TAR Sicilia – Palermo, II Sezione, sentenza 22 giugno 2021, n. 1992
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE (sintesi massimata)
- Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Il Collegio condivide l’orientamento già espresso dalla prevalente giurisprudenza amministrativa che evidenzia come «l’informativa antimafia costituisce una sopravvenienza non prevedibile, collegata ad elementi e fatti sicuramente conosciuti dall’impresa incisa, e comunque costituisce una circostanze oggettivamente addebitabile all’appaltatore soggetto a fenomeni di infiltrazione mafiosa, che, in conseguenza, è quindi tenuto a rispondere del mancato adempimento mediante l’attivazione delle previste penali e fideiussioni», sicché «Le conseguenze patrimoniali della risoluzione del contratto, ivi compresa la sanzione della violazione dell’obbligo di diligenza, comporta necessariamente la responsabilità per i danni incolpevolmente subiti dalla Stazione Appaltante per il “mancato adempimento” del contratto, che era espressamente richiesto dall’art. 113 dell’abrogato D.lgs. n. 163/2006 e che era direttamente ed esclusivamente imputabile da parte della società ricorrente, conseguente al sopravvenire dell’interdittiva.» (Cons. Stato, Sez. III, 24 ottobre 2018, n. 6052).
Non vi è dubbio che, nel caso che ci occupa, la risoluzione del rapporto contrattuale a seguito dell’interdittiva antimafia sia riconducibile da un inesatto inadempimento della prestazione dedotta in contratto che, per quanto fin qui esposto, deve considerarsi imputabile alla ricorrente.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, infatti, il recesso di decadenza previsto dagli artt. agli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011 costituisce la fisiologica e doverosa conseguenza della comunicazione e dell’informativa interdittiva antimafia giacché la possibilità di prosecuzione del rapporto contrattuale costituisce un’ipotesi eccezionale prevista nell’esclusivo interesse della P.A. e non dell’affidamento della controparte e necessitante di una motivazione rafforzata.
Ne consegue, pertanto, il rigetto dei primi due motivi di ricorso.
Anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Preliminarmente, precisa la Corte, deve escludersi che possano considerarsi esborsi rimborsabili i costi di partecipazione alla gara sostenuti dalla ricorrente che, per giurisprudenza costante, rimangono a carico del partecipante financo nell’ipotesi di risarcimento per equivalente per mancata aggiudicazione della gara (Cons. Stato, n. 1904/2016).
Inoltre, il rimborso previsto dagli artt. 92, co. 3 e 94, co. 2 del d lgs. n. 159/2011 non solo deve essere puntualmente provato dalla parte ricorrente su cui grava il relativo l’onere ex art. 2697 c.c., ma deve avere riguardo ai “limiti delle utilità conseguite” dalla P.A., nozione da intendersi in un senso strettamente patrimoniale ed apprezzabile nei limiti dell’effettivo arricchimento della P.A. e prescindendo dalle risorse impiegate dall’impresa (Cons. Stato, n. 8672/2019).
Sul predetto punto, invero, la prospettazione della ricorrente non solo è sprovvista di adeguato supporto probatorio, ma la stessa non indica e non allega la misura dell’utilità conseguita dalla P.A. nei sensi anzidetti.
- 6. Ne consegue, pertanto, il rigetto del ricorso.
- 7. Le spese di lite, liquidate nella misura indicata in dispositivo, seguono la soccombenza.