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*Urbanistica ed edilizia – Obbligazioni e contratti – Creditore non responsabile di abuso, confisca edilizia ed esclusa estinzione automatica dell’ipoteca

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
22 Maggio 2025
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sez. Unite Civili, ordinanza 25 aprile 2025 n. 10933

PRINCIPIO DI DIRITTO

Va ritenuta palese l’irragionevolezza di una disciplina che determina l’automatica estinzione del diritto reale di ipoteca e il conseguente pregiudizio alla tutela del credito, a scapito di un creditore ipotecario che non sia responsabile dell’abuso, il quale finisce per subire le conseguenze sanzionatorie di un illecito al quale è del tutto estraneo, poiché – se non è responsabile dell’abuso edilizio – non può essere destinatario dell’ordine di demolizione, di cui all’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, e, dunque, non può rispondere dell’inottemperanza all’ordine.

Va prevista la trasmissione dell’obbligo di demolizione in capo all’acquirente del bene acquisito al patrimonio disponibile del Comune che, per le ipotesi di non sanabilità dell’abuso, impone all’aggiudicatario di dover provvedere alla demolizione dell’opera abusiva, a conferma del fatto che non si tratta, come invece dubitato da parte di queste stesse Sezioni Unite, di una prerogativa esclusiva dell’ente pubblico.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

[…]

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 160 del 3 ottobre 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 7, terzo comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 31, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante:

“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)”, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 42 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dalla Corte di cassazione, sezioni unite civili, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ed ha dichiarato, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27dellalegge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 3, primo e secondo periodo, del D.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui non fa salvo il diritto di ipoteca iscritto a favore del creditore, non responsabile dell’abuso edilizio, in data anteriore alla trascrizione nei registri immobiliari dell’atto di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire.  

La Consulta, dopo aver ribadito che nella fattispecie è applicabile solo l’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, ha ritenuto fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate in riferimento agli artt. 3, 24 e42 Cost.

Richiamato il contenuto della norma (anche in relazione al punto per cui la novella del 1985 non prevede più che le opere gratuitamente acquisite dal comune entrino a far parte del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico e non subordina più l’acquisizione del bene e dell’area di sedime all’adozione di un’ordinanza motivata del sindaco, vidimata e resa esecutiva dall’autorità giudiziaria, come invece statuiva l’art. 15, commi terzo, quarto e quinto, della legge n. 10 del 1977), la sentenza ha condiviso il presupposto interpretavo dal quale prendeva le mosse l’ordinanza di rimessione delle Sezioni Unite, quanto alla qualifica di acquisto a titolo originario da parte del Comune che reca con sé la conseguenza dell’estinzione del diritto reale di garanzia, evidenziando come in realtà a favore di tale qualifica si fosse formato un diritto vivente.

È stato altresì rimarcato che l’onere della trascrizione rientra nell’ambito della funzione della pubblicità di natura dichiarativa, costituendo (come anche chiarito dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 16 del 2023) l’adempimento all’onere di trascrizione “… un atto indispensabile al fine di rendere pubblico nei rapporti con i terzi l’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà e consolidarne gli effetti”.

La Corte Costituzionale ha però ritenuto irragionevole il sacrificio imposto al creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio.

La sentenza ha preso le mosse dalla protezione peculiare che l’ordinamento giuridico accorda al diritto di ipoteca, che discende dalla realità del diritto di garanzia e dalla sua accessorietà al credito, così che essendo una componente del patrimonio del creditore, comporta, in caso di espropriazione per pubblica utilità, un obbligo indennitario al pari degli altri diritti reali, come previsto dall’art. 25, comma 1, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 , recante “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità. (Testo A)” e gode di una tutela riconducibile all’art. 42Cost.

Ciò implica che la sua tutela sia attratta nell’alveo protettivo dell’art. 24 Cost., quale strumento vòlto ad assicurare una tutela preferenziale del credito in sede esecutiva.

Una volta ricostruito il meccanismo di tutela che l’ordinamento accorda al creditore ipotecario e che richiama lo schermo protettivo degli artt. 24 e 42 Cost., la Corte ha ricordato che l’acquisizione ex lege da parte del comune integra “una sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione, che “rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla” (sentenza n. 345 del 1991, punto 2. del Considerato in diritto; nello stesso senso, sentenza n. 427 del 1995 e ordinanza n. 82 del 1991; analogamente, Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 26 gennaio 2006, n. 1693)”.

