Corte Costituzionale, sentenza 15 aprile 2025, n. 43
PRINCIPIO DI DIRITTO
Va dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del decreto-legge 28 novembre 1988, n. 511 (Disposizioni urgenti in materia di finanza regionale e locale), convertito, con modificazioni, nella legge 27 gennaio 1989, n. 20, come sostituito dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2007, n. 26 (Attuazione della direttiva 2003/96/CE che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità);
Va, altresì, dichiarata inammissibile la costituzione in giudizio di Consorzio energia assindustria Vicenza – Energindustria;
Va, infine, dichiarata inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 4, del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 16 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dal Collegio arbitrale di Vicenza.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.– Con ordinanza iscritta al n. 102 reg. ord. 2021, il Collegio arbitrale di Vicenza ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 16 e 52 CDFUE, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, secondo cui «[q]ualora, al termine di un procedimento giurisdizionale, il soggetto obbligato al pagamento dell’accisa sia condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa, il rimborso è richiesto dal predetto soggetto obbligato, a pena di decadenza, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme».
Il Collegio arbitrale è stato chiamato a risolvere la controversia insorta a seguito della richiesta avanzata dalla società Officine meccaniche ANI spa di ripetizione dell’importo corrisposto al Consorzio energia assindustria Vicenza ‒ Energindustria a titolo di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, a essa traslata a titolo di rivalsa; tale pretesa è stata fondata sull’assunto che l’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito, che ha introdotto nell’ordinamento nazionale l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, non potrebbe essere applicato per contrasto con il diritto dell’Unione e che, pertanto, quanto corrisposto dovrebbe essere restituito a titolo di indebito oggettivo.
2.‒ Il Collegio rimettente condivide la tesi della non applicabilità del citato art. 6, commi 1, lettera c), e 2, in ragione del consolidato orientamento della Corte di legittimità secondo cui questa disposizione si porrebbe in contrasto con la direttiva 2008/118/CE, avendo introdotto nell’ordinamento interno un’imposta indiretta ulteriore rispetto all’accisa in mancanza del prescritto requisito delle «finalità specifiche».
Da questa premessa, il rimettente fa conseguire il riconoscimento della fondatezza della domanda di ripetizione dell’indebito proposta dalla società nei confronti del consorzio.
Rivolge quindi l’attenzione all’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, che individua le condizioni in presenza delle quali il soggetto passivo dell’accisa, che debba restituire al cliente le somme percepite a titolo di rivalsa dell’imposta, può a sua volta richiedere allo Stato il rimborso dell’importo indebitamente versato.
Il rimettente ritiene che questa disposizione violi gli artt. 3, 24, 41, 111, primo e secondo comma, e 117 primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 16 e 52 CDFUE.
3.– Con ordinanza iscritta al n. 20 reg. ord. 2022, il Tribunale di Udine, seconda sezione civile, ha sollevato, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito.
3.1.– Il rimettente riferisce di essere chiamato a pronunciarsi sulla domanda di ripetizione dell’indebito versamento dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica che la società fornitrice aveva traslato nei confronti delle proprie clienti.
Afferma quindi di condividere l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione secondo cui la disposizione censurata sarebbe in contrasto con la direttiva 2008/118/CE; tuttavia, poiché al giudice è precluso il potere di disapplicare la norma nazionale nei rapporti orizzontali fra privati, solleva questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 6, commi 1, lettera c), e 2, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. sotto il profilo del «mancato rispetto dei vincoli gravanti sulla potestà legislativa statale e derivanti dall’ordinamento U.E.».
4.– Le due ordinanze di rimessione censurano discipline in parte funzionalmente connesse, sicché è opportuna la riunione dei relativi giudizi ai fini di una decisione congiunta.
5.– Con riferimento alle questioni di legittimità costituzionale di cui all’ordinanza iscritta al n. 102 reg. ord. 2021 sollevate dal Collegio arbitrale, va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità della costituzione in giudizio di Consorzio energia assindustria Vicenza ‒ Energindustria, avvenuta in data 2 settembre 2021 e quindi oltre il termine previsto dall’art. 3 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, che era scaduto il 3 agosto 2021 (sentenza n. 190 del 2017).
