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*Famiglia – Obbligazioni e contratti – Mutuo, attribuzione patrimoniale al convivente more uxorio, adempimento di obbligazione naturale e irripetibilità

by Rosanna Andreozzi - Avvocato
8 Maggio 2025
in Diritto Civile
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Corte di Cassazione, Sez. III Civile, ordinanza 30 aprile 2025 n. 11337

PRINCIPIO DI DIRITTO

Va ribadito il principio per cui l’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale, sempre che il giudice di merito, ad esito di un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, abbia ritenuto che l’attribuzione medesima sia adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (e, dunque, non travalichi i limiti di proporzionalità e di adeguatezza).

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

2.1. Non fondato è il primo motivo. In via generale, va ribadito che:

  1. a) l’azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro che sia avvenuta senza giusta causa, sicché non è dato invocare la mancanza o l’ingiustizia della causa qualora l’arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità o dell’adempimento di un’obbligazione naturale;
  2. b) la nozione di arricchimento di cui all’art. 2041c.c., va intesa, indifferentemente, sia in senso qualitativo che in senso quantitativo e può consistere tanto in un incremento patrimoniale, quanto in un risparmio di spesa e, più in generale, in una mancata perdita economica; correlativamente il depauperamento può consistere tanto in erogazioni di un’entità pecuniaria, quanto in attività o prestazioni di cui si avvantaggia l’arricchito;
  3. c) l’indennizzo, previsto dall’art. 2041c.c., è finalizzato a reintegrare il patrimonio del depauperato, ragion per cui esso va commisurato all’arricchimento, riconoscendo, in via sostitutiva, al depauperato un quid monetario nei limiti dello stesso arricchimento (perché, altrimenti, si verificherebbe un arricchimento nel senso inverso).

Orbene – con specifico riferimento ai doveri morali e sociali, che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio – i versamenti di denaro eseguiti da un convivente a favore dell’altro durante la convivenza costituiscono adempimento di un’obbligazione naturale e cioè l’esecuzione di un dovere morale e sociale, con conseguente impossibilità di chiederne la restituzione.

Tali dazioni vanno generalmente intese come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell’ambito di un consolidato rapporto affettivo, che non può non implicare forme di collaborazione e, per quanto qui maggiormente interessa, di assistenza morale e materiale.

Nel solco del principio che precede, questa Corte ha avuto modo di precisare (cfr.Cass. n. 14732/2018,n. 11303/2020) che è configurabile l’ingiustizia dell’arricchimento di un convivente more uxorio ai danni dell’altro in presenza di prestazioni, compiute dal secondo a vantaggio del primo, che esulino dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza – il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto – e travalichino i limiti di proporzionalità e di adeguatezza.

Orbene, nella sentenza impugnata la corte di merito – dopo aver affermato, con accertamento di fatto, che lo A.A., di professione operaio, era, tra i due conviventi, unico percettore di reddito ed aveva provveduto a pagare, per la durata della convivenza (tre anni), le rate del mutuo, per complessivi Euro 24 mila, di cui era gravata la casa, nella quale entrambi i conviventi avevano vissuto – ha ritenuto che detto importo (…), in quanto corrispondente a quanto notoriamente sarebbe stato speso a titolo di canone di locazione per una unità immobiliare, fosse proporzionato e, come tale, da ricondursi ad una forma di collaborazione e di assistenza morale e materiale, che si reputa doverosa nell’ambito di un consolidato rapporto affettivo (Cass. n. 3713/2003, Cass.n. 11303/2020).

Tanto affermando, la corte di merito non ha soltanto qualificato i versamenti effettuati dallo A.A. come adempimenti di obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c., in quanto eseguiti nell’ambito di una convivenza more uxorio consolidata, ma ha anche compiuto una non implausibile valutazione di proporzionalità e di adeguatezza, richiesta dalla giurisprudenza di questa Corte e rimessa all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito.

In definitiva, va qui ribadito il principio per cui l’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale, sempre che il giudice di merito, ad esito di un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, abbia ritenuto che l’attribuzione medesima sia adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (e, dunque, non travalichi i limiti di proporzionalità e di adeguatezza).

2.2. Inammissibile è il secondo motivo. Il ricorrente si duole che la corte territoriale non ha tenuto conto degli estratti di conto corrente, da lui prodotti, dai quali risultava l’accredito mensile del suo stipendio, che fu pari ad Euro 1700 per tutti e tre gli anni di convivenza.

Senonché il ricorrente, tanto affermando, ignora che la sentenza impugnata ha formulato il sopra menzionato giudizio di proporzionalità e di adeguatezza sulla base della non contestata quantificazione delle somme corrisposte (dallo A.A.) per il pagamento delle rate del mutuo (della B.B.), “in difetto di più compiute allegazioni”.

Con tale inciso, la corte ha implicitamente rilevato che l’entità degli accrediti non era risultata corroborata da documenti fiscali sul reddito complessivo vale a dire, tali da comprovare che quegli accrediti costituissero davvero l’unico reddito durante tutto il tempo della convivenza.

Ed il ricorrente inammissibilmente non si confronta con detta ratio decidendi non bastando, al riguardo, la doglianza della mancata considerazione di documenti, quali i soli estratti di conto corrente, da cui in teoria sarebbero state desumibili alcune poste reddituali attive, ma non anche il determinante dato della loro esclusività ai fini della composizione del reddito.

Donde l’inammissibilità del motivo.

  1. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese sostenute da parte resistente, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
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