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Home Diritto Penale

*Violenza sessuale – Processo – Abuso – Vittima affetta da ritardo mentale e abuso sessuale

by Dott. Alessio Alfieri
22 Aprile 2025
in Diritto Penale
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Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza 9 aprile 2025 n. 13828

PRINCIPIO DI DIRITTO

La sentenza impugnata ha saldamente ed adeguatamente superato gli argomenti spesi dal primo Giudice con riguardo all’abuso della condizione ed alla successiva induzione, così rendendo quella motivazione rafforzata che la costante giurisprudenza di questa Corte richiede per la riforma di una pronuncia assolutoria.

TESTO RILEVANTE DELLA DECISIONE

  1. Il ricorso risulta manifestamente infondato.
  2. La Corte di appello ha riformato la pronuncia assolutoria di primo grado – fondata sulla ritenuta assenza di prova quanto all’induzione o all’abuso delle condizioni della persona offesa – con una motivazione del tutto solida, che non si è limitata ad esaminare gli atti di indagine e a darne una lettura priva di illogicità manifesta, ma si è debitamente confrontata con la sentenza del G.i.p., evidenziandone in modo adeguato i vizi argomentativi, tali da imporne il superamento, previa escussione della persona offesa.

4.1. La sentenza impugnata, in primo luogo, ha evidenziato due profili di particolare significato nell’ottica della decisione, ossia che il primo Giudice non aveva dubitato né della documentata patologia a carico della vittima (ritardo lieve. con “riflessi sugli schemi motori e sull’organizzazione dei movimenti”), né della attendibilità di questa; di seguito, la stessa sentenza ha evidenziato – con differente lettura rispetto al G.i.p. – gli elementi che denotavano l’abuso delle condizioni di inferiorità psichica e la successiva induzione a subire atti sessuali, ad opera del ricorrente, così da riscontrare la consumazione del reato di cui al capo B).

  1. In particolare, la Corte di merito, in evidente contrasto con la sentenza lì in esame, ha sottolineato che dagli atti emergevano: a) la sapiente induzione della ragazza, di cui l’uomo – di quasi 30 anni più grande – si dichiarava innamorato; b) i complimenti che lo stesso le rivolgeva; c) l’invito alla giovane di non parlare di ciò con i suoi genitori e a cancellare i messaggi scambiati; d) il superamento degli iniziali rifiuti manifestati da questa.
  2. Di seguito, la sentenza ha individuato plurimi elementi, invero non contestati nel ricorso, a conferma dell’attendibilità della persona offesa. Tra questi, le dichiarazioni della moglie e della figlia dell’imputato, dalle quali risultava che l’uomo, all’indomani del fatto, si era trasferito in Germania senza comunicare neppure il nuovo indirizzo.
  3. Ancora, e con particolare significato, la Corte di merito ha richiamato gli esiti dell’escussione della persona offesa (disposta in appello), che aveva riferito “con costanza e precisione” tutti i fatti del 30/5/2014, comprese le violenze subite ed indicate nel capo di imputazione; in particolare, il racconto aveva richiamato la promessa di un gelato, il contesto “più ampiamente ludico artatamente creato” dal ricorrente, l’improvviso “cambio di programma”, al quale la giovane aveva manifestato un inutile dissenso, “con la penetrazione attuata fino a quando lei disse di fermarsi perché sentiva dolore.” Ancora, la sentenza ha richiamato le minacce con le quali l’imputato aveva accompagnato l’invito a non parlare del fatto con nessuno, oltre al tentativo di ripetizione della condotta, alcuni giorni più tardi.

7.1. Ancora trattando di queste dichiarazioni, la sentenza ha peraltro evidenziato che dalle stesse emergeva la fragile situazione psicologica della ragazza, stretta tra il dissenso agli atti sessuali e la voglia di avere comunque amicizia ed affetto (come confermato anche dalla teste A.A.), voglia della quale l’imputato aveva dunque approfittato.

7.2. Infine, sul punto, è stata richiamata la sentenza emessa nei confronti di Giuseppe Stefano Bruno, imputato in una medesima e parallela vicenda, acquisita ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., e la Corte di appello ne ha tratto ulteriore conferma della consapevolezza dell’imputato di trattare con una ragazza “fragile e indifesa”.

7.3. Con tutte queste considerazioni, la sentenza impugnata ha dunque saldamente ed adeguatamente superato gli argomenti spesi dal primo Giudice con riguardo all’abuso della condizione ed alla successiva induzione, così rendendo quella motivazione rafforzata che la costante giurisprudenza di questa Corte richiede per la riforma di una pronuncia assolutoria.

  1. In senso contrario, peraltro, non risultano fondate le considerazioni contenute nel ricorso che, di fatto, si limitano ad elencare gli elementi contenuti nella prima e nella seconda sentenza, sostenendo che quest’ultima si fonderebbe su “argomenti suggestivi”; nessuna analisi, dunque, è compiuta quanto al rapporto tra le stesse pronunce ed al percorso argomentativo con cui la seconda aveva ribaltato la prima.

8.1. Il ricorso, ancora, si muove lungo evidenti linee di merito, inammissibili in questa sede, con le quali si descrivono i comportamenti che la persona offesa avrebbe tenuto nell’occasione e se ne traggono alcune riflessioni in fatto, nuovamente senza confronto con gli argomenti della sentenza impugnata.

8.2. Parimenti inammissibile, poi, è la considerazione secondo cui la persona offesa sarebbe stata nuovamente escussa dopo 9 anni dai fatti, così sottendendo – quel che, però, non è detto – che da tale audizione non sarebbe stato possibile cogliere elementi attendibili.

Ciò, dunque, in evidente contrasto con la parte della sentenza di appello – altrettanto priva di censura in questa sede – nella quale è stato evidenziato che anche il primo Giudice non aveva espresso dubbi in merito alla credibilità della persona offesa.

8.3. Infine, sugli argomenti difensivi, questa Corte non può accogliere la tesi per la quale la sentenza sarebbe stata condizionata dalla pronuncia irrevocabile acquisita ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., a carico del coimputato.

La tesi, infatti, risulta una mera illazione, che trascura la corretta applicazione della norma da parte del Giudice di appello: la prima decisione, infatti, è stata utilizzata soltanto come prova di quanto in essa accertato, con riguardo: a) alla attendibilità e alla piena capacità di testimoniare della persona offesa; b) all’adescamento della ragazza, con subdola induzione all’atto sessuale, a chiara evidenza della sua condizione di fragilità; c) al coinvolgimento dell’imputato anche in quella vicenda (sebbene estranea al presente giudizio).

Risulta del tutto privo di fondamento, pertanto, l’assunto per cui il ricorrente sarebbe stato condannato anche per fatti estranei alla vicenda in esame, in forza di una sentenza che non lo avrebbe riguardato.

  1. Il ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile.

Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.

Si condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili B.B. ed C.C., che liquida in complessivi Euro 4.000,00, oltre accessori di legge.

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