Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 28 maggio 2025 n. 4640
PRINCIPIO DI DIRITTO
L’attività di repressione degli abusi edilizi, attraverso l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, dovendo considerarsi che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso.
I provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato.
L’ordine di demolizione di un abuso edilizio è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non essendovi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di appello si lamenta: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 9 e 21-octies legge 241/90; omessa comunicazione al ricorrente dell’avvio del procedimento amministrativo».
Parte appellante sostiene che:
– il Tar per la Campania ha rigettato la censura di nullità del provvedimento impugnato per omessa comunicazione da parte della P.A. ai ricorrenti dell’avvio del procedimento amministrativo assumendo che, in applicazione dell’art. 21-octies della legge 241/90, si tratterebbe di vizio meramente formale dal momento che la comunicazione omessa non avrebbe inciso sull’esito del procedimento che non potrebbe essere stato diverso anche in caso di comunicazione dell’avvio del procedimento ai ricorrenti;
– se il Tar avesse correttamente applicato la normativa in esame, avrebbe dovuto ritenere che la comunicazione dell’avvio del procedimento avrebbe invece potuto incidere sull’esito dello stesso atteso che i ricorrenti ebbero ad acquistare le rispettive unità immobiliari, facenti parte del fabbricato sito in Somma Vesuviana (Na) alla via Pizzone Cassante, 17, dalla precedente proprietaria signora Lucia Pingitore nello stato di fatto e di diritto in cui esse si trovavano;
– se il Comune di Somma Vesuviana avesse comunicato l’avvio del procedimento, i ricorrenti avrebbero potuto rappresentare al Comune stesso che in realtà, come emerso a seguito di accesso agli atti amministrativi effettuato prima di procedere all’acquisto immobiliare, il fabbricato era conforme alla concessione edilizia in sanatoria n. 1883/86 del 24/09/2003 rilasciata proprio dal Comune di Somma Vesuviana e che l’opera era stata realizzata in “zona bianca”, non soggetta a vincoli di sorta, come testimoniato dal certificato di destinazione urbanistica rilasciato in tale circostanza dal Comune di Somma Vesuviana;
– il mancato compimento di tale incombente procedurale ha obiettivamente determinato un’illegittima compressione e lesione del diritto di difesa del cittadino che, inconsapevole, fino al momento della notifica del provvedimento amministrativo adottato, della procedura a suo carico, non è stato messo in condizioni di intervenire nell’iter determinativo della P.A., come facultato dall’art. 9 l. 241/90 e, dunque, di poter esternare le proprie valutazioni e considerazioni difensive che avrebbero potuto incidere sull’azione amministrativa in senso a lui favorevole.
- Con il secondo motivo di appello si lamenta: «Violazione e falsa applicazione nonché eccesso di potere e carenza di motivazione in ordine all’ art. 97 Cost., art. 10-bis legge 241/90, artt. 3, 31 d.p.r. 380/01 e s.m.i.».
Gli appellanti sostengono che:
– la decisione impugnata è errata nella parte in cui ha affermato che la deduzione secondo cui il fabbricato in Somma Vesuviana alla via Pizzone Cassante, 17 sarebbe conforme alla normativa urbanistica sarebbe rimasta indimostrata in guisa da rendere il ricorso infondato;
– il primo giudice ha omesso di considerare che, essendo il fabbricato de quo regolarmente assentito con C.E. in sanatoria n. 1883/1986 (ex legge 47/85) del 24/09/2003, il Comune di Somma Vesuviana non avrebbe potuto ingiungere la demolizione del manufatto senza prima procedere all’annullamento della detta C.E. in sanatoria, previo avvio del relativo procedimento;
– tale attività amministrativa sebbene costituisse il presupposto logico/giuridico indefettibile dell’ordinanza impugnata, non è mai stata compiuta dal Comune resistente, rendendo, dunque, l’ordinanza di demolizione impugnata del tutto illegittima;
– il Tar non ha considerato, inoltre, che la circostanza che il fabbricato sia conforme alla concessione edilizia in sanatoria n. 1883/86 si desume anche dal certificato di destinazione urbanistica prot. n. 20079/03 rilasciato dal Comune di Somma Vesuviana, prodotto in atti, da cui risulta che il manufatto ricade in “zona bianca” non soggetta a vincoli di sorta e giammai in zona “agricola”, come affermato nella premessa dell’ordinanza impugnata;
– tale dirimente documento risulta anche allegato all’atto di compravendita intervenuto tra la signora Lucia Pingitore, dante causa degli odierni ricorrenti, ed i precedenti proprietari del fabbricato de quo, signori Nicola Mastrogiacomo e Maria D’Onofrio e dimostra che il fabbricato ricade in zona D/2 e non zona agricola;
