Corte Costituzionale, sentenza 30 luglio 2021 n. 178
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, lettera d), del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata), convertito, con modificazioni, in legge 1° dicembre 2018, n. 132, che modifica l’art. 67, comma 8, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), limitatamente alle parole «e all’articolo 640-bis del codice penale».
Va dichiarata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, che modifica l’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011, limitatamente alle parole «nonché per i reati di cui all’articolo 640, secondo comma, n. 1), del codice penale, commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico».
Va infine dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, che modifica l’art. 67, comma 8, del d.lgs. n. 159 del 2011, sollevata, in riferimento all’art. 38 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
3.− In via preliminare va dichiarata la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all’art. 38 Cost.
La questione, infatti, è del tutto immotivata, limitandosi il giudice rimettente a evocare il parametro costituzionale, senza alcuna specifica illustrazione dei motivi di censura (in tal senso, ordinanza n. 26 del 2012 e sentenza n. 356 del 2008).
4.− Nel merito sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost.
4.1.− La disposizione oggetto d’esame interviene sulla disciplina della comunicazione antimafia interdittiva, provvedimento di natura cautelare e preventiva che, come sottolineato dalla giurisprudenza amministrativa, determina una particolare forma d’incapacità del destinatario, in riferimento ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione (tra tutte, si richiama Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 6 aprile 2018, n. 3).
4.1.1.− Va qui ricordato che, secondo la vigente legislazione, esistono due diversi documenti, la comunicazione antimafia e l’informazione antimafia.
La comunicazione antimafia, ai sensi dell’art. 84, comma 2, cod. antimafia, consiste in una attestazione circa la sussistenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui al precedente art. 67. Tale articolo stabilisce che le persone alle quali sia stata applicata in via definitiva una delle misure di prevenzione previste dal codice antimafia non possono essere destinatarie di un’ampia gamma di provvedimenti di natura autorizzatoria, concessoria o abilitativa (comma 1). Così, l’applicazione di una misura di prevenzione determina la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti (comma 2). I divieti e le decadenze, inoltre, operano (per un periodo di cinque anni) anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione, nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la stessa persona sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi (comma 4).
Il rilascio della comunicazione antimafia liberatoria, invece, è immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica, quando non emerge, a carico dei soggetti ivi censiti, la sussistenza delle citate cause di decadenza, sospensione o divieto (art. 88, comma 1, cod. antimafia).
La comunicazione antimafia, in conclusione, è il frutto di un’attività amministrativa vincolata, volta al mero accertamento delle cause di decadenza o divieto di cui all’art. 67 cod. antimafia.
4.1.2.− Diverso è l’altro documento antimafia, ossia l’informazione antimafia prevista dall’art. 84, comma 3, cod. antimafia, necessaria per le pubbliche amministrazioni prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel citato art. 67, il cui valore superi talune soglie, individuate dal successivo art. 91, comma 1.
Tale provvedimento, oltre a quanto già previsto dalla comunicazione antimafia, attesta la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o delle imprese, desumibili da una serie di elementi indicati dall’art. 84, comma 4, cod. antimafia, i quali sono oggetto di verifica da parte del prefetto. Tra questi elementi vi sono anche taluni provvedimenti penali per determinati reati ritenuti strumentali all’attività delle organizzazioni criminali, comunemente denominati “reati spia”, come, tra l’altro, le misure cautelari, il rinvio a giudizio o le condanne, anche non definitive, proprio per il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen.
4.2.− Ai sensi dell’art. 67, comma 8, cod. antimafia gli effetti interdittivi della comunicazione antimafia non conseguono solo all’applicazione di una misura di prevenzione, ma anche alle condanne definitive o non definitive, purché confermate in grado di appello, per i delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., nonché – in virtù della novella operata dall’art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito – per quelli previsti dall’art. 640, secondo comma, numero 1), cod. pen. (truffa ai danni dello Stato o di un altro ente pubblico) e dall’art. 640-bis cod. pen. (truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche), quest’ultima previsione oggetto di censura.
Qui, dunque, l’interdittiva antimafia, sebbene derivi da una condanna, non necessariamente definitiva, prescinde da una valutazione di specifica pericolosità del soggetto (che è invece alla base dell’applicazione di una misura di prevenzione), ma, allo scopo di prevenire l’infiltrazione mafiosa, genera l’incapacità giuridica sopra ricordata.
4.2.1.− Va rilevato che gli altri casi previsti dalla disposizione censurata, cioè quelli di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen., hanno una specifica valenza nel contrasto alla mafia, tant’è che essi vengono qui elencati allo scopo di attribuire le funzioni di pubblico ministero ai magistrati addetti alla direzione distrettuale antimafia, su designazione del procuratore distrettuale (art. 102 cod. proc. pen.).
Si tratta, nella specie: dei delitti di cui agli artt. 452-quaterdecies, 600, 601, 602 e 630 cod. pen.; del delitto di associazione per delinquere finalizzato al compimento di gravi reati contro la personalità individuale, elencati dall’art. 416, commi 6 e 7, cod. pen., nonché al compimento dei reati di cui agli artt. 473 e 474 cod. pen.; dei delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen,), di scambio elettorale politico-mafioso (art. 416-ter cod. pen,) e dei delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. e al fine di agevolare l’attività di tali associazioni; dei delitti di associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 74 del decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza») e di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291-quater del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, recante «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale»).
