Corte costituzionale, sentenza 12 ottobre 2023, n. 188
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va considerato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen. nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge n. 186 del 2014, e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f, numero 3, del d.lgs. n. 195 del 2021) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.- Con l’ordinanza di cui in epigrafe, il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, solleva, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante del delitto di autoriciclaggio, di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione ratione temporis applicabile), sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen. In via subordinata, il giudice a quo censura la medesima norma, per contrasto con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza di più circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
2.3.– Il rimettente muove dall’implicito presupposto che l’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. costituisca circostanza attenuante a effetto speciale, anziché fattispecie autonoma di reato: qualificazione, quest’ultima, che priverebbe di rilevanza le questioni, rendendo in radice inapplicabile nel giudizio a quo il censurato art. 69, quarto comma, cod. pen.
Per quanto non manchino voci in dottrina che hanno sostenuto la tesi della natura di fattispecie autonoma della disposizione in parola, la tesi opposta – implicitamente accolta dal giudice a quo, e prevalente presso la stessa dottrina – corrisponde alla soluzione pacificamente adottata dalla giurisprudenza con riferimento alla contigua previsione di cui all’art. 648, quarto comma, cod. pen., che prevede un autonomo quadro edittale per la ricettazione «di particolare tenuità» (Corte di cassazione, sezione settima penale, ordinanza 8 luglio-21 ottobre 2022, n. 39944; sezione seconda penale, sentenza 13 maggio-1° luglio 2021, n. 25121).
La qualificazione su cui si fonda l’ordinanza di rimessione, inoltre, appare in linea con gli orientamenti delle sezioni unite della Corte di cassazione, che in generale tracciano la linea distintiva tra circostanze a effetto speciale e fattispecie autonome in base al «criterio strutturale della descrizione del precetto penale», ravvisando in linea di principio una mera circostanza allorché non vi sia una «immutazione degli elementi essenziali delle condotte illecite», che restano quelle descritte dalla fattispecie base (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27 ottobre 2011-7 febbraio 2012, n. 4694; si vedano altresì le sentenze 21 giugno-24 settembre 2018, n. 40982; 24 giugno-5 ottobre 2010, n. 35737; 26 giugno-10 luglio 2002, n. 26351).
2.4.– Il rimettente si sofferma, per contro, puntualmente sulle ragioni per cui ritiene non applicabile nel giudizio a quo il nuovo testo dell’art. 648-ter.1, terzo comma, cod. pen., (Autoriciclaggio) che – nella formulazione novellata dall’art. 1, comma 1, lettera f), numero 3), del d.lgs. n. 195 del 2021 – stabilisce che «[l]a pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni».
Giustamente il giudice a quo rileva, infatti, che tale disposizione, stabilendo una diminuzione di pena inferiore a quella prevista al momento del fatto dall’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. nella versione allora vigente, è più sfavorevole per l’imputato, e pertanto risulta a lui inapplicabile ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen.
3.– Nel merito, le questioni formulate in via principale sono fondate, con riferimento a tutti i parametri evocati. […]
Prevedendo per l’autoriciclaggio una pena dimezzata, tanto nel massimo quanto nel minimo, allorché il delitto presupposto sia di minore gravità – segnatamente quando esso sia punito con pena inferiore a cinque anni di reclusione –, il legislatore ha inteso differenziare nettamente il disvalore oggettivo di questa ipotesi rispetto alla fattispecie base, la quale è peraltro caratterizzata da un quadro sanzionatorio di notevole severità, calibrato su fenomeni criminosi ben più gravi – anche per la loro dimensione offensiva del sistema economico, imprenditoriale e finanziario – rispetto a condotte come quelle oggetto del procedimento principale. Allorché però il delitto risulti aggravato dalla recidiva reiterata – situazione statisticamente assai frequente allorché il reato presupposto sia un furto, come nel caso oggetto del giudizio a quo –, l’intento legislativo di prevedere un trattamento sanzionatorio sensibilmente meno severo per i fatti di riciclaggio conseguenti ai delitti oggettivamente meno gravi viene, agli effetti pratici, frustrato dalla norma censurata, che vincola il giudice all’irrogazione di una pena non inferiore al minimo previsto per la fattispecie base di autoriciclaggio.
Ciò ridonda anzitutto in una violazione del canone della proporzionalità della pena fondato sugli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., il quale si oppone a che siano comminate dal legislatore – e conseguentemente applicate dal giudice – pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato (sentenza 141 del 2023, punto 3.2. del Considerato in diritto).
Dalla norma censurata scaturisce altresì un vulnus al principio di offensività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., il quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo “fatto” di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosità sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualità personali (sostanzialmente in questo senso sentenza n. 249 del 2010, punto 9 del Considerato in diritto, nonché – con riferimento specifico al divieto di cui all’art. 69, quarto comma, cod. pen. – sentenze n. 205 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto; n. 105 del 2014, punto 4 del Considerato in diritto; n. 251 del 2012, punto 5 del Considerato in diritto).
[…] L’art. 69, quarto comma, cod. pen. deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge n. 186 del 2014, e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f, numero 3, del d.lgs. n. 195 del 2021) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.