (pari all’importo dell’IVA evasa), ma comporta anche per il contribuente una perdita patrimoniale in misura ben superiore a quella somma.

Tuttavia, sussiste una duplice differenza con la confisca obbligatoria dei beni utilizzati per commettere l’illecito, dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 7 del 2025, quanto alla previsione dell’art. 2641 del codice civile, relativa ai reati societari, e con la sentenza n. 112 del 2019, con riguardo agli abusi di mercato sanzionati in via amministrativa.

In primo luogo, perché nel caso dei beni strumentali non c’è alcun rapporto predeterminato tra l’entità dell’ablazione patrimoniale e il profitto ricavato dall’autore del fatto: il valore dei beni strumentali può risultare enormemente superiore a quello del profitto ricavato dall’agente, che potrebbe anche mancare del tutto. Di contro, la confisca obbligatoria del bene oggetto di contrabbando viene nella sostanza a risolversi in una sanzione patrimoniale a carattere proporzionale: l’ammontare dell’IVA all’importazione è sempre pari, infatti, a una percentuale del valore del bene (nel caso oggetto del giudizio a quo, il 10 per cento), sicché, correlativamente, la confisca di quest’ultimo colpisce il patrimonio dell’agente per un multiplo del profitto realizzato (che si identifica con l’IVA evasa). La misura si adatta automaticamente, quindi, a uno degli elementi – il più significativo – che esprimono il disvalore dell’illecito: il che stempera la questione dell'”insensibilità” della confisca in esame alle peculiarità del caso concreto.

In secondo luogo, la rimozione della confisca obbligatoria dei beni strumentali, operata con le citate sentenze di questa Corte, ha fatto subentrare ad essa la generale disciplina che prevede tale confisca come facoltativa (art. 240, primo comma, del codice penale, quanto ai reati; art. 20, terzo comma, della L. 24 novembre 1981, n. 689, recante “Modifiche al sistema penale”, quanto alle violazioni amministrative).

Questo non avverrebbe se fosse rimossa la confisca obbligatoria dell’oggetto della violazione: una volta soppressa l’applicabilità dell’art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973 , in caso di evasione dell’IVA all’importazione, non ci sarebbe alcuna norma che renderebbe possibile la confisca, sia pur facoltativa, del bene importato rispetto al quale si realizza l’evasione dell’IVA, questa misura non essendo prevista né in rapporto alle violazioni amministrative, né in relazione a quelle di rilievo penale.

Il sistema sanzionatorio risulterebbe disallineato anche rispetto a quanto previsto dal ricordato art. 124 CDU, che, invece, nel momento stesso in cui stabilisce che l’obbligazione doganale di pagare il dazio si estingue nel caso di confisca delle merci, riconosce la possibilità che queste ultime siano oggetto di ablazione. Ciò porta a escludere non solo l’ipotesi, coincidente con la richiesta del rimettente, di una reductio ad legitimitatem attraverso l’ablazione dell’intero rimando, per il tramite dell’art. 70 del D.P.R. n. 633 del 1972, all’art. 301, ma anche quella, più limitata, della caducazione della sola confisca dell’oggetto, lasciando, invece, intatta la possibilità della confisca del prodotto o del profitto.

7.5.- A quest’ultima soluzione si oppone anche una considerazione che attiene alla significativa differenza tra i meccanismi che presidiano l’IVA interna rispetto a quella all’importazione.

La prima, infatti, è caratterizzata da un sistema di tracciabilità, negli scambi, dei soggetti passivi, mentre per la seconda il fatto generatore e il momento dell’esigibilità coincidono con l’ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato, per cui la principale e fondamentale garanzia effettiva del pagamento dell’imposta è quella che si sviluppa facendo leva sul bene.