6.– L’eccezione proposta dalla difesa statale di inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza è fondata.
Nella specie, il Collegio arbitrale ha motivato la rilevanza delle questioni con l’asserita «diretta applicabilità al caso in esame della norma la cui costituzionalità è messa in discussione».
Si tratta, tuttavia, di un’affermazione meramente assertiva, in quanto il rimettente non chiarisce perché la disposizione censurata, cioè l’art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, che disciplina la richiesta di rimborso che il soggetto passivo dell’accisa (il fornitore) può avanzare nei confronti dell’amministrazione finanziaria, dovrebbe trovare applicazione nel giudizio a quo, nel quale il Collegio arbitrale è invece chiamato a pronunciare sulla domanda di ripetizione dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica proposta dal cliente verso il fornitore.
Secondo il diritto vivente, in tema di accise il rapporto tributario è solo quello che si instaura tra il soggetto passivo d’imposta (il fornitore) e il fisco, mentre quello tra il fisco e il consumatore finale inciso dal tributo ha natura civilistica (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 31 dicembre 2018, n. 33687). Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, «il rapporto tributario inerente al pagamento di accise e addizionali si svolge solo tra la amministrazione finanziaria ed i soggetti che forniscono direttamente l’energia elettrica ai consumatori e rispetto a tale rapporto rimane del tutto estraneo l’utente o consumatore, tenuto a pagare al fornitore il prezzo dell’energia e, con esso (in caso di rivalsa dell’imposta) il costo delle accise e addizionali quale componente del prezzo di vendita dell’energia» (Corte di cassazione, sezione tributaria civile, sentenza 24 maggio 2019, n. 14200).
La norma censurata inerisce, per l’appunto, al rapporto tributario tra il fornitore, soggetto passivo dell’imposta, e l’amministrazione finanziaria, e si occupa della richiesta di rimborso che il primo può proporre nel caso in cui debba restituire al cliente somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa.
Le questioni non sono dunque rilevanti, avendo ad oggetto una disposizione attinente al compimento di un atto che si colloca “a valle” della risoluzione della controversia oggetto del giudizio a quo e che resta comunque estraneo all’ambito della cognizione del Collegio rimettente.
Difetta, in sostanza, un rapporto di strumentalità necessaria tra la risoluzione della questione e la definizione del giudizio principale, nemmeno ravvisabile sotto il profilo della possibile incidenza della pronuncia richiesta a questa Corte sul percorso argomentativo che il giudice rimettente deve seguire per rendere la decisione (da ultimo ordinanza n. 95 del 2023).
Peraltro, non può essere trascurato che il Collegio arbitrale afferma, del tutto erroneamente, di potere non applicare la disposizione nazionale ritenuta contrastante con una direttiva nell’ambito di una controversia tra privati.
Anche tale passaggio logico vizia la motivazione della rilevanza delle questioni, considerata l’assenza di effetti diretti orizzontali delle direttive non trasposte o non correttamente trasposte, ulteriormente ribadita dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, quinta sezione, con la sentenza 11 aprile 2024, causa C-316/22, Gabel industria tessile spa e Canavesi spa (si rimanda, in proposito, al punto 8.2.).
7.– Deve ora essere esaminata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito, sollevata con l’ordinanza iscritta al n. 20 reg. ord. 2022 del Tribunale di Udine, in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE.
8.‒ Va preliminarmente disattesa l’eccezione della difesa statale di manifesta inammissibilità della questione, basata sulla considerazione che erroneamente il giudice rimettente avrebbe escluso il potere di non applicare la disposizione censurata contrastante con il diritto unionale.
Quanto osservato appena sopra al punto 6 porta a concludere che, invece, correttamente il giudice a quo ha ritenuto preclusa, in una controversia orizzontale, la strada della non applicazione di una norma nazionale che istituisce un’imposta indiretta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta.