Ciò ha indotto a ritenere che – qualora il proprietario sia radicalmente estraneo all’illecito e “non abbia la possibilità di ottemperare direttamente all’ordine di demolizione” (sentenza n. 345 del 1991), non essendo il bene nella sua materiale disponibilità, “non ricorr(o)no i presupposti per l’acquisizione gratuita del bene (e) la funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico violato dall’abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d’ufficio” (sentenza n. 140 del 2018, che riprende la sentenza n. 345 del 1991).

Avuto riguardo a tale funzione, è stata reputata palese l’irragionevolezza di una disciplina che determina l’automatica estinzione del diritto reale di ipoteca e il conseguente pregiudizio alla tutela del credito, a scapito di un creditore ipotecario che non sia responsabile dell’abuso, il quale finisce per subire le conseguenze sanzionatorie di un illecito al quale è del tutto estraneo, poiché – se non è responsabile dell’abuso edilizio – non può essere destinatario dell’ordine di demolizione, di cui all’art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, e, dunque, non può rispondere dell’inottemperanza all’ordine.

Né potrebbe opinarsi nel senso che il creditore ipotecario non sia obbligato propter rem alla demolizione, posto che tale diritto reale di garanzia non gli attribuisce né il possesso né la detenzione del bene.

Non vi sono perciò ragioni per circoscrivere la tutela del creditore ipotecario al solo caso in cui abbia iscritto ipoteca sul terreno o sia divenuto cessionario del diritto prima della realizzazione dell’immobile abusivo, in quanto la natura abusiva di un immobile non incide sulle vicende relative al diritto di ipoteca.

Conforta tale conclusione anche il dettato dell’art. 17, primo comma, secondo periodo, della legge n. 47 del 1985, abrogato dal t.u. edilizia e sostituito dall’art. 46, comma 1, secondo periodo, delD.P.R. n. 380 del 2001, di identico tenore , che esclude che la nullità degli atti tra vivi aventi per oggetto il trasferimento di diritti reali sugli immobili, rispetto ai quali non risultino gli estremi della concessione a edificare o della concessione in sanatoria, si applichi agli atti costitutivi, modificativi o estintivi di diritti reali di garanzia (di analogo contenuto,- con riferimento alle opere realizzate prima del 1 ottobre 1983 e non condonate – l’art. 40, secondo comma, dellalegge n. 47 del 1985).

Inoltre, la sentenza che accerta tale nullità non pregiudica i diritti reali di garanzia acquisiti in base a un atto iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda diretta a far accertare detta nullità (artt. 17, terzo comma, e40, quarto comma, della legge n. 47 del 1985, nonché, di seguito,art. 46, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001), ponendosi una deroga all’art. 2652, primo comma, numero 6), cod. civ., che, viceversa, fa salvi i diritti acquistati a qualunque titolo dai terzi solo se la domanda di nullità è stata trascritta cinque anni dopo la trascrizione dell’atto impugnato e solo se i terzi hanno trascritto o iscritto in buona fede il loro atto anteriormente alla trascrizione della domanda.

Tale disciplina denota quindi come la ratio sottostante risponda all’esigenza di offrire una particolare protezione al creditore titolare di diritti reali di garanzia, sul presupposto che le ragioni creditorie risultino estranee a quelle istanze di tutela dei traffici giuridici e di contrasto alle finalità speculative, insite nella disciplina di repressione dell’abusivismo, che giustificano la nullità di cui ai citati artt. 17, primo comma, primo periodo, e 40, secondo comma, della legge n. 47 del 1985, nonché 46, comma 1, primo periodo, t.u. edilizia.

Né deve trascurarsi la necessità di raccordare la tutela del diritto di ipoteca con le regole che presiedono le procedure esecutive che investono immobili abusivi, che sono esentate dalla sanzione della nullità, essendo la stessa inapplicabile agli atti “derivanti da procedure esecutive immobiliari, individuali o concorsuali” (art. 17, quinto comma, della legge n. 47 del 1985, introdotto con l’art. 8, comma 5-bis, del decreto-legge 23 aprile 1985, n. 146, recante “Proroga di taluni termini di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, concernente norme in materia di controllo dell’attività urbanistico edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive”, convertito, con modificazioni, nella legge 21 giugno 1985, n. 298, anch’esso in seguito abrogato dal t.u. edilizia e riprodotto nel corrispondente art. 46, comma 5, del D.P.R. n. 380 del 2001).

Con specifico riferimento alla questione che pone il ricorso in esame, è stato quindi affermato che la presenza di un abuso edilizio non incide sulla circolazione e sulla tutela del credito ipotecario, le cui facoltà si fanno valere in sede espropriativa, nel rispetto della normativa urbanistico-edilizia, non essendovi valide ragioni per cui il creditore ipotecario, non responsabile dell’abuso edilizio, debba essere pregiudicato solo perché l’immobile abusivo viene confiscato dal comune per effetto di una sanzione inflitta per l’inottemperanza a un ordine di demolizione, di cui altri devono rispondere.

