TAR Calabria, sentenza 27 maggio 2025 n. 411
PRINCIPIO DI DIRITTO
I rapporti di parentela sono rilevanti quando, per numero e qualità, risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata, soprattutto in contesti territoriali ed economici notoriamente esposti al pericolo di inquinamento mafioso. […] Nello specifico […] per potersi desumere il “contagio” è necessario quindi che la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di relazione siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i vari componenti della famiglia. In concreto, che vi sia una plausibile condivisione di finalità illecite e una verosimile convergenza verso l’assoggettamento agli interessi criminali di organizzazioni mafiose, desumibili, ad esempio, dalla stabilità, dalla persistenza e dalla intensità dei vincoli o delle relazioni commerciali. Qualora invece l’esame dei contatti familiari si riveli “normale”, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia.
TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE
- Il ricorso è fondato.
5.1. Dispone l’art. 91, co. 5, ultimo periodo, del d.lgs. n. 159 del 2011 che “Il Prefetto, anche sulla documentata richiesta dell’interessato, aggiorna l’esito dell’informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.
La norma introduce un obbligo per la P.A. di provvedere sull’istanza di aggiornamento, come può evincersi sia mediante l’interpretazione letterale – atteso che il legislatore ha utilizzato il termine ‘aggiorna’ – sia mediante quella funzionale, tenuto conto che la relativa ratio è quella di perseguire il bilanciamento tra l’interesse pubblico a non consentire alla P.A. di contrattare con soggetti sospettati di collusione con la criminalità organizzata e quello privato di garantire il diritto al libero esercizio dell’attività economica privata allorquando venga accertato “il venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa”.
5.2. A seguito della presentazione di una documentata istanza di aggiornamento, si apre, dunque, un nuovo procedimento nel quale viene svolta dalla Prefettura una rinnovata istruttoria al fine di accertare se i fatti sopravvenuti siano tali da aver determinato il venir meno del rischio di infiltrazione mafiosa. All’esito dell’istruttoria il Prefetto potrà adottare – nell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale – o un provvedimento liberatorio, oppure una nuova interdittiva, nella quale dovrà dare conto della rinnovata ponderazione degli elementi indiziari originari alla luce delle documentate sopravvenienze allegate dall’istante (nella giurisprudenza della Sezione, cfr., da ultimo, sent. n. 348 del 30/05/2024 e n. 136 del 13.02.2024).
- Ritiene il Collegio che la Prefettura abbia fatto malgoverno dei propri poteri istruttori e di valutazione di tutte le circostanze, in fatto ed in diritto, sopravvenute.
Colgono nel segno le censure di difetto di motivazione e di istruttoria e di eccesso di potere per illogicità, dedotte da parte ricorrente.
- Il rinnovato giudizio di permeabilità alle infiltrazioni dell’organizzazione criminale si fonda, in sintesi, su tre elementi:
- a) i precedenti penali del padre;
- b) la data di costituzione dell’impresa ricorrente (e l’allora giovane età del Sig. -OMISSIS-) e il comune settore di attività rispetto all’impresa del padre, ossia l’edilizia;
- c) i legami del ricorrente con la famiglia e con il padre.
Con riferimento a ciascuno di questi fronti motivazionali il provvedimento impugnato presta il fianco alle censure, fondatamente, articolate da parte ricorrente.
- Seguendo il medesimo ordine di esposizione delle ragioni che giustificherebbero la prognosi di permeabilità alla ‘ndrangheta contenuto nel provvedimento impugnato (e salvo le precisazioni che seguiranno e al carattere pregnante delle censure che si rivolgono all’ultimo passaggio motivazionale, non emergendo, al di là del mero rapporto di parentela, altri legami di natura economica o cointeressenze, la presenza nei cantieri o nella sede dell’impresa ricorrente del padre del ricorrente o elementi tali da fare desumere, in concreto, una “regia familiare” nella gestione dell’impresa ricorrente) valga quanto segue.