8.1.‒ Le questioni sono quindi ammissibili e si deve ritenere che la censura sollevata dal rimettente in relazione alla violazione dell’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE, per il tramite dell’art. 117, primo comma, Cost., coinvolga, implicitamente, anche l’art. 11 Cost., «parametro, quest’ultimo, che viene necessariamente in considerazione ogniqualvolta si assuma la contrarietà di una legge nazionale a una disposizione del diritto dell’Unione europea, rispetto alla quale operano le limitazioni di sovranità fondate su tale disposizione costituzionale, come affermato dalla costante e risalente giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 349 del 2007, punto 6.1. del Considerato in diritto; n. 348 del 2007, punto 3.3. del Considerato in diritto; n. 183 del 1973, punto 5 del Considerato in diritto)» (sentenza n. 24 del 2025).
8.2.‒ Va poi tenuto presente, al fine di valutare d’ufficio il permanere del requisito della rilevanza, l’effetto prodotto nel giudizio a quo dalla recente sentenza della Corte di giustizia 11 aprile 2024, causa C-316/22, Gabel industria tessile spa e Canavesi spa.
Da un lato, infatti, questa pronuncia ha ribadito che «l’articolo 288, terzo comma, TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice nazionale disapplichi, in una controversia tra privati, una norma nazionale che istituisce un’imposta indiretta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta».
Dall’altro, però, rispetto all’impostazione tradizionale secondo cui solo l’impedimento di fatto, e non anche quello giuridico, può consentire al privato di agire direttamente nei confronti dello Stato, ha ritenuto che la disposizione nazionale di cui si discuteva, cioè proprio il ricordato art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 504 del 1995, «viola il principio di effettività».
Pur mantenendo fermo che il giudice interno non può disapplicare, nell’ambito di una controversia tra privati, la norma nazionale che è in contrasto con la direttiva, la Corte di giustizia ha ora riconosciuto che il cliente del servizio di fornitura di energia elettrica deve potere esercitare un’azione diretta nei confronti dello Stato anche nel caso di impossibilità giuridica di agire contro il fornitore. Ciò in conseguenza del fatto che il giudice civile, constatata la preclusione della strada della non applicazione, dovrebbe sempre rigettare la domanda di ripetizione di indebito proposta dal cliente nei confronti del fornitore e basata sulla contrarietà dell’imposta alla direttiva.
Tuttavia, tale possibilità ‒ ora riconosciuta anche dalla giurisprudenza di legittimità a seguito della citata sentenza della Corte di giustizia (tra le altre, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 29 luglio 2024, n. 21154) ‒ di esercitare direttamente l’azione di ripetizione di indebito da parte del cliente nei confronti dello Stato, non priva di rilevanza la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Udine, il cui esito è comunque destinato a riflettersi nel giudizio in corso, che attiene, invece, alla richiesta del cliente di ottenere la restituzione di quanto corrisposto al proprio fornitore tramite la diversa azione di ripetizione dell’indebito nei confronti di quest’ultimo.
Solo in caso di accoglimento della questione sollevata, infatti, il giudice a quo potrebbe condannare il fornitore (che potrà, a sua volta, rivalersi nei confronti dello Stato) alla ripetizione dell’indebito, dato l’effetto ex tunc, salvo per i rapporti esauriti, della sentenza di questa Corte che dichiari costituzionalmente illegittima l’addizionale in questione.
Alla luce di queste considerazioni si deve quindi ritenere che il requisito della rilevanza non sia venuto meno a seguito della suddetta pronuncia della Corte di giustizia.
9.‒ Nel merito, la questione è fondata.
L’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, nella formulazione oggetto di censura, è stata introdotta dall’art. 5 del d.lgs. n. 26 del 2007 ‒ sostitutivo dell’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988, come convertito ‒, che prevede: «1. È istituita una addizionale all’accisa sull’energia elettrica di cui agli articoli 52, e seguenti, del testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative approvato con decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, di seguito denominato: testo unico delle accise, nelle misure di: […] c) euro 9,30 per mille kWh in favore delle province per qualsiasi uso effettuato in locali e luoghi diversi dalle abitazioni, per tutte le utenze, fino al limite massimo di 200.000 kWh di consumo al mese».
