Corte Costituzionale, sentenza 17 aprile 2025, n. 46
PRINCIPIO DI DIRITTO
Vanno dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 (Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 gennaio 2009, n. 2, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 della Costituzione, dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Liguria, sezione 3.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
1.‒ Con ordinanza del 6 marzo 2024 (iscritta al reg. ord. n. 78 del 2024), la CGT Liguria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 Cost. questioni di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del d.l. n. 185 del 2008, come convertito.
Il rimettente premette che, sebbene la sentenza di questa Corte n. 120 del 2021 abbia dichiarato inammissibili questioni del tutto analoghe, al contempo ha rimarcato «l’indifferibilità della riforma, al fine sia di superare il concreto rischio di una sproporzionata misura dell’aggio, sia di rendere efficiente il sistema della riscossione», rivolgendo un pressante monito al legislatore statale per provvedere a riformare i meccanismi legislativi della riscossione coattiva.
1.1.‒ Secondo il rimettente questo monito sarebbe rimasto senza riscontro, e, pertanto, essendo ormai trascorsi tre anni, sarebbe indifferibile un nuovo intervento di questa Corte.
1.2.‒ Ripropone quindi, in sostanza, le stesse questioni di legittimità costituzionale che, sulla norma in oggetto, erano state sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia con ordinanza del 5 giugno 2019 (iscritta al reg. ord. n. 85 del 2020), in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 53, 76 e 97 Cost. e sulla quale questa Corte si è già pronunciata con l’indicata sentenza n. 120 del 2021.
2.‒ Sull’ammissibilità delle questioni, va osservato quanto segue.
L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito innanzitutto l’inammissibilità delle questioni sollevate per aberratio ictus.
L’eccezione non è fondata.
Il giudice a quo ha rivolto l’attenzione e conseguentemente prospettato le questioni di legittimità costituzionale nei confronti della norma applicabile ratione temporis alla controversia che era chiamato a decidere, ovvero l’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, come sostituito dall’art. 32, comma 1, lettera a), del d.l. n. 185 del 2008, come convertito.
Dal tenore complessivo dell’ordinanza di rimessione emerge, da un lato, che l’omesso riferimento al recente intervento del legislatore, con cui è stato decretato il superamento dell’aggio di riscossione, è dipeso dal suo effetto solo pro futuro, ovvero a decorrere dal 1° gennaio 2022.
Dall’altro, che il rimettente ha altresì valutato la perdurante vigenza, ratione temporis, dell’aggio di riscossione, proprio in quanto espressamente disposta dall’art. 1, comma 17, della legge n. 234 del 2021: tale disposizione, quindi, è stata implicitamente considerata nell’iter logico del giudice a quo, che si è, in realtà, riferito al combinato disposto di quest’ultima disposizione con quella censurata.
Non è pertanto corretta la prospettazione di inammissibilità per aberratio ictus, perché il rimettente non censura una disposizione diversa da quella effettivamente applicabile al giudizio a quo (fra le altre, sentenze n. 15 del 2020 e n. 109 del 2019).
Nemmeno fondata è l’eccezione di inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, perché il rimettente si è limitato a rilevare un mero fumus riguardo alla regolare notifica delle cartelle di pagamento.
Erra infine la difesa erariale quando sostiene l’indeterminatezza e oscurità del petitum, dal momento che l’intervento richiesto dal rimettente è chiaramente di tipo caducatorio.
3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
Questa Corte, con la sentenza n. 120 del 2021, in riferimento alle censure allora sollevate sull’art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 112 del 1999, come sostituito, ha evidenziato che «il meccanismo di finanziamento della funzione di riscossione degenera nel paradosso di addossare su una limitata platea di contribuenti, individuati in ragione della loro solvenza (tardiva rispetto alla fase dell’accertamento dei tributi), il peso di una solidarietà né proporzionata, né ragionevole, perché originata, in realtà, dall’ingente costo della “sostanziale impotenza dello Stato a riscuotere i propri crediti” (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, deliberazione 8 aprile 2021, n. 4, pagina 9) nei confronti dei contribuenti insolventi».
Ha quindi precisato che «questa situazione di inefficienza della riscossione coattiva, che incide negativamente su una fase essenziale della dinamica del prelievo delle entrate pubbliche, non solo si riflette di fatto sulla ragionevolezza e proporzionalità dell’aggio, ma determina altresì una grave compromissione, in particolare, del dovere tributario».
La Corte, pur avendo riscontrato un vulnus ai suddetti principi costituzionali, ha tuttavia reso una dichiarazione di inammissibilità, affermando che la riforma del meccanismo di finanziamento della funzione della riscossione, sebbene necessaria quanto all’an, è rimessa, quanto al quomodo, «in prima battuta» alla discrezionalità del legislatore, poiché «[l]e modalità con cui ciò potrebbe avvenire – superando i profili di irragionevolezza della censurata disciplina dell’aggio […] e garantendo risorse adeguate alla funzione pubblica della riscossione – possono però essere molteplici».
Ha altresì evidenziato come i «principali Paesi europei (Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna) hanno, del resto, da tempo superato l’istituto dell’aggio e posto a carico della fiscalità generale le ingenti risorse necessarie al corretto funzionamento della riscossione».
4.– Il legislatore è stato sollecito nel raccogliere il pressante invito rivolto da questa Corte.