È la stessa ordinanza di rimessione che ha cura di riconoscere che “l’applicabilità all’Iva all’importazione delle più severe sanzioni previste dalle leggi doganali peri dazi può essere giustificata” alla luce della “diversità dei presupposti e degli elementi costitutivi e di accertamento che presiedono, rispettivamente, l’Iva interna e l’Iva all’importazione, più complessi e suscettibili di più difficile rilevazione per quest’ultima (Corte di giustizia, sentenza 25 febbraio 1988, causa C-299/86, R.D., che ha precisato, al punto 22, “le due categorie di infrazioni di cui trattasi si distinguono per diverse circostanze che attengono tanto gli elementi costitutivi dell’infrazione quanto alla difficoltà maggiore o minore di scoprirla. Infatti, l’IVA all’importazione è riscossa all’atto del semplice ingresso fisico del bene nel territorio dello Stato membro interessato, piuttosto che in occasione di uno scambio. Dette differenze implicano che gli Stati membri non sono obbligati ad istituire un regime identico per le due categorie di infrazioni.”)”.

In caso di evasione dell’IVA all’importazione, non sarebbe sempre possibile, soprattutto in riferimento a beni non frazionabili, operare un sequestro conservativo (che rimarrebbe possibile, peraltro, solo per il profitto, cioè l’IVA evasa, ma non per le sanzioni) su beni di valore molto più elevato dell’IVA evasa. In altre parole, una volta perduta la possibilità della confisca dell’oggetto, lo Stato potrebbe trovarsi sostanzialmente disarmato di fronte all’evasione dell’IVA all’importazione.

7.6.- Tanto chiarito, va considerato che l’illegittimità costituzionale della norma censurata non si prefigura, alla luce di quanto precisato, in forza di una sproporzione intrinseca o “cardinale”, quanto, invece, per un cumulo sanzionatorio che si rivela viziato per sproporzione relativa, o “ordinale”, nel confronto sia con l’art. 124 CDU, che, come si è visto, in caso di confisca esclude la debenza dell’obbligazione doganale, sia con la disciplina dell’omesso versamento dell’IVA interna, che, in sostanza, nello stabilire solo la confisca, diretta e per equivalente, dell’importo evaso, ai sensi dell’art. 12-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000, prevede che il sequestro dei beni finalizzato alla confisca non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione.

7.7.- Se l’apprensione del bene trova giustificazione nella finalità di garanzia della confisca in questione, che opera fin tanto che il contribuente non provveda al pagamento di quanto dovuto, la reductio ad legitimitatem passa – superando così anche la questione della rigidità della sanzione – attraverso la valorizzazione della condotta dell’autore del fatto illecito, che, del resto, costituendo un paradigma che informa non solo il citato art.12-bis, comma 2, del D.Lgs. n. 74 del 2000, ma anche altre diverse disposizioni del D.Lgs. n. 87 del 2024 sulle sanzioni tributarie (tra queste, l’art. 1, comma 1, lettere b, c, f e g), rappresenta una grandezza pre-data che permette di raggiungere una soluzione “costituzionalmente adeguata” (ex plurimis, sentenza n. 95 del 2022).

Nell’ipotesi in cui l’autore dell’illecito si attiva per rimediare al mancato pagamento dell’IVA all’importazione, corrispondendo il tributo evaso, gli accessori, comprensivi degli interessi, nonché la sanzione pecuniaria, il mantenimento della misura della confisca risulta infatti sproporzionato, dal momento che lo Stato ha recuperato l’intero debito tributario e quindi viene meno anche quella funzione di garanzia che può giustificare la confisca obbligatoria.

L’art. 70, primo comma, del D.P.R. n. 633 del 1972 deve quindi essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, nello stabilire che “[s]i applicano per quanto concerne le controversie e le sanzioni, le disposizioni delle leggi doganali relative ai diritti di confine”, non prevede che, in caso di applicazione dell’art. 301 del D.P.R. n. 43 del 1973, le cose che costituiscono oggetto della violazione non sono confiscate se l’obbligato provvede al pagamento integrale dell’importo evaso, degli accessori, comprensivi degli interessi, e della sanzione pecuniaria.

 

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