Questa disposizione ha trovato applicazione a decorrere dal 1° giugno 2007, secondo quanto previsto dall’art. 9 dello stesso decreto legislativo ed è stata poi abrogata dall’art. 4, comma 10, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, nella legge 26 aprile 2012, n. 44.
L’intervento che ha condotto a sostituire l’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988, come convertito, trova origine nel recepimento della direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, sottoponendo anche l’energia elettrica ad accisa armonizzata secondo le previsioni della direttiva 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa.
Quest’ultima, in particolare, prevedeva, all’art. 3, paragrafo 2, che: «[i] prodotti di cui al paragrafo 1» – tra i quali rientra anche l’energia elettrica in ragione dell’estensione di cui all’art. 3 della direttiva 2003/96/CE – «possono formare oggetto di altre imposizioni indirette aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettino le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione delle base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta».
A tale disposizione si è sovrapposta la formulazione dell’art. 1, paragrafo 2, della successiva direttiva 2008/118/CE, applicabile ratione temporis al giudizio a quo, secondo cui: «[g]li Stati membri possono applicare ai prodotti sottoposti ad accisa altre imposte indirette aventi finalità specifiche, purché tali imposte siano conformi alle norme fiscali comunitarie applicabili per le accise o per l’imposta sul valore aggiunto in materia di determinazione della base imponibile, calcolo, esigibilità e controllo dell’imposta; sono escluse da tali norme le disposizioni relative alle esenzioni».
La Corte di giustizia, settima sezione, ordinanza 9 novembre 2021, in causa C-255/20, Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta, ha, infatti, precisato che «dalla formulazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 e dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 92/12 risulta che il tenore di tali disposizioni non è sostanzialmente diverso. Se ne deve dedurre che la giurisprudenza della Corte relativa a quest’ultima disposizione resta applicabile per quanto attiene all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118 (sentenza del 5 marzo 2015, Statoil Fuel & Retail, C‑553/13, EU:C:2015:149, punto 34)».
10.‒ La verifica del rispetto da parte della disposizione nazionale della direttiva 92/12/CEE e, poi, della direttiva 2008/118/CE, richiede di precisare quali condizioni sono richieste ai legislatori degli Stati membri al fine di introdurre nei propri ordinamenti interni imposizioni fiscali aggiuntive all’accisa sull’energia elettrica.
Al riguardo, la Corte di giustizia ha chiarito, con riferimento alla direttiva 2008/118/CE, che «[s]econdo una lettura congiunta dei paragrafi 1 e 2 dell’articolo 1 di quest’ultima direttiva, i prodotti sottoposti ad accisa ai sensi della richiamata direttiva possono essere oggetto di un’imposizione indiretta diversa dall’accisa istituita da tale direttiva se, da un lato, tale imposizione è prelevata per una o più finalità specifiche e se, dall’altro, essa rispetta le regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta, regole queste che non includono le disposizioni relative alle esenzioni» (Corte di giustizia, terza sezione, sentenza 5 marzo 2015, causa C-553/13, Tallinna Ettevõtlusamet).
10.1.‒ Dunque, affinché gli Stati membri possano introdurre, sul consumo di energia elettrica, imposte indirette ulteriori rispetto alle accise occorrono due condizioni, applicabili cumulativamente: 1) le imposte addizionali devono avere una finalità specifica; 2) le imposte addizionali devono rispettare le regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta.