– trattandosi, dunque, di “zona bianca” ovvero di zona industriale D/2 ammesso e non concesso che siano state effettivamente realizzate opere in difformità, il Tar cade in errore laddove afferma in parte motiva che, trattandosi di opere necessitanti di permesso a costruire, ai sensi dell’art. 31 del T.U. dell’Edilizia, per le stesse sarebbe stato legittimamente emesso provvedimento di demolizione laddove, di converso, le presunte difformità, proprio perché ricadente l’opera in zona D/2, ben potevano essere sanate anche con d.i.a.. Come di fatto avvenuto, essendo stati i cespiti acquistati dai ricorrenti realizzati dalla loro dante causa, signora Pingitore, in forza di Concessione Edilizia in sanatoria (n. 1883/86 del 24/03/2003) ed ultimati con regolare d.i.a. n. 12203 del 03/07/06 per l’autorizzazione ai “lavori di ristrutturazione al fabbricato con diversa distribuzione interna e divisione delle unità abitative”;
– la decisione del Tar è censurabile anche per quel che riguarda il frazionamento dei due appartamenti in quattro unità;
– come asseverato anche dalla relazione del CTP Geom. Di Palma, in atti, le opere di frazionamento sono state autorizzate dal Comune di Somma Vesuviana con regolare d.i.a. n. 12203 del 03/07/06, riscontrata con nota dell’Ufficio Tecnico del Comune di Somma Vesuviana del 06/07/2006, anch’essa in atti, che autorizzava la dante causa dei ricorrenti, signora Pingitore, al frazionamento delle unità abitative al piano terra ed al primo piano e la realizzazione di box pertinenziali al piano seminterrato nonché alla divisione del piano cantinato preesistente in cinque ambienti ad uso deposito;
– anche per tale titolo abilitativo vale quanto sopra evidenziato circa la mancata adozione da parte della P.A. di qualsivoglia provvedimento di annullamento/revoca che avrebbe dovuto necessariamente precedere l’ordinanza di demolizione;
– era quanto meno doveroso che il Tar ordinasse al Comune di Somma Vesuviana, rimasto contumace, di chiarire la vicenda relativa alla zona del proprio territorio, censita al foglio 2, p.lle 327 – 447, ove è stato realizzato il fabbricato de quo, nonché mediante l’esibizione in giudizio di tutta la documentazione inerente alla realizzazione del detto fabbricato ponendo rimedio ai troppi punti oscuri del proprio operato. Istanza che viene reiterata in appello.
- L’appello è in parte inammissibile e in parte infondato.
- Infondato è primo motivo di appello con il quale si lamenta l’omesso invio della comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo.
Come ribadito, ex multis, da Cons. Stato, sez. VI, 23/11/2022, n. 10340, l’attività di repressione degli abusi edilizi, attraverso l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, dovendo considerarsi che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso.
Peraltro le circostanze allegate dalla parte appellante non dimostrano affatto che l’esito sarebbe stato diverso se fosse stato comunicato l’avvio del procedimento.
Non ha rilievo, infatti, la circostanza che gli immobili erano stati acquistati da un terzo nello stato di fatto e diritto in cui si trovavano.
I provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato (Cons. Stato, sez. VI, 10/05/2021, n. 3660).
I rapporti tra le parti appellanti e la loro dante causa non hanno rilevanza sotto lo specifico aspetto trattato in questa sede, né rileva che il fabbricato sarebbe stato conforme alla concessione edilizia in sanatoria n. 1883/86 del 24/09/2003. L’atto impugnato motiva l’ordine di demolizione (tra l’altro) con l’inclusione dell’area interessata nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana, ma (come si dirà) nessuna censura viene mossa nell’atto di appello avverso la statuizione di primo grado sul punto specifico.
Gli appellanti non hanno fornito neanche un principio di prova in ordine al fatto che sarebbero stati in grado di orientare in maniera diversa l’esito del procedimento. E non hanno neanche contestato tutti gli elementi che rendevano necessitato l’esito del procedimento stesso.
- Il secondo motivo di appello è inammissibile e comunque infondato.
- Occorre preliminarmente rilevare che la sentenza impugnata contiene alcune statuizioni avverso le quali l’appellante non muove alcuna specifica censura.
In particolare, nella sentenza impugnata si afferma quanto segue:
«In realtà, il provvedimento impugnato denota l’esecuzione di opere necessitanti del permesso di costruire (e non sanate con la concessione rilasciata o eseguite “ex novo”), di cui legittimamente è stata ingiunta la demolizione, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001, con avvertenza della successiva acquisizione in caso di inottemperanza.