- Quanto alla figura del padre, Sig. -OMISSIS-, ritiene il Collegio che la Prefettura abbia omesso di esaminare l’esito di tutti i giudizi penali che lo riguardano e di compiere una valutazione complessiva del diacronico sviluppo delle vicende giudiziarie che lo hanno visto coinvolto e che sono state ab origine i fatti costitutivi dell’informazione interdittiva.
9.1. Il provvedimento impugnato non dedica alcuna attenzione né spende specifica motivazione in ordine al decreto del Tribunale di Reggio Calabria del -OMISSIS-, RGMP n. -OMISSIS-, di revoca della misura della sorveglianza speciale.
9.2. Come emerge da tale decreto, in atti, ai fini della revoca della misura di prevenzione, il Giudice Penale ha verificato “se fosse o meno stato attuato un mutamento radicale delle precedenti scelte di vita che consenta di pervenire ad una prognosi contraria a quella già ritenuta, e favorevole al prevenuto, in ordine all’assenza di pericolosità sociale”; ed in particolare, se sussistessero “elementi sintomatici di una «partecipazione» del proposto al sodalizio mafioso” e se, dunque, fosse «possibile applicare la presunzione semplice relativa alla stabilità del vincolo associativo purché la sua validità sia verificata alla luce degli specifici elementi di fatto desumibili dal caso concreto e la stessa non sia posta quale unico fondamento dell’accertamento di attualità della pericolosità».
Il Tribunale, dopo aver rammentato che identica istanza di revoca era stata rigettata anche alla luce della “condanna definitiva ad anni 6 di reclusione per il reato di cui all’art.416 bis c.p.” e della “valorizzazione di una conversazione nel 2009 tra -OMISSIS–OMISSIS-ritenuto pacificamente uno degli esponenti dì maggiore spessore della cosca omonima del luogo) e tale -OMISSIS-” ha, infine, accolto la richiesta di revoca della misura di prevenzione.
Ed invero, “Riassunti le valutazioni espresse nel 2017 per il diniego della istanza di revoca e gli elementi successivi addotti dalla difesa come espressivi di un percorso di risocializzazione del ricorrente avviato in carcere e mantenuto nel corso dei due anni e mezzo successivi alla scarcerazione” ha ritenuto il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione “che la presente istanza di revoca possa trovare accoglimento in ragione del lungo periodo di osservazione a far data dalla sottoposizione del -OMISSIS- alla misura della sorveglianza speciale (luglio 2016) durante il quale non risultano -secondo quanto emerge dalla nota della Questura-Commissariato di -OMISSIS- de -OMISSIS– segnalate frequentazioni con soggetti gravati da pregiudizi di polizia, segnalazioni che di contro risultano ferme all’anno 2010, ossia nove anni or sono all’epoca del suo arresto nell’operazione “II -OMISSIS-“, né sono segnalate altre condotte violative delle prescrizioni impostegli.
Si tratta di un dato che si pone quale indicatore ragionevole di mutamento del passato stile di vita con la recisione dei legami con la locale criminalità organizzata e che, letto unitamente alla risalenza nel tempo delle condotte per cui ha riportato condanna definitiva ed espiato una pena detentiva della complessiva durata di anni 6, considerato anche il positivo percorso carcerario, consente di formulare un benevolo giudizio nei confronti del -OMISSIS- di astensione dal compimento di future azioni illecite e antisociali e, dunque, di accogliere l’istanza di revoca per sopravvenuto difetto di attualità”.
9.3. Di tali articolate valutazioni, ponderatamente compiute dal Giudice Penale, non vi è traccia nel provvedimento impugnato.