La sentenza ha altresì evidenziato che l’irragionevolezza del sacrificio imposto dalla norma censurata al creditore ipotecario non responsabile dell’abuso edilizio, trova conforto anche nell’ulteriore considerazione per la quale il titolare del diritto di ipoteca – a fronte di una norma che non facesse salvo il suo diritto reale – si vedrebbe, infatti, costretto a una continua vigilanza sull’immobile, onde poter chiedere all’autorità giudiziaria la cessazione di quegli atti del debitore o di terzi che, in quanto idonei a creare i presupposti della confisca edilizia, sarebbero tali da cagionare il perimento giuridico del bene e, con esso, l’estinzione della sua garanzia (art. 2813cod. civ.).

Ma, si tratta di iniziative inesigibili, alla stregua dei principi generali elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, il dovere del creditore di tenere una condotta attiva, atta a mitigare il danno, non comprende l’esercizio di attività gravose, quali sarebbero la vigilanza incessante sull’immobile e l’accertamento del carattere abusivo di eventuali manufatti, nonché l’assunzione di iniziative dispendiose e implicanti rischi, quale sarebbe l’avvio di un’azione giudiziale (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 5 agosto 2021, n. 22352; sezione prima civile, ordinanza 8 febbraio 2019, n. 3797; sezione terza civile, ordinanza 5 ottobre 2018, n. 24522; sezione lavoro, sentenza 11 marzo 2016, n. 4865).

Inoltre, la sproporzione del sacrificio determinato dall’estinzione dell’ipoteca non sarebbe mitigata dall’esistenza di rimedi successivi, che residuerebbero al creditore in caso di perimento giuridico del bene, il quale dovrebbe confidare nella permanenza di una parte del terreno oggetto della garanzia reale, non acquisito dal comune, sul quale esercitare l’azione esecutiva, o tentare di richiedere idonea garanzia su altri beni del debitore (art. 2743cod. civ.) o agire, in via risarcitoria, rispetto al responsabile dell’inottemperanza all’obbligo di demolizione, per la perdita del diritto di ipoteca.

Trattasi, infatti, secondo la Consulta, di forme alternative di tutela ipotetiche e aleatorie, tali da risultare inadeguate a compensare il sacrificio imposto.

Alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 7comma 3 della legge n. 47 del 1985, pur dandosi atto della irrilevanza della analoga questione sollevata da queste Sezioni Unite in relazione all’art. 31, comma 3, del D.P.R. n. 380 del 2001- stante la non applicabilità alla fattispecie ratione temporis – la sentenza ha però ritenuto doveroso dichiarane l’illegittimità costituzionale, e per le medesime ragioni, in via conseguenziale, in quanto l’identità del tenore letterale rispetto alla norma correttamente censurata, ne evidenzia la pari irragionevolezza, potendosi pertanto invocare il disposto di cui all’art. 27dellalegge 11 marzo 1953, n. 87(Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

Una volta riepilogati gli snodi procedurali che hanno portato all’intervento della Corte Costituzionale e richiamato il contenuto della sentenza n. 160 del 2024, e l’incidenza sulla normativa destinata trovare applicazione nella fattispecie, può quindi procedersi alla disamina dei motivi di ricorso.

Il primo motivo, ad avviso della Corte, è fondato.

Il motivo di ricorso richiama il contenuto della relazione di stima, riportando con precisione sia la superficie oggetto di abusiva edificazione (mq. 91,96), sia la superficie effettiva del terreno (mq. 1150), evidenziando che, proprio tenendo conto del limite massimo suscettibile di acquisizione (dieci volte la superficie utile abusivamente costruita), sarebbe residuata in capo ai debitori una porzione di terreno esclusa dall’acquisto da parte del Comune, per la quale correttamente era stato compiuto il pignoramento in danno dei debitori, che ne avevano conservato la proprietà.

La risposta della sentenza impugnata risulta sostanzialmente elusiva della questione che poneva la ricorrente, avendo semplicemente affermato che dalla consulenza tecnica non sembravano emergere altre aree non colpite dal provvedimento comunale, aggiungendo altresì che non risultava versata in atti l’ordinanza comunale di acquisizione (che invece la ricorrente sostiene essere negli atti del fascicolo dell’esecuzione).