In base all’art. 10 del citato D.P.R. n. 380 del 2001, sono infatti subordinati a permesso di costruire gli interventi di nuova costruzione che, in base alle definizioni dettate dall’art. 3, co. 1, lett. e), del medesimo D.P.R., sono quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nella manutenzione ordinaria o straordinaria, nel restauro e risanamento conservativo, ovvero nella ristrutturazione edilizia (in particolare, la lett. e.1) definisce “interventi di nuova costruzione” “la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente”).
Le opere prive di titolo abilitativo, indicate nel provvedimento impugnato (mansarda e piano seminterrato, non sanati e che occorreva demolire o rinterrare, nonché i quattro garage realizzati), concretizzano appunto una trasformazione del territorio, in disparte ogni altra considerazione sulla sussistenza di vincoli paesaggistici comportanti l’obbligo di acquisire una preventiva autorizzazione per qualsiasi modificazione dello stato dei luoghi.
Lo stesso è a dirsi per il frazionamento dei due appartamenti in quattro unità, arrecante aggravio del carico urbanistico in area ulteriormente soggetta al vincolo di cui alla richiamata L.R. n. 21 del 2003, che vieta l’edificazione a scopo residenziale nella c.d. zona rossa, contrassegnata dal rischio vulcanico».
Avverso dette statuizioni, parte appellante non muove specifiche censure. Ci si riferisce, in particolare: a) alla statuizione secondo la quale le opere richiedevano la concessione edilizia; b) alla statuizione secondo cui l’area interessata era contrassegnata da rischio vulcanico e come tale inibita alla edificazione a scopo residenziale.
Come chiarito da Cons. Stato, sez. III, 14/04/2023, n. 3776, nel processo amministrativo d’appello la mancata critica anche di una sola delle plurime rationes decidendi poste a base dello specifico capo della sentenza di primo grado fatto oggetto d’impugnazione vale a rendere inammissibile per carenza d’interesse la censura delle restanti rationes se ed in quanto le prime siano di per sé idonee a sorreggere la pronuncia sul punto.
- In ogni caso il motivo è infondato.
La Sezione ha disposto l’acquisizione dei documenti citati in narrativa.
Tali provvedimenti non forniscono conforto alle tesi di parte appellante.
Come si legge nell’atto impugnato, il Comune di Somma Vesuviana è un Comune sottoposto ai vincoli di cui al d.lgs. 42/2004 e rientra nelle zone a rischio vulcanico dell’area vesuviana ed è assoggettato alla legge della Regione Campania n. 21/2003, che vieta, nei comuni rientranti nella zona rossa ad alto rischio vulcanico, il rilascio di titoli edilizi abilitanti la realizzazione di interventi finalizzati all’incremento dell’edilizia residenziale, come definiti dall’art. 2, e cioè mediante l’aumento dei volumi abitabili e dei carichi urbanistici derivanti dai pesi insediativi nei rispettivi territori.
La DIA non è sufficiente a legittimare opere che hanno provocato un aumento dei volumi abitabili e dei carichi urbanistici.
E, come rilevato dal Tar, le opere indicate nel provvedimento impugnato (mansarda e piano seminterrato, nonché i quattro garage realizzati), concretizzano una trasformazione del territorio che (al di là delle considerazioni svolte circa l’esistenza dei richiamati vincoli) necessitavano del rilascio del titolo edilizio pieno (cfr. Cons. Stato, sez. VII, 02/11/2023, n. 9416: la trasformazione di un garage o di una soffitta in un locale abitabile si configura come un ampliamento della superficie residenziale e della relativa volumetria autorizzate con l’originario permesso di costruire e non può essere ritenuta urbanisticamente irrilevante).
- Priva di pregio è la tesi sostenuta da parte appellante nella memoria depositata in vista dell’udienza secondo la quale il provvedimento impugnato violerebbe il principio di affidamento.
Come ribadito, ex multis, da Cons. Stato, sez. VI, 24/03/2023, n. 3001, l’ordine di demolizione di un abuso edilizio è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non essendovi alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana.
- Le conclusioni raggiunte non sono inficiate dalla perizia depositata in appello. In ogni caso si tratta di una perizia inammissibile: ai sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a. e, più in generale, di quanto previsto dall’art. 345 c.p.c., nel giudizio amministrativo di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, compresa la perizia di parte prodotta per la prima volta in grado di appello, trattandosi di documentazione che dalla parte avrebbe ben potuto essere acquisita e prodotta già nel primo grado di giudizio (Cons. Stato, sez. IV, 07/01/2019, n. 114).
- Per le ragioni esposte l’appello deve essere rigettato.
Nulla sulle spese a causa della mancata costituzione della parte appellata.
Il compenso del Commissario ad acta è posto definitivamente a carico della parte appellante.
Tale compenso verrà liquidato in via definitiva con successivo provvedimento previa presentazione della relativa parcella da parte del Commissario nel rispetto dei termini e nei limiti di cui agli artt. 50, 57, 71 e 168 del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”).