9.4. La Prefettura, invece, del tutto illogicamente:
– valorizza precedenti esiti di procedimenti e giudizi penali (uno dei quali superato da una pronuncia di segno assolutorio);
– trae, persino dalla sentenza del Tribunale di Locri di assoluzione divenuta esecutiva in data -OMISSIS- in riferimento al coinvolgimento del padre nell’operazione di polizia “-OMISSIS-”, elementi di segno negativo ai fini del riesame e della conferma del giudizio di permeabilità (ritenendo «che la succitata pronuncia, lungi dal giungere alla conclusione di una totale estraneità degli imputati a contesti delittuosi, abbia ritenuto gli elementi proposti dall’Accusa insufficienti a fondare una sentenza di condanna sulla base del canone penalistico della certezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”, consacrato nell’art. 533 c.p.p.»);
– omette di considerare la più recente valutazione compiuta dal Giudice Penale (in data -OMISSIS-) in ordine all’attualità dell’appartenenza al sodalizio criminoso del Sig. -OMISSIS-, nonostante la più risalente “condanna definitiva ad anni 6 di reclusione per il reato di cui all’art.416 bis c.p.” riportata nel 2014.
9.5. In altri termini, alla luce delle suddette sopravvenienze, la Prefettura non poteva limitarsi a confermare il giudizio negativo, sulla scorta del quadro indiziario già valutato con la prima informazione interdittiva.
Ciò, infatti, che nel 2018 non è apparso illogico oggi lo diviene, alla luce del mutato quadro indiziario, dal momento che:
– la misura della sorveglianza speciale di P.S. dal -OMISSIS- applicata al padre è stata revocata con il successivo decreto del Tribunale di Reggio Calabria Sez. Misure di Prevenzione del -OMISSIS-, che non omette di valutare la condanna definitiva riportata nel 2014 per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. e che esprime, ciononostante, un giudizio di non attualità della precedentemente ritenuta «partecipazione» del proposto al sodalizio mafioso;
– il coinvolgimento nell’operazione di polizia “-OMISSIS-” del padre, indicato nell’informazione interdittiva del 2018, come “interessato dall’ordinanza n. -OMISSIS- RGNR DDA (…) emessa dal GIP del locale tribunale che disponeva l’applicazione della misura cautelare”, andava necessariamente rivalutato, alla luce della pronuncia di assoluzione irrevocabile il -OMISSIS-.
9.6. Coglie nel segno la pertinente censura, dedotta da parte ricorrente, secondo cui, alla luce dell’inattualità del giudizio di pericolosità sociale del padre e della ritenuta non perdurante “partecipazione” al sodalizio, viene a mancare, ai fini che ci occupano, l’«autore» del tentativo dell’infiltrazione (individuato dalla Prefettura unicamente nella persona del Sig. -OMISSIS-).
9.7. L’informativa prefettizia non consente pertanto di comprendere le ragioni per le quali sussisterebbe un tentativo di infiltrazione mafiosa, atteso che:
- a) viene identificato nel padre il potenziale soggetto socialmente pericoloso, omettendo di considerare le più recenti valutazioni del Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione;
- b) non si spiega come costui avrebbe agito e agirebbe a tutt’oggi per conseguire i favori della cosca criminosa dei “-OMISSIS-“;
- c) non sono stati individuati gli atti idonei diretti in modo non equivoco a condizionare le scelte imprenditoriali della ditta individuale sottoposta a controllo, finendo per rendere evidente il denunciato eccesso di potere per carenza di motivazione e difetto di istruttoria.
9.8. Ne risulta frustrata, quindi, la ratio del riesame che, come chiarito dalla giurisprudenza, ha proprio come finalità quella di rivalutare il quadro indiziario alla luce di “elementi sopravvenuti che comprovino l’oggettivo mutamento della situazione fattuale” e che siano «idonei a far ritenere che, nel futuro, il soggetto “sconsigliato” non sarà ulteriormente esposto al tentativo di infiltrazione mafiosa, come avvenuto nel passato» (CGARS n. 532/2023).
