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*Urbanistica ed edilizia – Beni pubblici e privati – Proprietà possesso e diritti reali – Abuso realizzato su suolo pubblico e soggetto al quale appartiene il manufatto abusivo

by Bianca Stella Scarinci - Praticante Avvocato del Foro di Roma
9 Febbraio 2023
in Diritto Amministrativo
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MASSIMA.

Le opere edilizie realizzate, ancorché abusivamente, su suolo del pubblico demanio, appartengono all’ente secondo il regime privatistico generale dell’accessione ex art. 934 cc. La disposizione dell’art. 35 del DPR 380/2001, secondo la quale l’ente deve ordinare all’autore la demolizione delle opere per ripristinare l’uso pubblico dell’area, è superata quando l’ente stesso decida di trasformare l’area in patrimonio disponibile e di alienarla ai cittadini richiedenti, comprese le costruzioni che vi accedono, nel caso in cui l’area risulti di fatto sottratta alla sua vocazione di bene pubblico. La decisione di alienazione è pertanto motivata dalla scelta alternativa effettuata dall’ente di restituire un’utilità alla comunità attraverso l’entrata patrimoniale derivante dalla vendita.

_____________

La ricorrente impugna la deliberazione n. 77 del 7/8/2014 della Giunta del Comune di Cerchio che ha concluso il procedimento avviato con delibera consiliare n. 29 del 7/11/2005, disponendo l’alienazione di un’area sdemanializzata ai frontisti che ne avevano fatto formale richiesta e, fra questi, alla dante causa della ricorrente che su tale area demaniale aveva realizzato una scala in ferro e un pollaio, poi destinato a locale di servizio.

La deliberazione è impugnata nella parte in cui assegna alla ricorrente una quota dell’area demaniale ritenuta non confacente ai suoi interessi e riserva ad uso comune i manufatti ivi realizzati dalla sua dante causa.

Il ricorso è affidato ai seguenti motivi:

1) violazione di legge – capo IV-bis introdotto nella legge n. 241/1990 con le modifiche disposte dalla legge n. 15/2005; la deliberazione impugnata mancherebbe dell’indicazione del pubblico interesse, nonché della necessaria motivazione mediante enunciazione della causa giuridica o della ragione concreta che ha determinato l’assunzione della decisione;

  1. violazione di legge – art. 825 c.c.; la deliberazione impugnata disporrebbe di un bene privato (scala in ferro di proprietà della ricorrente), mai espropriato, come un bene pubblico da destinare ad accesso comune tra i frontisti;
  2. violazione di legge – art. 10 bis della legge 241/1990; il Comune non avrebbe preavvisato la ricorrente del rigetto delle osservazioni procedimentali con le quali aveva evidenziato l’insistenza sul suolo demaniale, che in base alla delibera del Consiglio Comunale n. 19 del 1/8/2005 è destinato ad altro frontista, di un locale di servizio, prima adibito a pollaio, e della scala in ferro realizzata oltre ottant’anni addietro, chiedendo di poter acquistare l’area in misura diversa, al fine di salvaguardare entrambi i manufatti, il secondo dei quali permette l’accesso all’immobile di sua proprietà;
  3. eccesso di potere – assenza della motivazione nella deliberazione 77 del 7/8/2014; secondo la ricorrente la decisione del Comune di vendere una porzione ad un frontista che non l’ha mai utilizzata sarebbe immotivata e pregiudizievole del suo diritto di proprietà esclusiva della scala;
  4. eccesso di potere – carattere abusivo della scala in ferro; il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo perché il Comune non avrebbe giustificato la decisione di disporre della scala di proprietà della ricorrente, né potrebbe dirsi legittimato a disporne perché trattasi di opera realizzata senza un titolo edilizio; infatti la p.a. non potrebbe né demolirla, né disporne altrimenti senza allegare un interesse pubblico prevalente sull’affidamento del proprietario consolidatosi nel lungo tempo trascorso dalla realizzazione dell’opera;
  5. disparità di trattamento; irragionevolezza manifesta; violazione del principio di certezza giuridica e del principio di affidamento; la ricorrente, per effetto del provvedimento impugnato, vedrebbe diminuita la consistenza del proprio terreno e compresso l’uso della scala di accesso, per doverne condividere l’uso con il frontista controinteressato.

