Corte di Cassazione, Sez. VI Penale, sentenza 27 giugno 2025 n. 23956
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va ritenuto integrato il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, quando sussistono condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza, dal momento che la separazione è condizione che non elide lo status acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione, che discendono dall’art. 143, comma 2, cod. civ.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso non è fondato e va pertanto rigettato.
- Con riguardo al primo motivo, la Corte territoriale ha correttamente riqualificato il fatto ai sensi dell’alt. 572 cod. pen., rimanendo lo stesso immodificato così come originariamente contestato.
Essendo emerso pacificamente che le condotte maltrattanti hanno avuto luogo in un lasso temporale tra la convivenza coniugale e la separazione, i giudici d’appello hanno fatto buon governo dell’indirizzo di legittimità secondo cui integrano il reato di maltrattamenti in famiglia, e non quello di atti persecutori, le condotte vessatorie nei confronti del coniuge che, sorte in ambito domestico, proseguano dopo la sopravvenuta separazione di fatto o legale, in quanto il coniuge resta “persona della famiglia” fino allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio, a prescindere dalla convivenza, dal momento che la separazione è condizione che non elide lo status acquisito con il matrimonio, dispensando dagli obblighi di convivenza e fedeltà, ma lasciando integri quelli di reciproco rispetto, assistenza morale e materiale, e collaborazione, che discendono dall’art. 143, comma 2, cod. civ. (Sez. 5, n. 45400 del 30/09/2022, R., Rv. 284020).
- Non è fondato il secondo motivo di ricorso per il quale va richiamata la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale la riqualificazione giuridica del fatto, nel rispetto del principio del giusto processo previsto dall’art. 6 CEDU, resta condizionata dalla sua sufficiente prevedibilità e dall’essere l’imputato messo in condizione di far valere le proprie ragioni in merito alla nuova definizione giuridica (Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, E., Rv. 286026; Sez. 5, n. 27905 del 03/05/2021, Ciontoli, Rv. 281817-03).
Tali circostanze sono nel caso di specie certamente ravvisabili, essendo stati descritti nell’imputazione fatti sussumibili anche nella fattispecie ex art. 572 cod. pen.
La soluzione definitoria adottata dalla Corte territoriale non ha leso il diritto di difesa dell’imputato, poiché si è fornita la corretta qualificazione giuridica del fatto, così come originariamente contestato, peraltro del tutto prevedibile in ragione della sua puntuale descrizione nell’imputazione.
- Con riguardo al terzo motivo, si rileva che il termine prescrizionale più lungo previsto per il reato di cui all’art. 572 cod. pen.non comporta violazione dell’art. 597 cod. proc. pen., dal momento che non viola il divieto di reformatio in peius la sentenza con la quale venga data al fatto una definizione giuridica più grave, da cui consegua una modifica sfavorevole dei termini di prescrizione, in quanto il menzionato divieto impedisce soltanto un trattamento sanzionatorio deteriore per il condannato (Sez. 5, n. 41534 del 09/10/2024, G., Rv. 287231).
Invero, l’art. 597 cod. proc. pen. non indica, tra gli effetti inibiti dal divieto di reformatio in peius, la determinazione di un più lungo termine di prescrizione, che deve ritenersi precipitato diretto della mera applicazione dell’art. 157 cod. pen. alla corretta definizione giuridica del fatto (Sez. 2, n. 23410 del 01/07/2020, Ndiaye, Rv. 279772, Sez. 1, n. 49671 del 24/09/2019, Maksutoski, Rv. 277859, Sez. 2, n. 46712 del 30/10/2019, Coletta, Rv. 277599 e Sez. 6, n. 32710 del 16/07/2014, Schepis, Rv. 260663).
La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente rimarcato che il divieto di reformatio in peius non garantisce al condannato un trattamento sotto ogni profilo più favorevole di quello riservatogli dal primo giudice, ma impedisce soltanto un trattamento sanzionatorio deteriore.
- Quanto, infine, al quarto motivo, si osserva che il calcolo del termine di prescrizione deve parametrarsi a quello previsto per il reato di cui all’art. 572 cod. pen.in ragione della ritenuta qualificazione giuridica del fatto, ratione temporis.
Detto termine non è decorso, nemmeno decurtando dal computo il periodo fra il 29 giugno 2022 e il 15 marzo 2023 indicato dal ricorrente.
- Il ricorso deve essere pertanto respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.