- Alla fondatezza di tali censure, va aggiunto che – al di là del mero rapporto parentale – l’informazione interdittiva, non soltanto omette ogni considerazione in ordine all’attualità della “pericolosità” del padre, ma non indica (al di là dei meri e insufficienti rapporti di natura affettiva e di parentela) elementi da cui desumere una “regia patriarcale” dell’impresa ricorrente (presenza nei cantieri o nella sede dell’impresa del padre, cointeressenze di natura economica, collaborazione tra le due imprese, una comune e condivisa gestione imprenditoriale, ecc…: cfr., di recente, Consiglio di Stato sez. III n. 3442/2025 che ha ritenuto “necessario che la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di collaborazione tra le due imprese siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i due operatori economici. Là dove, in particolare, l’analisi dei rapporti tra le due imprese manifesti una plausibile condivisione di finalità illecite e una verosimile convergenza verso l’assoggettamento agli interessi criminali di organizzazioni mafiose, desumibili, ad esempio, dalla stabilità, dalla persistenza e dalla intensità dei vincoli associativi o delle relazioni commerciali, può presumersi l’esistenza di un sodalizio criminoso tra i due operatori”).
Sotto tale profilo, la Prefettura si limita, da un lato, a ribadire le circostanze relative all’epoca di costituzione dell’impresa ricorrente e che entrambe le imprese edili (del padre e del figlio) “operano nel medesimo ambito di attività, ossia l’edilizia”, e, dall’altro, a desumere elementi di cointeressenza dalla circostanza che il Sig. -OMISSIS- “si sia recato a far visita al padre detenuto con cadenza regolare, sia dai controlli di polizia svolti sul territorio, dimostrativi del fatto che, quantomeno nelle date del 24.6.2016 e del 3.2.2017, lo stesso è stato notato rispettivamente in compagnia del padre, della madre e della sorella, entrambe conviventi con il primo”.
Sotto entrambi i profili, il provvedimento è illogico.
10.1. Quanto al primo elemento, ciò che nel valutare la legittimità/illegittimità dell’interdittiva del 2018 appariva logico, oggi si rivela meramente assertivo e insufficiente a fondare un rinnovato giudizio interdittivo.
10.2. Intanto, quella che, in quel momento (2018), appariva come una giovanissima (e sospetta) età del ricorrente, oggi si rivela come un’età assolutamente matura (e “normale”) nella quale condurre un’attività di impresa.
La Prefettura non ha valutato, peraltro, che il ricorrente non convive più da anni con i genitori ed ha una propria vita e un’autonoma attività imprenditoriale.
10.3. La Prefettura omette, poi, di considerare (e di smentire, come puntualmente dedotto sin dall’istanza di riesame) che l’impresa ricorrente (premessa la qualificazione professionale del Sig. -OMISSIS- e del diploma conseguito) si è collocata in una linea di netta autonomia e discontinuità rispetto all’impresa paterna.
Come dedotto e non smentito dall’Amministrazione (che pure nel corso dell’istruttoria avrebbe potuto richiedere ed esaminare i bilanci, le fatture, i contratti stipulati con clienti e fornitori, le eventuali fonti di finanziamento) “Quella dell’istante è una piccola ditta individuale che annovera, nei periodi di massima espansione dell’attività lavorativa, un massimo di sei dipendenti regolarmente assunti, e che cerca di sopravvivere alla congiuntura negativa con enormi sacrifici e dedizione totale, riuscendo a raggiungere un fatturato annuo che si aggira intorno ai 90 mila euro dal quale, detratte le spese e gli stipendi dei dipendenti, residua appena lo stretto necessario per il proprio sostentamento”.
Nel corso del giudizio, la ricorrente ha, peraltro, depositato l’attestazione SOA -OMISSIS- nonché ulteriori certificazioni conseguite dall’impresa (di qualità UNI EN ISO 9001:2015, UNI ISO 45001:2018, UNI EN ISO 14001:2015), che ne attestano la qualificazione raggiunta e il possesso dei requisiti strumentali autonomi allo svolgimento dell’attività imprenditoriale.