In merito, la Corte di giustizia ha precisato che la finalità specifica «è una finalità che non sia puramente di bilancio (sentenze del 24 febbraio 2000, Commissione/Francia, C‑434/97, EU:C:2000:98, punto 19; del 9 marzo 2000, EKW e Wein & Co, C‑437/97, EU:C:2000:110, punto 31, nonché del 27 febbraio 2014, Transportes Jordi Besora, C‑82/12, EU:C:2014:108, punto 23). Affinché si possa considerare quale imposta che persegua una finalità specifica ai sensi della menzionata disposizione, infatti, un’imposta deve essere volta, di per sé, a garantire la finalità specifica invocata. Ciò si verificherebbe, segnatamente, quando il gettito di tale imposta deve obbligatoriamente essere utilizzato al fine di ridurre i costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola nonché di promuovere la coesione territoriale e sociale, di modo che sussiste un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione (v., in tal senso, sentenze del 27 febbraio 2014, Transportes Jordi Besora, C‑82/12, EU:C:2014:108, punto 30, e del 5 marzo 2015, Statoil Fuel & Retail, C‑553/13, EU:C:2015:149, punto 41)» (Corte di giustizia, prima sezione, sentenza 25 luglio 2018, causa C-103/17, La Messer France SAS, già Praxair).
Con la medesima sentenza si è poi precisato che «[c]iò nondimeno, un’assegnazione predeterminata del gettito di una tassa rientrante in una semplice modalità di organizzazione interna del bilancio di uno Stato membro, non può, in quanto tale, costituire una condizione sufficiente a siffatto riguardo, poiché ogni Stato membro può decidere di imporre, a prescindere dalla finalità perseguita, l’assegnazione del gettito di un’imposta al finanziamento di determinate spese (v., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2014, Transportes Jordi Besora, C‑82/12, EU:C:2014:108, punto 29)».
Si è poi ulteriormente chiarito che «si può ritenere che un’imposta supplementare gravante sui prodotti sottoposti ad accisa, il cui gettito non è oggetto di una destinazione predeterminata, persegua una finalità specifica, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118, solo se tale imposta è concepita, per quanto riguarda la sua struttura, in particolare la materia imponibile o l’aliquota d’imposta, in modo tale da influenzare il comportamento dei contribuenti in un senso che consenta la realizzazione della finalità specifica invocata, ad esempio tassando fortemente i prodotti interessati al fine di scoraggiarne il consumo (sentenze del 27 febbraio 2014, Transportes Jordi Besora, C‑82/12, EU:C:2014:108, punto 32, e del 22 giugno 2023, Endesa Generación, C‑833/21, EU:C:2023:516, punto 42)» (Corte di giustizia, sentenza 14 marzo 2024, causa C-336/22, f6 Cigarettenfabrik GmbH & Co. KG).
11.‒ Alla luce di tali criteri ermeneutici deve escludersi che l’addizionale provinciale alle accise sull’energia elettrica rispetti il requisito della finalità specifica, dal momento che il citato art. 6, al comma 1, lettera c), prevede solo una generica destinazione del gettito dell’addizionale provinciale «in favore delle province», che trova conferma nel preambolo del d.l. n. 511 del 1988, nella quale si afferma che le misure impositive in esso previste sono rivolte ad «assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale, al fine di garantire l’assolvimento dei compiti istituzionali».
Tale conclusione trova pieno conforto nella giurisprudenza di legittimità, che, nel ritenere non applicabile il suddetto art. 6 per contrasto con le menzionate direttive, ha precisato che la citata finalità non è «in grado di essere distinta dalla generica finalità di bilancio» (Cass., n. 27101 del 2019, confermata, da ultimo, da Corte di cassazione, sezione tributaria, ordinanza 11 settembre 2024, n. 24373).
Secondo la stessa giurisprudenza di legittimità, peraltro, nemmeno è riscontrabile «un nesso diretto tra l’uso del gettito derivante dall’imposta e la finalità dell’imposizione in questione» che consiste nella riduzione dei «costi ambientali specificamente connessi al consumo di energia elettrica su cui grava l’imposta in parola nonché [nella promozione della] coesione territoriale e sociale» (Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 28 luglio 2020, n. 16142).
12.‒ Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito, per violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1, paragrafo 2, della direttiva 2008/118/CE.