Con l’art. 1, comma 15, della legge n. 234 del 2021 ha, infatti, modificato la disciplina relativa alla copertura degli oneri di funzionamento del servizio nazionale di riscossione. Ha realizzato tale obiettivo intervenendo nuovamente sull’art. 17 del d.lgs. n. 112 del 1999 e in particolare: a) ha abrogato l’istituto dell’aggio di riscossione; b) ha posto il relativo costo a carico della fiscalità generale e c) ha lasciato a carico del debitore unicamente le quote derivanti dalle spese per le eventuali attività cautelari ed esecutive per il recupero delle somme insolute, nonché quelle dovute a titolo di spese di notifica della cartella di pagamento e degli eventuali ulteriori atti di riscossione.
Dalla relazione illustrativa alla nuova disposizione emerge che l’intervento legislativo è stato precipuamente diretto a dar seguito alla ricordata pronuncia di questa Corte, in quanto vi si legge che la «sentenza (n. 120 del 2021), ha evidenziato al Legislatore l’opportunità di valutare se l’istituto dell’aggio mantenga ancora “una sua ragion d’essere – posto che rischia di far ricadere su alcuni contribuenti, in modo non proporzionato, i costi complessivi di un’attività ormai svolta quasi interamente dalla stessa amministrazione finanziaria e non più da concessionari privati – o non sia piuttosto divenuto anacronistico e costituisca una delle cause di inefficienza del sistema”», per cui «risulta necessario procedere con un adeguamento del sistema di remunerazione dell’Agente della riscossione – al pari delle altre Agenzie fiscali – attraverso una dotazione con oneri a carico del bilancio dello Stato che assicuri il funzionamento dell’ente e la copertura dei relativi costi (commi da 2 a 6). Tale sistema, peraltro, risulta anche idoneo a garantire l’equilibrio della gestione finanziaria dell’ente che presenta spesso criticità correlate al ritardato o addirittura mancato pagamento da parte degli Enti Creditori delle spese sostenute per le attività di riscossione svolte (rimborsi spese per procedure di recupero e diritti di notifica) […]».
5.– È bensì vero che la nuova formulazione dell’art. 17 non è applicabile al giudizio a quo perché l’art. 1, comma 17, della legge n. 234 del 2021 ha espressamente disposto che «[p]er i carichi affidati fino al 31 dicembre 2021 restano fermi, nella misura e secondo la ripartizione previste dalle disposizioni vigenti fino alla data di entrata in vigore della presente legge: a) l’aggio e gli oneri di riscossione dell’agente della riscossione […]».
La circostanza che il legislatore non abbia conferito efficacia retroattiva a tale modifica non inficia, tuttavia, la legittimità costituzionale della norma censurata dal rimettente (che quindi continua a essere applicabile al giudizio a quo).
La richiamata sentenza n. 120 del 2021 di questa Corte, infatti, appartiene al genus delle pronunce qualificate dalla dottrina di “inammissibilità di sistema”, in quanto, pur riscontrando una dubbia compatibilità con i parametri costituzionali evocati, non si risolvono con una dichiarazione di illegittimità costituzionale, ma rimettono, in prima battuta, alla discrezionalità del legislatore (così, fra le altre, sentenze n. 130 e n. 71 del 2023 e n. 22 del 2022) il quomodo del necessario intervento – che può realizzarsi secondo un ventaglio di soluzioni plausibili – finalizzato a rimuovere il riscontrato vulnus.
Da questo presupposto deriva che, nel caso di specie, per dare seguito allo specifico invito formulato pro futuro dalla stessa sentenza, il legislatore non era tenuto a intervenire in modo retroattivo, come invece ritiene il giudice rimettente, dal momento che anche la disciplina dell’efficacia temporale rientrava nella sua discrezionalità.
5.1.– Al rilievo del carattere dirimente di questa considerazione deve, in ogni caso, essere aggiunto che una valutazione retrospettiva non è, peraltro, del tutto mancata nel complessivo intervento del legislatore.
Nel regime introdotto dall’art. 1, commi 231 e seguenti, della legge n. 197 del 2022 in materia di definizione agevolata delle cartelle di pagamento, il comma 231 prevede, infatti, che: «[f]ermo restando quanto previsto dai commi da 222 a 227, i debiti risultanti dai singoli carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022 possono essere estinti senza corrispondere le somme affidate all’agente della riscossione a titolo di interessi e di sanzioni, gli interessi di mora di cui all’articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, ovvero le sanzioni e le somme aggiuntive di cui all’articolo 27, comma 1, del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46, e le somme maturate a titolo di aggio ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, versando le somme dovute a titolo di capitale e quelle maturate a titolo di rimborso delle spese per le procedure esecutive e di notificazione della cartella di pagamento».
In questi termini è stato quindi consentito al debitore di estinguere il proprio debito pregresso provvedendo solo al pagamento delle somme dovute a titolo di capitale e di quelle maturate a titolo di rimborso spese per le procedure esecutive e di notificazione della cartella, senza, invece, dovere corrispondere gli interessi, le sanzioni, la mora e, per quel che qui rileva, l’aggio e gli oneri di riscossione.
Tale possibilità di procedere alla cosiddetta “rottamazione” senza dovere corrispondere, tra l’altro, l’aggio e gli oneri di riscossione concerne proprio le cartelle di pagamento – come quelle in considerazione nel giudizio a quo – che continuano a essere sottoposte al precedente regime, fondato, appunto, sulla remunerazione del servizio di riscossione a carico del contribuente.
In altre parole, se, da un lato, il legislatore non ha rimosso in modo retroattivo l’aggio, ha comunque consentito, dall’altro, che, l’aggio richiesto secondo il precedente regime possa non essere corrisposto qualora il contribuente ritenga di avvalersi della specifica disciplina di favore.