10.4. Le “relazioni” intrattenute con il padre (fuori dal contesto lavorativo, dall’esercizio dell’impresa e dai luoghi di lavoro) e anche durante il periodo di detenzione in carcere appaiono unicamente attestanti il mero legame affettivo e filiale (ben inteso che, proprio con riferimento allo stato di detenzione e alla tutela delle relazioni dei detenuti con i propri cari, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10/2024, ha puntualizzato in via generale che “L’ordinamento giuridico tutela le relazioni affettive della persona nelle formazioni sociali in cui esse si esprimono, riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza”).
La disciplina in materia antimafia (che, com’è noto, esclude che il mero rapporto di parentela e il connesso portato di legami affettivi e relazionali possano di per sé costituire elemento prognostico di un’infiltrazione mafiosa) intende, infatti, evitare il condizionamento e l’inquinamento del mercato da parte della criminalità e non mira né può tendere ad una “compressione della libertà di esprimere affetto, anche nella dimensione intima” del detenuto o dei suoi familiari, né tantomeno intende ledere la “dignità della persona” e le “prospettive del suo rientro in società” (Corte Cost. n. 10/2024).
Ed infatti, «come è noto, la funzione preventiva del potere interdittivo non è destinata ad esplicarsi nell’ambito di una indistinta sfera relazionale, ma è specificamente finalizzata ad immunizzare le attività imprenditoriali, con particolare riguardo a quelle presupponenti il coinvolgimento – quale controparte contrattuale o quale semplice presidio autorizzativo di trasparenza, legalità e correttezza – della P.A., dall’ingerenza o dall’influenza mafiosa.
Occorre quindi, affinché la relazione “pericolosa” possa assurgere ad indicatore sintomatico del rischio di influenza criminale che l’esercizio del potere interdittivo è destinato a prevenire, che la stessa si manifesti con modalità che ne palesino l’attitudine ad esondare dal piano strettamente personale, per divenire un potenziale fattore condizionante dell’attività imprenditoriale che una delle parti di quella relazione svolge in forma professionale» (Cons. Stato sez. III n. 1610/2025).
10.5. Desumere dal mero mantenimento delle relazioni affettive con il (padre) detenuto (durante e dopo lo stato di detenzione carceraria) elementi di un condizionamento mafioso, peraltro, significherebbe ripiombare nella valorizzazione del mero rapporto di parentela quale elemento sintomatico del contagio.
10.6. Al riguardo, come ribadito anche di recente dal Consiglio di Stato (sez. III n. 1766/2025; anche n. 184 del 2025 e n. 3442/2025), «i rapporti di parentela sono rilevanti quando, per numero e qualità, risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata, soprattutto in contesti territoriali ed economici notoriamente esposti al pericolo di inquinamento mafioso. […] Nello specifico […] per potersi desumere il “contagio” è necessario quindi che la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di relazione siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i vari componenti della famiglia. In concreto, che vi sia una plausibile condivisione di finalità illecite e una verosimile convergenza verso l’assoggettamento agli interessi criminali di organizzazioni mafiose, desumibili, ad esempio, dalla stabilità, dalla persistenza e dalla intensità dei vincoli o delle relazioni commerciali. Qualora invece l’esame dei contatti familiari si riveli “normale”, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia» (Consiglio di Stato sez. III n. 1766/2025; cfr. anche CGARS n. n. 815/2024: «per costante giurisprudenza l’amministrazione può dare rilievo al rapporto di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell’impresa, dipendenti e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, laddove tale rapporto, per sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del “più probabile che non” che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regia familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato mediante contatto col proprio congiunto»; cfr. anche TAR Reggio Calabria n. 81/2022; Cons. Stato sez. III, n. 7080/2023).
