Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza 21 ottobre 2025 n. 34292
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va escluso che il principio di doppia conformità, alla base della sanatoria edilizia (di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), che implica l’identità delle opere al momento della loro realizzazione e al momento della richiesta di sanatoria, trovi applicazione per le varianti, le quali, per definizione, implicano un mutamento dell’opera edilizia da realizzare, rispetto a quanto assentito con l’originario permesso di costruire
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso – i cui motivi possono essere trattati congiuntamente – è fondato.
1.1. Va premesso che la condanna pronunciata dalla Corte territoriale con riferimento al capo 1 dell’imputazione – l’unico che qui assume rilievo – ruota intorno alla considerazione che l’acquisizione di terreni a fine di rendere possibile la cessione di cubatura sia stata effettuata in un momento successivo rispetto alla realizzazione dell’abuso e sia stata oggetto di una sanatoria illegittima.
La difesa sostiene invece che non si sia trattato di una sanatoria, ma di una variante regolarmente autorizzata, e fa leva sull’assoluzione della coimputata A.A., pronunciata con sentenza passata in giudicato, per insussistenza del fatto.
1.2. Dalla lettura dell’Imputazione e dalla ricostruzione fatta propria dalla sentenza impugnata, emerge che il capo 1 ha per oggetto cinque violazioni: a) il calcolo della superficie assentita, in quanto era stata utilizzata una particella non oggetto del permesso; b) l’altezza assentita, perché calcolata sulla base di un edificio posto ad una distanza di circa 50 m e non sulla base di edifici più prossimi e più bassi; c) l’utilizzazione di una ulteriore volumetria di me 1171,42, non realizzabile; d) la distanza del fabbricato dalla sede stradale; e) l’altezza dei sottotetti.
1.3. Per quanto qui strettamente rileva, l’imputato è stato assolto in primo grado sulla base delle seguenti considerazioni.
1.3.1. Quanto al capo la, si afferma che la cessione di cubatura, che aveva consentito l’utilizzazione di una maggiore superficie utile, era da considerarsi legittima, perché, nella fase di rilascio dell’originario permesso, quando si era determinato l’effettivo asservimento, il proprietario della particella asservita era comproprietario a pieno titolo delle particelle asserventi.
L’asservimento non necessitava di un preventivo atto, ma si era determinato per effetto del rilascio del titolo, che aveva vincolato la cubatura della particella asservita alle particelle asserventi.
L’eventuale atto scritto di asservimento avrebbe costituito, secondo il giudice di primo grado, solo un rafforzamento della sua opponibilità, già garantita dall’annotazione dell’asservimento della particella in questione sul registro dei permessi di costruire, con riferimento ad entrambi i permessi oggetto dell’imputazione (n. 805 del 20 marzo 2018 e n. 7483 del 24 luglio 2018).
Inoltre, sempre per il primo giudice, l’asservimento doveva essere ritenuto legittimo, perché la particella asservita confinava effettivamente con le altre, in quanto separata da queste da strada privata e non da strada pubblica.
1.3.2. Quanto al capo 1b, relativo all’altezza dell’edificio, il giudice di primo grado ha ritenuto che ci si dovesse riferire non alla media degli edifici circostanti ma all’edificio più alto preesistente nell’area e, dunque, ad un edificio posto a distanza di circa 50 m, separato dalle nuove costruzioni da una strada privata ad uso pubblico, che non interrompe la zona omogenea B2.
1.3.3. Quanto al capo 1c, il giudice di primo grado ha ritenuto che tutti gli elementi strutturali concorressero alla volumetria del manufatto e che i piani interrati non potessero essere esclusi dalla base di calcolo della volumetria esistente, per determinare quelle in aumento, dovendosi al contrario escludere solo i vani tecnici.
1.3.4. In relazione alla distanza dal piano stradale, oggetto del capo 1d, la sentenza di primo grado ha ritenuto che la via (OMISSIS), presa come riferimento dal pubblico ministero per calcolare la fascia di rispetto, non fosse una strada pubblica, ma una strada privata ad uso pubblico, per la quale non ha efficacia la fascia di inedificabilità richiamata nel capo di imputazione.
Si tratterebbe, inoltre, di un fabbricato posto nel centro abitato e, dunque, escluso in ogni caso dall’applicazione di una fascia di rispetto stradale, in forza del piano urbanistico comunale.
1.3.5. Infine, quanto all’altezza media di sottotetti (capo 1c), il giudice di primo grado ha constatato che essi non erano presenti nel progetto e non erano mai stati realizzati.