Tali fattispecie delittuose hanno in gran parte natura associativa oppure presentano una forma di organizzazione di base (come per il sequestro di persona ex art. 630 cod. pen) o comunque richiedono condotte plurime (come per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies cod. pen.), oltre a prevedere pene che possono essere anche molto alte.
Ed è proprio in virtù di siffatta complessità che si radica la competenza della procura distrettuale antimafia, operante secondo linee di intervento dotate della necessaria coerenza, organicità, programmazione.
4.2.2.− Per quanto concerne il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., invece, ci si trova innanzi a una fattispecie che non ha natura associativa e non richiede neppure la presenza di un’organizzazione volta alla commissione del reato. Esso ha una dimensione individuale, può riguardare anche condotte di minore rilievo – quale risulta essere quella del giudizio a quo – ed è punito con pene più lievi (massimo edittale di sette anni), senza che vi siano tantomeno deroghe al regime processuale ordinario.
Certamente si tratta di un reato che, come argomentato dall’Avvocatura generale dello Stato, può riscontrarsi anche nell’ambito delle attività della criminalità organizzata, allo stesso modo dei più gravi reati sopra esaminati.
Ciò non toglie, però, che tale condotta delittuosa ha ben altra portata e non costituisce, di per sé, un indice di appartenenza a un’organizzazione criminale.
Per tale ragione, farne dipendere con rigida consequenzialità la ricordata incapacità giuridica ad avere rapporti con le pubbliche amministrazioni appare non proporzionato ai caratteri del reato e allo scopo di contrastare le attività della criminalità organizzata (si vedano le sentenze di questa Corte n. 172 del 2012 e n. 141 del 1996) e risulta, quindi, contrario al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.
Altresì violato è l’art. 41 Cost., poiché l’estensione degli effetti interdittivi di cui all’art. 67, comma 8, cod. antimafia anche alle condanne per il delitto di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche provoca danni irragionevolmente elevati alla libertà d’iniziativa economica, sia sul piano patrimoniale, sia della “reputazione” imprenditoriale, specie per chi svolge attività lavorative e professionali in rapporto con la pubblica amministrazione.
4.2.3.− Si tenga presente che il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen. già era ed è considerato quale “reato spia” al fine dell’applicazione nei confronti dell’indiziato di una misura di prevenzione ex art. 4, comma 1, lettera i-bis), cod. antimafia. Inoltre, come già accennato, ai sensi del successivo art. 84, comma 4, lettera a), l’essere destinatario dei provvedimenti che per tale delitto dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva, costituisce un elemento da cui il prefetto può desumere un tentativo di infiltrazione mafiosa, idoneo a consentire l’adozione di una informazione antimafia interdittiva. Infine, gli artt. 32-ter e 32-quater cod. pen. consentono di aggiungere alla pena principale per il reato di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche anche quella accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione; pena i cui effetti sono in parte sovrapponibili alle conseguenze interdittive di cui all’art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia.
Ciò dimostra, da un lato, che la disposizione censurata s’inserisce in modo disarmonico in un contesto normativo nel quale, ai medesimi fini di contrasto alla penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto socio-economico, già sono regolate, seppur in modo diverso, le medesime misure limitative della libertà economica di chi sia destinatario di provvedimenti relativi al reato di cui all’art. 640-bis cod. pen.; e, dall’altro lato, e per la stessa ragione, che l’illegittimità costituzionale della novella legislativa lascia intatto il rilievo che tale reato possiede come indice d’infiltrazione mafiosa ai sensi dell’art. 84, comma 4, cod. antimafia.
5.− Restano assorbite le ulteriori censure di legittimità costituzionale indicate nell’ordinanza di rimessione.
6.− Ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, lettera d), del d.l. n. 113 del 2018, come convertito, deve essere dichiarata anche per la parte in cui inserisce all’art. 67, comma 8, cod. antimafia il reato previsto dall’art. 640, secondo comma, numero 1), cod. pen.
6.1.− Tale disposizione disciplina il delitto di truffa commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico (o dell’Unione europea) e lo punisce con la reclusione da uno a cinque anni; pena più severa di quella per la truffa semplice (da sei mesi a tre anni), ma inferiore alla forbice individuata dall’art. 640-bis cod. pen. (da due a sette anni).
L’affiancamento di tale reato a quelli di cui all’art. 51, comma 3-bis, cod. proc. pen. risulta, in tal modo, una scelta ancora più sproporzionata ed eccessiva di quella riguardante l’art. 640-bis cod. pen.
6.2.− Anche per la truffa ai danni dello Stato, d’altronde, l’esigenza di prevenire l’infiltrazione mafiosa nel tessuto socio-economico rimane coperta da altre previsioni legislative.
Da un lato, infatti, sebbene la truffa stessa non rientri tra i “reati spia” di cui all’art. 84, comma 4, cod. antimafia, una condanna per tale fattispecie può sempre costituire un elemento da cui desumere che il condannato vive abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; elemento che, ai sensi degli artt. 1, comma 1, lettera b), e 4 cod. antimafia, può portare all’adozione di una misura di prevenzione (con i conseguenti effetti interdittivi).
Dall’altro lato, anche per tale delitto, i già ricordati artt. 32-ter e 32-quater cod. pen. consentono di aggiungere alla pena principale quella accessoria dell’incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione; pena che, come sottolineato, ha effetti in parte sovrapponibili alle conseguenze interdittive di cui all’art. 67, commi 1 e 2, cod. antimafia.