Alla luce dei dati emergenti dalla stessa relazione di stima e tenuto conto del limite dimensionale posto dallo stesso legislatore all’acquisizione delle aree di sedime, la sentenza non ha adempiuto al dovere di verificare se effettivamente residuassero delle aree ancora di proprietà dei debitori originari della ricorrente, rispetto alle quali la procedura esecutiva non è sottoposta alle regole specificamente dettate per l’ipotesi di espropriazione di beni abusivi.

La sentenza deve pertanto essere cassata, dovendo il giudice di rinvio, previo esame del contenuto dell’ordinanza di acquisizione, verificare la porzione di terreno ancora di proprietà dei debitori, nei cui confronti la ricorrente aveva provveduto ad effettuare il pignoramento.

Gli altri motivi di ricorso possono essere congiuntamente esaminanti per la loro connessione.

Rilevato che, in adesione alle sollecitazioni che poneva il quarto motivo, è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della previsione di cui all’art. 7 della legge n. 47 del 1985, che avevano indotto il Tribunale a ritenere insuscettibile di prosecuzione l’azione esecutiva intentata dal creditore ipotecario, il cui diritto era stato sottoposto a formalità pubblicitaria ancor prima della realizzazione dell’abuso edilizio e dell’adozione del provvedimento di acquisizione (e della sua trascrizione), e, considerato che a seguito dell’intervento della Corte Costituzionale con la menzionata sentenza n. 160 del 2024, risulta superata l’interpretazione che della norma ha offerto il giudice di merito (e che è oggetto si specifica censura con il secondo ed il terzo motivo), emerge con evidenza l’erroneità dell’esito cui è approdato il Tribunale, dovendosi pertanto pervenire alla cassazione della sentenza impugnata.

Infatti, proprio a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 7 della legge n. 47 del 1985, si palesa erronea l’affermazione secondo cui la procedura esecutiva intrapresa dal creditore ipotecario – il cui diritto sia anteriore all’acquisizione del bene al patrimonio comunale – sarebbe proseguibile, e la causa va pertanto rimessa al Tribunale affinché dia impulso alla procedura intrapresa.

14.1 Tuttavia, ed in vista degli incombenti di cui è onerato il giudice di rinvio, deve rimarcarsi che è la stessa sentenza della Corte Costituzionale ad avere tracciato le linee cui dovrà attenersi il giudice dell’esecuzione. Il giudice delle leggi, al punto 9.4 della sentenza n. 160/2024, ha espressamente sottolineato che la confisca edilizia non frappone ostacoli alla esperibilità della vendita forzata nei confronti del comune che abbia acquisito l’immobile, l’area di sedime e quella circostante, ex art. 7, terzo comma, della legge n. 47 del 1985, ciò in quanto il comune va considerato a tutti gli effetti quale terzo acquirente del bene ipotecato, ai sensi degli artt. 2858 e seguenti cod. civ., e i beni confiscati devono ritenersi acquisiti al patrimonio disponibile dell’ente pubblico (come confermato dal diverso tenore della norma de qua rispetto al testo del previgente art. 15, terzo comma, della legge n. 10 del 1977, il quale stabiliva espressamente l’acquisizione dei beni confiscati dal comune al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico, in linea con la previsione del loro necessario utilizzo a fini pubblici).

In tale direzione, è stato perciò precisato che, a seguito della novella del 1985 (e senza che la successiva modifica del testo unico di cui al D.P.R. n. 380/2001 abbia apportato novità), i beni confiscati sono acquisiti al patrimonio disponibile, a meno che non risulti integrata l’ipotesi, divenuta eccezionale, del mantenimento dell’opera per prevalenti interessi pubblici, ai sensi dell’art. 7, quinto comma, della legge n. 47 del 1985, e ciò in considerazione di quanto disposto dall’art. 826 c.c. che dispone che appartengono al patrimonio indisponibile solo i beni di enti pubblici “destinati ad un pubblico servizio” (e ciò al ricorrere del doppio requisito – soggettivo ed oggettivo – della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio e dell’effettiva ed attuale destinazione del bene al pubblico servizio;Cass. n. 13585/2011; Cass. S.U. n. 24563/2010;Cass. n. 26402/2009; Cass. S.U. n. 14865/2006, nonché da ultimo Cass. n. 17427/2023).

Ne consegue che la prima verifica che si impone come doverosa al giudice di rinvio sarà quella di riscontrare se nelle more non sia intervenuta una manifestazione di volontà dell’ente dichiarativa, ai sensi dell’art. 7 co. 5 (ovvero dell’art. 31, co. 6 delD.P.R. n. 380/2001 ), dell’esistenza di prevalenti interessi pubblici.