Resistono il Comune di Cerchio e Antonia Cipriani che eccepiscono;

– in rito, l’inammissibilità del ricorso perché la lesione lamentata dalla ricorrente sarebbe riconducibile alla deliberazione consiliare n. 29 del 7/11/2005 di cui la deliberazione n. 77 del 7/8/2014 sarebbe meramente esecutiva;

– nel merito, l’appartenenza al patrimonio del Comune delle opere abusive realizzate dalla dante causa della ricorrente su suolo demaniale e l’insindacabilità della decisione di disporne liberamente in favore dei frontisti.

All’udienza del giorno 11 gennaio 2023 il ricorso è passato in decisione.

Non occorre esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune e dalla controinteressata perché il ricorso è infondato nel merito.

Occorre premettere che le opere edilizie realizzate abusivamente su suolo pubblico appartengono all’ente che ne è titolare secondo il regime generale dell’accessione ex art. 934 c.c.

Secondo la disciplina speciale dettata dall’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001 l’ente pubblico deve ordinarne all’autore la demolizione per ripristinare l’uso pubblico dell’area di sedime.

Nel caso in decisione l’ordinanza in precedenza adottata dal Comune di Cerchio di demolizione della scala e del manufatto di servizio realizzate, come riconosciuto nel terzo motivo di ricorso, dalla dante causa della ricorrente su suolo demaniale, è stata superata dalla decisione del Comune di alienare l’area pubblica e con essa le costruzioni che vi accedono.

La deliberazione consiliare n. 29/2005, prodromica all’adozione della delibera di Giunta impugnata, dispone di acquisire al patrimonio disponibile l’area di fatto sdemanializzata perché occupata da varie opere realizzate nel tempo dai frontisti e di cederla ai cittadini che ne hanno fatto richiesta, avendone constatato la scarsa utilità per i fini pubblici.

L’operazione decisa dal Consiglio e attuata dalla Giunta regionale risponde quindi a un interesse pubblico chiaramente esplicitato nella deliberazione consiliare di cedere a titolo oneroso un’area ormai sottratta alla sua vocazione di bene pubblico perché in varie parti occupato da manufatti realizzati dai privati la cui rimozione non è quindi più necessaria.

Il primo motivo di ricorso che, nonostante la chiara finalità dell’operazione di alienazione, lamenta la mancata enunciazione della causa giuridica o della ragione concreta della deliberazione impugnata è quindi smentito ex actis.

Devono essere respinti anche il secondo, quarto, quinto e sesto motivo, da esaminarsi congiuntamente perché fondati sull’errato presupposto che la scala e il manufatto realizzati dalla dante causa della ricorrente non appartengano al Comune.

Al contrario, proprio perché, come detto, si tratta di opere che accedono ex art. 934 c.c. al suolo sul quale abusivamente sono state realizzate, il Comune ha potuto disporne nell’esercizio delle facoltà inerenti al diritto di proprietà, avendone dichiarato la sdemanializzazione e l’acquisizione al patrimonio disponibile con la deliberazione consiliare n. 29/2005.

Peraltro, tutte le critiche rivolte dalla ricorrente all’assetto che il Comune ha inteso dare al piano di cessione dell’area ripartendola fra i frontisti, hanno ad oggetto, non la deviazione dell’esercizio del potere dalla finalità di interesse pubblico di disfarsi di un bene non più utile alla comunità realizzando al contempo un’entrata patrimoniale, ma l’asserita lesione di un inesistente suo diritto di proprietà sui manufatti abusivi, che invece, come detto, appartengono per accessione del Comune.

Ne consegue che anche le osservazioni del 16.10.2008 con le quali la ricorrente ha chiesto la cessione di un’area diversa da quella individuata dal Comune per dare un assetto diverso alla sua proprietà hanno la natura di una mera controproposta contrattuale, perché non sollevano rilievi sull’esercizio del potere esercitato.

Solo in tal caso infatti il Comune avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali non ha inteso accogliere le osservazioni.

Anche il terzo motivo pertanto deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

TAR ABRUZZO – L’AQUILA, I – sentenza 02.02.2023 n. 56 –

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