10.7. Né tantomeno basterebbe il mero richiamo al provvedimento interdittivo adottato nei confronti dell’impresa del padre, non sussistendo, in tale contesto, elementi da cui poter desumere l’attuale “contagio” e “a cascata” degli elementi risalenti che hanno giustificato l’adozione dell’informazione interdittiva nel 2012 (nei confronti dell’impresa individuale -OMISSIS-) e quelli che dovrebbero giustificarla, oggi, nei confronti dell’impresa ricorrente.
Come ribadito di recente, “In particolare, sebbene di regola si escluda che il semplice rapporto di parentela possa ex se costituire un sintomo di condizionamento mafioso (non essendo accettabile un’inferenza logica basata sul presupposto che il parente di un mafioso sia necessariamente anch’egli un mafioso: cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 ottobre 2023, n. 8781), tuttavia esso può anche da solo fondare la prognosi infiltrativa, laddove assuma una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”, specie in alcune aree territoriali ed economiche (cfr. Cons. Stato, sez. III, 8 gennaio 2024, n. 248; id., 7 agosto 2023, n. 7625; id., 7 agosto 2023, n. 7599; id., 21 giugno 2022, n. 5086).
(…) La giurisprudenza ha anche chiarito, con particolare riferimento ai rapporti tra l’impresa colpita dal provvedimento antimafia ed altra impresa già ritenuta esposta al condizionamento dell’attività criminale, che il fenomeno delle interdittive “a cascata”, pur muovendo da una presunzione di trasmissione della “mafiosità” da un’impresa all’altra in conseguenza dell’instaurazione di rapporti e cointeressenze, presuppone quale condizione imprescindibile che la natura, la consistenza e i contenuti delle modalità di collaborazione tra le due imprese siano idonei a rivelare il carattere illecito dei legami stretti tra i due operatori economici; viceversa, ove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni dalla prima alla seconda società (Cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 gennaio 2024, n. 132; id., 8 agosto 2023, n. 7674; id., 23 marzo 2023, n. 2953; id., 26 maggio 2016, n. 2232; C.g.a.r.s., 15 aprile 2022, n. 484)» (Cons. Stato sez. III n. 3442/2025).
10.8. Calando le soprarichiamate coordinate ermeneutiche nella fattispecie oggetto del presente giudizio, emerge dagli atti che nel caso di specie l’Amministrazione ha fondato il provvedimento interdittivo su presupposti non idonei ad inferire un pericolo di infiltrazione criminale nell’impresa gestita dall’odierno ricorrente, non potendosi ritenere dimostrata l’attuale appartenenza o la contiguità del padre alla criminalità organizzata, né la sussistenza di un concreto pericolo di infiltrazione mafiosa nell’impresa gestita dall’odierno ricorrente.
Nel caso che riguarda l’odierna ricorrente, poi, il rapporto padre – figlio non rende plausibile i presunti collegamenti fra la realtà imprenditoriale ed esponenti della ‘ndrangheta in ragione:
– del giudizio espresso dal Tribunale di Reggio Calabria, in sede di revoca della misura della sorveglianza speciale di P.S., circa il “mutamento del passato stile di vita” del -OMISSIS-;
– della mancata indicazione di fatti che possano rappresentare una deviazione dall’ordinario svolgimento dell’attività d’impresa verso atteggiamenti di compiacenza nei confronti dell’organizzazione ‘ndranghetistica.
- Le ragioni sulla cui base la Prefettura ha ritenuto persistente il pericolo di condizionamento mafioso nella gestione dell’attività economica dell’impresa ricorrente poggiano, in definitiva, su un’istruttoria incompleta e, per ciò stesso, inadeguata a resistere alle censure dedotte avverso la misura interdittiva.
Ne deriva che in virtù delle considerazioni che precedono, il ricorso è fondato e deve, dunque, essere accolto con conseguentemente annullamento dell’informazione interdittiva antimafia impugnata.
- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.