Ancorché, infatti, si giustifichi l’esigenza di preservare, alle condizioni specificate, il diritto di ipoteca, tale diritto è destinato nondimeno a estinguersi, ove il comune dichiari – secondo il procedimento e nel rispetto dei limiti di cui all’art. 7, quinto comma, della legge n. 47 del 1985- l’esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell’immobile (da assumere, accertando “l’esistenza di uno specifico interesse pubblico alla conservazione (dell’immobile)e la prevalenza di questo sull’interesse pubblico al ripristino della conformità del territorio alla normativa urbanistico edilizia”; Corte Cost. sentenza n. 140 del 2018), atteso che tale scelta imprime un vincolo di destinazione al bene acquisito dal comune, che finisce per attrarlo nel patrimonio indisponibile dell’ente.

Ove però tale verifica sia negativa, e quindi il bene risulti ancora facente parte del patrimonio disponibile del Comune, il richiamo alla qualificazione di tale ente come terzo acquirente, nei cui confronti si può procedere ex art. 602 c.p.c., la stessa Corte Costituzionale, al punto 9.3 della sentenza, ha indicato quale debba essere l’esito della procedura esecutiva, onde assicurare al contempo il rispetto della normativa urbanistico-edilizia.

Infatti, l’aggiudicatario, qualora l’immobile si trovi nelle condizioni di cui all’articolo 13 della legge n. 47/1985- vale a dire qualora presenti la cosiddetta doppia conformità – dovrà presentare domanda di concessione in sanatoria entro 120 giorni dalla notifica del decreto emesso dalla autorità giudiziaria (art. 17, quinto comma, della legge n. 47 del 1985).

Parimenti, qualora l’immobile sia condonabile, in quanto rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al Capo IV della medesima legge e sia oggetto di un trasferimento derivante da procedure esecutive, “la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall’atto di trasferimento dell’immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all’entrata in vigore della medesima legge” (art. 40, sesto comma, della legge n. 47 del 1985 e successivamente,art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante “Misure di razionalizzazione della finanza pubblica” e art. 32deldecreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326).

Se invece, non ricorrano i presupposti per ottenere la sanatoria dell’immobile o non trovino applicazione eventuali condoni, da un lato, il carattere abusivo e non sanabile dell’immobile deve risultare dall’avviso di vendita (cfr. Cass., sentenza 11 ottobre 2013, n. 23140) e, da un altro lato, il bene sarà trasferito all’aggiudicatario unitamente all’obbligazione propter rem di provvedere alla demolizione, con tutte le conseguenze che ne derivano in caso di inottemperanza.

Rileva il Collegio che tale seconda ipotesi era stata reputata di difficile praticabilità dalla precedente ordinanza interlocutoria di queste Sezioni Unite n. 583 del 2024, che alla pag. 24, aveva dubitato della possibilità di ammettere una vendita sottoposta alla condizione sospensiva dell’assunzione dell’obbligo di demolizione da parte dell’acquirente, sul presupposto che la scelta della demolizione e la possibilità di eseguirla sarebbero una prerogativa esclusiva del Comune.

Tuttavia, tale dubbio, oltre ad apparire evidentemente risolto dalla sentenza della Corte Costituzionale, che esplicitamente contempla tale soluzione, sembra dissolversi alla luce di quanto previsto per effetto della recente introduzione nel t.u. edilizia della norma che consente al comune, a determinate condizioni, di alienare i beni confiscati.

Infatti, “(n)ei casi in cui l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico, il comune, previo parere delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, può, altresì, provvedere all’alienazione del bene e dell’area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all’articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell’acquirente delle opere abusive.

È preclusa la partecipazione del responsabile dell’abuso alla procedura di alienazione.

Il valore venale dell’immobile è determinato dall’agenzia del territorio tenendo conto dei costi per la rimozione delle opere abusive” (art. 1, comma 1, lettera d, delD.L. n. 69 del 2024, come convertito, che ha aggiunto la citata disposizione dopo il primo periodo dell’art. 31, comma 5, del D.P.R. n. 380 del 2001).

La netta scelta legislativa a favore della trasmissione dell’obbligo di demolizione in capo all’acquirente del bene acquisito al patrimonio disponibile del Comune conforta sul piano del diritto positivo, quindi, la soluzione indicata dalla Consulta che, per le ipotesi di non sanabilità dell’abuso, impone all’aggiudicatario di dover provvedere alla demolizione dell’opera abusiva, a conferma del fatto che non si tratta, come invece dubitato da parte di queste stesse Sezioni Unite, di una prerogativa esclusiva dell’ente pubblico.

Il ricorso è pertanto accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Agrigento, in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

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