- Nell’accogliere l’appello del pubblico ministero, la Corte territoriale – come anticipato – ha ritenuto che il permesso di costruire n. 7483 del 24 luglio 2018 fosse un permesso di costruire in sanatoria illegittimo, per violazione del principio della doppia conformità delle opere rispetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione sia al momento della presentazione della sanatoria.
La sentenza richiama la giurisprudenza di legittimità e la giurisprudenza amministrativa sul punto, nonché la sentenza della Corte costituzionale n. 101 del 2013, evidenziando le differenze strutturali fra sanatoria e condono edilizio.
Tali principi – secondo la Corte d’appello – troverebbero applicazione nel caso di specie, perché l’edificazione si era basata su un asservimento che era avvenuto in pendenza del procedimento di sanatoria.
L’oggetto della sanatoria era dunque diverso rispetto all’oggetto dell’edificazione di partenza, perché comprendeva in sé un asservimento originariamente non compreso; vi era stata, in altri termini, una modificazione della situazione iniziale, che escludeva in radice l’applicazione del principio di doppia conformità, il cui presupposto è l’identità delle opere al momento della loro realizzazione e al momento della richiesta di sanatoria.
Quanto, poi, alla sentenza di assoluzione di A.A., per insussistenza del fatto, la stessa è stata ritenuta dalla Corte d’appello irrilevante, perché tale assoluzione non trova fondamento in una diversa valutazione del fatto stesso, ma semplicemente in una diversa ricostruzione giuridica.
- Deve osservarsi che, dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che la stessa, pur in presenza di un ricorso del pubblico ministero che riguardava anche i punti b), c), d), e) del capo 1 dell’imputazione, si è pronunciata sul solo capo la), pur facendo, nel dispositivo, generico riferimento al capo 1.
In mancanza di ricorso per cassazione del pubblico ministero, deve ritenersi che, quanto alle violazioni di cui ai punti b), c), d), e) del capo 1, la pronuncia assolutoria di primo grado sia divenuta definitiva, non essendo state smentite, da parte della Corte territoriale, le valutazioni del primo giudice sull’altezza delle costruzioni, sulla volumetria, sulla distanza dalla strada, sull’altezza dei sottotetti.
- Relativamente al capo la, unico oggetto della pronuncia della Corte di appello, deve rilevarsi come la stessa imputazione qualifichi il permesso di costruire n. 7483 del 24 luglio 2018, come permesso di costruire in variante e non come permesso di costruire in sanatoria.
Del resto, la stessa Corte d’appello, nella sua diffusa motivazione, si limita a richiamare astratti principi di diritto ritenuti applicabili, ma non spiega la ragione per la quale tale permesso, contro la sua stessa denominazione di variante, debba essere qualificato come permesso in sanatoria.
Ed è evidente che il principio di doppia conformità, alla base della sanatoria edilizia (di cui all’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001), implica l’identità delle opere al momento della loro realizzazione e al momento della richiesta di sanatoria e, perciò, non trova applicazione per le varianti, le quali, per definizione, implicano un mutamento dell’opera edilizia da realizzare, rispetto a quanto assentito con l’originario permesso di costruire.
In questo quadro, si inscrive l’asservimento della particella di cui all’imputazione, che la Corte di appello qualifica come mutamento dell’opera edilizia, come tale escluso dalla sanatoria, senza evidenziare quale sia la tempistica dell’asservimento stesso in riferimento al secondo permesso di costruire, quello del 24 luglio del 2018.
- Corretta, appare invece, in linea di principio, l’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’assoluzione di A.A., per insussistenza del fatto, non impone di per sé l’assoluzione del coimputato L.L. nel presente giudizio.
Deve infatti ricordarsi che l’acquisizione della sentenza irrevocabile di assoluzione del coimputato del medesimo reato non vincola il giudice, che, fermo il principio del ne bis in idem, può rivalutare anche il comportamento dell’assolto, al fine di accertare la sussistenza ed il grado di responsabilità dell’imputato da giudicare (ex plurimis, Sez. 5, n. 15 del 21/11/2019, dep. 2020, Rv. 278389; Sez. 2, n. 9693 del 17/02/2016, Rv. 266656; Sez. 4, n. 19267 del 02/04/2014, Rv. 259371).
- Da quanto precede consegue l’annullamento della sentenza, con rinvio alla Corte di appello di Napoli, perché proceda a nuovo giudizio, nei limiti e in applicazione dei principi di diritto sopra esposti.


